Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
7.0/10

Come da tradizione, da quando il Festival di Roma è passato sotto la direzione di Marco Müller, la manifestazione ospita (almeno) un'opera di Miike Takashi e quest'anno è toccato a "As the Gods Will". Ancora una volta, una serie manga che ha avuto un incredibile successo editoriale tra i giovani ha spinto dei produttori a trarne un film, rimettendosi alla creatività di Miike, ormai vero specialista del genere.  Continua quindi il viaggio produttivo dell'eclettico autore di "Ichi the Killer" nel dare forma cinematografica all'antica arte del manga che tanto l'ha influenzato e che, da qualunque punto di vista si guardi la questione, è stato un sostrato culturale comune a numerosi registi nipponici. Rispetto alle opere maggiori miikiane, in cui la cifra stilistica mutava a seconda delle sterzate narrative o degli (s)cambi di genere, "As the Gods Will", pur mantenendo il suo tipico meccanismo dell'imprevedibilità, dà il tono del film nell'incipit per non distaccarsene mai nei centoventi minuti della sua durata. 

In un'aula scolastica come tante, in maniera del tutto imprevista, un daruma piomba sulla testa del docente facendogliela saltare in mille pezzi. Il daruma è una figura votiva che rappresenta, in maniera stilizzata, il volto del fondatore e primo patriarca dello Zen, ed è il primo master di una serie di giochi che i ragazzi superstiti dovranno affrontare, confrontandosi con le altre bambole della tradizione nipponica, sottratti al loro domestico e pacifico significato per diventare sadici dispensatori di morte. Il primo livello è il "Daruma-san ga Koronda" (una sorta di "un-due-tre stella!") con esiti poco piacevoli: a colui il quale viene trovato in movimento dopo la fine della conta esplode la testa. "As the Gods Will" si tramuta presto in un survival game che parodia i recenti "Hunger Games", sbeffeggiandone i cliché (l'eroismo, lo spirito di sacrificio) e tentando di non dare facili scappatoie ai ragazzi che, come al solito, di fronte al pericolo riescono a tirare fuori sia il meglio sia il peggio di loro stessi (come il prototipo "Battle Royale" aveva insegnato). Il  film, a qualcuno, potrà anche apparire come una variazione sui temi di "Lesson of the Evil", con gli studenti che cominciano a essere falcidiati indiscriminatamente, il caos che cala come una scure sulle vite solo apparentemente innocenti della gioventù giapponese. Il punto sta nella differenziazione del grande gioco orchestrato da Miike: se la pellicola del 2012 intesseva una riflessione etica non banale sulla posizione dello spettatore in relazione al massacro, rendendo fondamentale anche l'ambientazione scolastica, in questo caso il rapporto non è più di un gruppo di studenti in un interno con il proprio boia, ma dei ragazzi con delle divinità. Forse è proprio la richiesta disperata del protagonista, nelle prime battute del film, che chiede a dio di far cessare la noia che impera nella propria esistenza, a dare involontariamente inizio alla rivoluzione che stravolge le vite di tutti i giovani del mondo. E allora come si fa a compiere la volontà di dio? Accettando le regole del gioco, così come lo spettatore deve accettare lo schematismo  della narrazione che riesce a smarcarsi dalla sterile ripetizione, grazie all'impossibilità di decifrare un mondo anarchico in cui pare non vigere alcun nesso logico, se non quelli dettati dai kami (divinità); il manipolo di sopravvissuti dovrà, di volta in volta, dare prova di forza fisica, coraggio, immaginazione e fortuna. Un apprendistato alla vita adulta che Miike mette in scena con spirito ludico e irriverente, cambiando scenario e facendo emergere, in particolare, le personalità dei due rivali: l'altruista Takahata e il sociopatico Amaya, entrambi considerati "figli di Dio" dai popoli di tutto il mondo, in spasmodica attesa per conoscere il volto dei vincitori di questa fatale  sessione.

I vari livelli premiano i giocatori più spietati, eccitati dal pericolo che corrono, provocando un deragliamento nel normale sistema valoriale che si dirige verso i sentimenti più negativi dell'umanità: ad Amaya spetta la battuta più miikiana del film, che recita che si vuole uccidere ciò che si ama. La società nipponica è dunque fondata sulla competitività cieca e assassina e il circo mediatico costituitosi è solo assetato del sangue dei giovani: e in questo senso, ma solo in questo senso, si può considerare "As the Gods Will" un horror, parente stretto del teorico "Quella casa nel bosco".

È senza dubbio un Miike più interessato a intrattenere e a divertirsi, quello che si avvicina al circuito mainstream di "Crows Zero" e di "Yattaman"; sebbene riesca a non aderirvi completamente, smussando le crudezze splatter con autocensure giocose (le gocce di sangue trasformate in biglie color rubino), patinando parecchio la fotografia del fidato Nobuyasu Kita, ma manifestando la propria purezza aggredendo il pubblico nella brutale sequenza iniziale, con i copiosi schizzi di sangue dovuti alle esplosioni craniche degli adolescenti.  Nel complesso, un ottovolante di invenzioni che costituisce il prologo di quella che sarà sicuramente un saga. Nel finale, la nietzschiana battuta "Dio non esiste" viene immediatamente smentita dall'apparizione di un ultimo sorprendente kami. E il gioco può ricominciare...

17/10/2014

Cast e credits

cast:
Ryûnosuke Kamiki, Sôta Fukushi, Shôta Sometani, Hirona Yamazaki, Mio Yûki


regia:
Takashi Miike


titolo originale:
Kamisama No Iutoori


durata:
120'


sceneggiatura:
Hiroyuki Yatsu


fotografia:
Nobuyasu Kita


scenografie:
Akira Sakamoto


montaggio:
Kenji Yamashita


musiche:
Kôji Endô


Trama
Takahata comincia la mattinata a scuola come sempre, noiosa e scontata, ma stavolta la finirà in maniera diversa. La testa del professore esplode, e subito dopo lui e i suoi compagni si ritrovano obbligati a partecipare a strani giochi. La posta in gioco è la vita. Non avendo idea di chi sia il responsabile di questi giochi mortali, e senza sapere quando finiranno, Shun e gli altri studenti non hanno scelta... vincere una manche dopo l'altra.