Ondacinema

recensione di Diego Capuano
7.5/10

Forse è terminata l'epoca dell'indignazione, l'ora dell'incredulità del vedere – che si spalanchino almeno gli occhi, guardando – le tragedie site al di fuori dei confini occidentali; e si fa riferimento a delimitazioni non meramente geografiche, quanto piuttosto all' "altrui" cultura, religione, pelle.
Ci si fermerebbe altrimenti a prendere come unico filtro i telegiornali di televisioni generaliste e farci passare le coscienze attraverso, conteggiando i chilometri di distanza tra le nostre posizioni e tutte le altre, per l’appunto. Questa sede non può assumere i connotati di un comizio su date realtà, che tanti spazi potrebbero e dovrebbero ospitare, ma superata allora l’incredulità, un film come "Alla mia piccola Sama" ci pone una serie di interrogativi.

La struttura dell’opera è quella tipica del videodiario: in Siria, Waad Al-Kateab aziona la sua telecamerina e comincia (nel 2012) a filmare le pacifiche proteste studentesche contro il presidente Bashar al-Assad e, contemporaneamente a vicende private - proprie di una giovane donna -, si ritrova in una città, Aleppo, assediata da un regime sanguinario e noncurante dei civili, a partire ovviamente dai bambini, indifesi tra gli indifesi.
Ed è qui che emerge la Sama del titolo, creatura che nasce "nel mentre", circondata da esplosioni, da un dominante rosso di morte e di sangue che la sua mamma giornalista-regista confesserà di vedere ormai anche nei propri sogni notturni.
La crescita, l’amore e il matrimonio con il medico Hamza scorrono davanti ai nostri occhi. Le riprese divengono appena più professionali, ma ogni scelta e ogni azione è inglobata in un massacro a circuito chiuso. A tal proposito si evidenzia una osservazione della regista, dapprima di dolente incredulità poi di rassegnato dolore: "non credevo", dice, "che il resto del mondo restesse a guardare". L’unico intervento che irromperà con forza sarà poi quello nefasto della Russia.
Questa prospettiva è allora quella che obbliga noi spettatori dell’al di qua ad aprire la mente e capire il senso e l’essenza della resistenza, ovvero l’ideale principe che risponde al concetto di libertà. Atto, allora, del poter pensare, dell’avere diritto di farlo e, di conseguenza, di contrapporre al sanguinario terrore l’arma del pensiero.

Nel provare a descrivere ed esaminare specifiche caratteristiche della pellicola, è consequenzialmente impraticabile porre una posizione giudicante sulle scelte dell’autrice sul cosa riprendere, come farlo e in che minutaggio comprimere il tutto. Waad al-Kateab continua imperterrita a filmare, a catturare qualsiasi cosa, compendiandola: afferma che soltanto il 10% (400 le ore di materiale filmato) degli orrori atroci ripresi è confluito nel montaggio finale che, semplicemente e tragicamente, si fa sintesi di uno sguardo, un corpo, uno spirito di tante, tante altre persone, di chi da quella situazione ne è uscito vivo, di chi non ce l’ha fatta.
Generalmente legittima da parte dello scrivente è la recriminazione nei confronti di un cinema che sovraespone gli spigoli del dolore, che rende manifeste le facce dell’orrore, perpetrandole ben oltre i confini del suggerimento. In questo specifico caso, però, la soggettività dello sguardo – del diario – pur appartenendo idealmente a tanti civili, è addossato non soltanto negli occhi e nel corpo dell’autrice, ma è generato da urgenze morali e poi espressive pressochè inoppugnabili. Tanto più che con sapienza, comunque, i fotogrammi sul disfacimento della civiltà sono puntualmente controbilanciati dalla intima confidenzialità familiare, tutta negli occhi e nell’inconsapevolezza di Sama, donna che verrà. L'inequivocabile emblema di questo slancio che non ha paura di lasciare una fiammella accesa per il domani risiede nella sequenza di un corpicino, nuova vita, che sembra già morto e che pare davvero resuscitare grazie a un massaggio cardiaco.

Sul finire del 2016 l'Onu si metterà in contatto con Hamza e gli girerà una proposta dei russi: sarebbero stati al sicuro e vivi soltanto in caso di esilio. L'uomo accetterà e passando per la Turchia chiederà per sé e per i familiari asilo in Inghilterra, luogo che vedrà poi il montaggio e la nascita del film di Waad Al-Kateb, coadiuvata dal britannico Edward Watts.
Il film-diario è una testimonianza da preservare con cura, da vedere e da far vedere assieme al durissimo e radicale (ma complementare) "Autoritratto siriano - Eau argentée" (2014) di Ossama Mohammad e Wiam Simav Bedirxan.

A Sama e a tutte le Sama dell’oggi e del domani il film, l’insegnamento, la libertà.

Sama = (in arabo) Cielo.


21/02/2020

Cast e credits

regia:
Waad Al-Kateab, Edward Watts


titolo originale:
For Sama


distribuzione:
Wanted Cinema


durata:
96'


produzione:
Channel 4 News, ITN Productions


fotografia:
Waad Al-Kateab


montaggio:
Chloe Lambourne, Simon McMahon


musiche:
Nainita Desai


Trama
Un viaggio intimo nell'esperienza della guerra, una lettera d'amore di una giovane madre a sua figlia. Il film racconta la storia di Waad al-Kateab attraverso gli anni della rivolta di Aleppo, in Siria, quando si innamora, si sposa e dà alla luce Sama, il tutto mentre intorno esplode il conflitto. La sua camera raccoglie storie incredibili di perdita, risate e sopravvivenza mentre Waad si chiede se fuggire o meno dalla città per proteggere la vita di sua figlia.