Ondacinema

recensione di Mirko Salvini
7.5/10
"Da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventata una prigione", dice molto eloquentemente il capocomico Cosimo Rega dopo un'applaudita rappresentazione del "Giulio Cesare" di Shakespeare alla fine del nuovo film di Paolo e Vittorio Taviani, che racconta la genesi di questo spettacolo, messo in scena dai detenuti della sezione alta sicurezza del carcere romano di Rebibbia, sapientemente diretti da Fabio Cavalli.
Chi ha avuto la possibilità (e la fortuna) di partecipare o assistere a uno spettacolo teatrale in carcere sa che si tratta di un'esperienza speciale, che sarebbe ingeneroso liquidare sbrigativamente inserendola nell'ambito della filodrammatica. In Italia da anni è presente una forte tradizione in tal senso, della quale fanno parte anche realtà eccellenti come la "Compagnia della Fortezza" fondata da Armando Punzo nel carcere di Volterra, che con spettacoli come il memorabile "Marat/Sade" e il più recente "Hamlice" è arrivata pure a vincere il premio Ubu, massimo riconoscimento teatrale italiano.
Molti documentari e qualche film (si pensi al riuscito "Tutta colpa di Giuda" di Davide Ferrario) hanno raccontato questa realtà e a loro adesso va a fare compagnia il fortunato ritorno al cinema dei Taviani, uscito nelle sale (distribuisce la Sacher di Nanni Moretti) dopo essere tornato da Berlino nientemeno che con un Orso d'Oro, il primo attribuito a un film italiano da vent'anni (l'ultimo trionfatore nostrano era stato il sempre troppo dimenticato Marco Ferreri con "La casa del sorriso").

I fratelli sanminiatesi (classe 1929 Paolo e classe 1931 Vittorio) hanno conosciuto da spettatori il lavoro di Cavalli con gli attori detenuti e, accantonate le trasposizioni letterarie che avevano caratterizzato la loro produzione cinematografica o televisiva degli ultimi anni (e che in genere non vengono annoverate fra le loro opere migliori), si sono cimentati in questo ibrido fra documentario e fiction, che qualcuno ha accostato a "Padre Padrone", il film col quale vincendo Cannes nel 1977 ottennero una meritata notorietà internazionale (vittorie nei grandi festival a parte, i due film in effetti sono abbastanza diversi).
In verità molti dei 76 minuti del film (decisamente più breve della media) più che raccontare il lavoro di una compagnia di teatro all'interno di un carcere nei sei mesi di prove per lo spettacolo, ci mostrano i passaggi più importanti del loro "Giulio Cesare". In attesa che il palco sia pronto, gli interpreti provano nel cortile della mezzora d'aria, in biblioteca, nei corridoi. Gli altri detenuti, ma anche le guardie carcerarie, osservano, partecipando, con entusiasmo o distacco, alla tragedia che a poco a poco prende forma. Gli attori probabilmente non reggono il confronto coi componenti della Royal Shakespeare Company ma sono dotati di una certa efficacia, soprattutto perché Cavalli li guida con intelligenza, scegliendo di farli recitare nel loro dialetto, in modo che "Cesare  deve morire" diventi anche un notevole mosaico di suoni. Le scene delle prove, girate in bianco e nero, sono più interessanti di quelle a colori dello spettacolo finito, concentrate all'inizio e alla fine.

I detenuti nel lavorare al testo vengono anche incoraggiati a trovare dei punti di contatto con la tragedia da mettere in scena e, data l'universalità dei testi shakespeariani, non è una cosa troppo difficile. In fin dei conti il "Giulio Cesare" tratta di omicidio, tradimento, ambizione, vendetta, lealtà... tematiche che parlano ai carcerati come a qualunque altra persona. E infatti i risultati si vedono: il già citato Rega è un Cassio di tutto rispetto, Giovanni Arcuri (che ha anche raccontato la sua esperienza dietro le sbarre in un libro) un convincente Cesare e l'attore di "Gomorra" Salvatore Striano (attore-detenuto che ha continuato a recitare anche dopo avere finito di scontare la sua pena nel 2006, a ribadire che questo genere di esperienze possono effettivamente contribuire al recupero delle persone) rende bene i turbamenti di Bruto. Molto efficace è anche il Marcantonio di Antonio Frasca, che fa della sua scena madre l'orazione funebre a Cesare, uno dei momenti chiave del film, con la reiterazione della battuta "e Bruto è un uomo d'onore", che in questo contesto assume un significato particolare.

Trattandosi di un cast al maschile (come d'altronde erano quelli con cui aveva a che fare il Bardo) mancano i personaggi di Calpurnia e Portia, ma del resto quello che vediamo nel film è giusto un assaggio del "Giulio Cesare", come lo era il "Riccardo III" nel "Looking for Richard" di e con Al Pacino.
I Taviani oltre che riprendere i provini, le prove e lo spettacolo, cercano di raccontarci anche le lunghe ore affrontate dai detenuti in cella, tra sconforto, nostalgia dei familiari e litigi coi compagni. A volte questi passaggi sanno di artefatto (vizio che ha un po' sempre accompagnato il cinema dei due registi) ma non compromettono più di tanto il risultato del film, capace di raccontare un aspetto della vita in carcere che ancora troppi non conoscono.

Per saperne di più, leggi il nostro speciale: i fratelli Taviani incontrano il loro pubblico

03/03/2012

Cast e credits

cast:
Salvatore Striano, Cosimo Rega, Giovanni Arcuri, Antonio Fraschi, Juan Dario Bonetti, Vincenzo Gallo, Fabio Cavalli


regia:
Paolo e Vittorio Taviani


distribuzione:
Sacher Distribuzione


durata:
76'


produzione:
Kaos Cinematografica


sceneggiatura:
Paolo e Vittorio Taviani


fotografia:
Simone Zampagni


montaggio:
Roberto Perpignani


musiche:
Giuliano Taviani, Carmelo Travia


Trama
i fratelli Taviani riprendono il lavoro dei detenuti nella sezione di alta sicurezza di Re Bibbia, intenti a recitare il "Giulio Cesare" di Shakespeare per la regia di Fabio Cavalli
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