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recensione di Pietro S. Calò
7.5/10
Un biondo e vivace bimbo è la star dei mercati periferici di Amsterdam.
Issato sulle cassette della frutta usate come palcoscenico, incanta e commuove un pubblico semplice e di buoni sentimenti.
Cinquanta anni dopo è alla vigilia del suo concerto di addio che si terrà all’Arena, davanti a cinquantamila spettatori pronti al delirio. È tempo di bilanci e i conti, naturalmente, non tornano.

Il nome di Andrè Hazes dice molto poco all’esterno degli stretti confini olandesi e, al di là di un parallelismo che non c’è, forse solo il nostro Vasco Rossi può dare un’idea di una forma di idolatria così circoscritta.
È un peccato che l’Unione Europea sia stata fondata su Mastricht e lo spread perché se avessero puntato sugli Hazes o i signor Rossi (forse) vivremmo tempi meno angosciosi anche se non meno tristi.
Quella di Hazes, infatti, è una piccola-grande storia che meritava di essere raccontata e vale il costo del biglietto: esemplare, amara, commovente dà anche il suo apporto alla fondazione di uno "Spirito Europeo" se è vero che Hazes in Olanda parla il tedesco, si cura in Belgio e si conquista l’amore del pubblico cantando a squarciagola "Piove" di Mimmo Modugno.
1960. Il piccolo Andrè finanzia coi suoi cinguettii le ubriacature del padre, despota e violento. Notato da una star televisiva incide a otto anni il suo primo 45 giri, un flop. Ma il ragazzo è stato baciato di sicuro dal talento.
Parallelamente, 1980, Andrè (Martijn Fischer) è una star dei bar di Amsterdam dove fa valere le sue doti di crooner, cantante confidenziale che intervalla brani musicali di amicizie tradite e donne infedeli con velocissime gag che trasformano i locali in veri e propri convivi fatti di birra, lacrimucce e applausi liberatori.
Un produttore, Tim (Fedja van Huêt) è mandato in missione dalla EMI Records a verificare se ne può uscire qualcosa di buono e da subito diventano amici per la pelle.
Il terzo frammento precede l’apoteosi del concerto di addio all’Arena. Ingrassato, alcolizzato, depresso e praticamente sordo, egli è un rottame di cinquant’anni oppure, cambiando prospettiva, è finalmente asceso al ruolo di rockstar maledetta.

Il film ricostruisce la sua breve vita con i tre incastri temporali montati in parallelo come i gloriosi romanzi d’appendice che puntavano, questi come quello, a rendere autonome e significative tutte le linee narrative prese in esame come fossero tre episodi auto-sufficienti e appena giustapponibili, con qualche ellisse, nella ricostruzione temporale.
In tutto ciò Martijn Fischer si è calato perfettamente nella parte prendendo tutti i chili che Andrè aveva accumulato mangiando ma soprattutto bevendo, così tanto che potrebbe venire il sospetto che per il Product Placament una nota marca di birre abbia finanziato almeno ¾ dell’intero budget.
Così l’Amsterdam periferica e primaverile della sua infanzia diventa ricca e piovigginosa nella parte finale, molto simile a una a caso delle nostre città brianzole, mentre nel mezzo ci ritroviamo sempre al chiuso in fumosi e insalubri bar-chantant o sale di registrazione dove Andrè incide uno dopo l’altro decine di Long Playing.
Anche gli oggetti seguono un’evoluzione simbolica e dalle cassette della frutta passiamo col montaggio parallelo alla costruzione del palcoscenico multimediale all’Arena mentre nel mezzo regnano gli alti sgabelli da bar sui quali Andrè domina i clienti mezzo brilli e lui con loro.
È stato abbastanza facile per la telecamera seguire le evoluzioni di un uomo pensieroso e sovrappeso i cui unici movimenti imprevedibili hanno come oggetto la caccia al tesoro, le lattine di birre che nasconde dappertutto per paura gliele facciano sparire.
Come un documentario, è soprattutto un film di montaggio che si regge (e si regge) sulle performance di un mattatore, un uomo oltre che talentuoso anche semplice, simpatico e col quale non ti annoieresti mai. Tutto questo senza essere un superficiale talché una (prevedibile) infanzia triste ha costruito qualcosa di solido, il sogno della sua vita che solo all’ultimo potrà realizzare: registrare un album blues perché, dice: "C’è molto dolore in me" e nessuno vorrebbe prenderlo sul serio, è una star da canzonetta, cosa pretende?

Allo stesso modo la regia di Diederick Koopal ha messo bene in evidenza, evitando il cliché della "scalata al successo", il momento più significativo non della sua carriera ma della sua vita, della rivalsa contro il padre odiato, quando ottiene una serata al prestigioso Auditorium laddove, da bambino nascosto sotto il cappotto di un adulto, aveva visto estasiato un concerto di Muddy Waters.
L’Auditorium è rappresentato come un luogo sacrale, con le luci abbassate ma caldissime, i movimenti della telecamera lenti e morbidi, il groove che rapisce gli spettatori come una sorta di rito, tutti tranne Andrè che, seduto a terra, ricostruisce i segreti del ritmo e della melodia ripetendoseli attraverso lo schioccare delle dita.
E così Koopal ci racconta la storia di una star che aveva la triste stessa leggerezza di un uomo comune, preoccupandosi in primis di comunicarcene la bontà.
Nell’incipit del film lo vediamo in un gioco di plongée e contro-plongée abbastanza evocativo, in accappatoio che guarda (ed è guardato) da un uccello che è andato a morire nella sua piscina.
Questo ci ha un po’ ricordato il compianto James Gandolfini in una scena molto simile nel primo episodio della serie “I Soprano”. Gli intenti sembrano gli stessi: che nella loro complessità si tratta di due uomini buoni e che perciò saranno perduti.
Opera riuscita.

"Blood, Sweat and Tears" ha vinto moltissimi premi in Olanda.
Presentato in anteprima nazionale alla II edizione del Festival SeeYouSound, si è aggiudicato il premio come "miglior film scelto dal pubblico".
03/03/2016

Cast e credits

cast:
Matheu Hinzen, Fedja van Huêt, Hadewych Minis, Martijn Fischer


regia:
Diederick Koopal


titolo originale:
Bloed, Zweet & Tranen


distribuzione:
A-Film Benelux MSD


durata:
112'


produzione:
Lemming Film, A Private View


sceneggiatura:
Philip Delmaar, Frank Ketelaar, Diederick Koopal


fotografia:
Bert Pot


scenografie:
Susanna de Groot


montaggio:
Marc Bechtold, Manu Van Hove


costumi:
Alette Kraan


musiche:
Melcher Meirmans, Joris Oonk, Chrisnanne Wiegel


Trama
Un biondo e vivace bimbo è la star dei mercati periferici di Amsterdam. Cinquanta anni dopo è alla vigilia del suo concerto di addio che si terrà all’Arena, davanti a cinquantamila spettatori pronti al delirio
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