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recensione di Diego Capuano
8.0/10
Il cinema di Tsai Ming-liang è da qualche anno il metodo più radicale per combattere ogni qualsivoglia immagine occidentalizzata. Frutto di un pessimismo di base che, con il trascorrere degli anni, diviene sempre più, inquietantemente, realismo, le opere del regista di Taiwan fanno parte di quella sempre più ristretta cerchia di pellicole che possono definirsi "a parte".

Ogni forma di disperazione nasce dalla mancanza d'amore. Amore che c'è o che non c'è, amore troppo forte o troppo debole, sfuggito o smarrito, materiale o immaginario.
Ai tempi di Antonioni tanto si abusava della parola incomunicabilità per descrivere un certo tipo di cinema del silenzio. Sostanziali differenze con il cinema dell'autore di Ferrara si riscontrano nei metodi riflessivi: mentre forse un cinema del passato "prevedeva" delle analisi per comprendere lo stato delle cose, il cinema di Tsai Ming-liang è nato in un ambiente sociale morto, dove il mostrare la staticità dello stato umano è l'unico modo per analizzare quel che resta della società stessa. Analisi, poi, che si riduce ad una visione di impotenza. Quella incomunicabilità non è sparita, ma si è impossessata della parola che corrisponde al male che ci conduce ai primi passi del nuovo secolo: la solitudine.
C'è ossessione e disperazione naturalmente estrema. E' come guardare un mare calmo e aver voglia di tuffarsi da chilometri di distanza.

Nei film di Tsai Ming-liang non ci sono colpi di scena. Si tratta sempre di storie semplici, ma non per questo facili. Azioni piccole e spesso senza senso (se non quello della frustrazione che ci spinge a compierli). E spesso anche tali azioni vengono abolite, per dar spazio al vuoto assoluto. Cosa c'è di più vero e profondo che filmare la monotona quotidianità?
Ma qualcosa pur accade in "Che ora è laggiù?". Si comincia con il sottrarre, e ci troviamo subito di fronte alla morte del padre del protagonista.Una perdita immediata dunque, che non lascia scampo. La sofferenza della perdita dell'uomo ha effetti impercettibili nel figlio Kang, assurdi e paranoici nella madre che crede il marito uno spirito della casa. Kang vende orologi per strada, e l'amore per una ragazza, vista solo per pochi minuti, convince il ragazzo a disfarsi dell'orologio lasciatogli in eredità dal padre. Sottrazione due: orologio. Sottrazione tre: la ragazza. Quest'ultima partirà per Parigi. A questo punto si svolgono vicende parallele: Kang - ragazza = Asia - Europa = solitudine -solitudine. In effetti molte delle azioni che compiono i due sono fortemente connesse: gesti che si ripetono, atti sessuali dettati dalla noia, e addirittura un incontro con un'icona della nouvelle vague come Jean-Pierre Lèaud, che la ragazza incontra su una panchina senza riconoscerlo, mentre il ragazzo per cercare un contatto con Parigi acquista la videocassetta del film "I quattrocento colpi", ambientato per l'appunto nella capitale francese e recitato da un piccolo Lèaud.
Tutto ciò non può che farci riflettere su ulteriori uguaglianze. Il discorso sulla solitudine dei ragazzi si espande anche su altri mondi di vita: la fugace apparizione di Lèaud ci presenta un uomo solo, la cui vita è essenzialmente simile al vuoto delle altre che lo circondano. Come dire che anche un attore è costretto ad affrontare alcune delle difficoltà della vita. Lo stesso discorso può esser fatto confrontando un'epoca passata (fine anni 50: nascita della Nouvelle Vague) e l'oggi. La decadente malinconia non dista di molto e il film ci fa pensare come due modi di fare cinema apparentemente impossibili da accomunare sono invece vicini nella loro sofferenza ed impossibilità vitale. Certo, gli stili adottati da Truffaut e Ming-liang hanno poco in comune. Sottinteso è, poi, il generale e sentito omaggio ad uno dei capolavori del cinema: "I quattrocento colpi", per l'appunto, manifesto passato, presente e futuro, nonché punto di partenza per ogni giovane regista.

Ma soprattutto Tsai Ming-liang ci fa riflettere sulla non differenza tra due paesi tanto distanti: Taipei e Parigi. La capitale francese è ricca esteticamente, ma tale bellezza "fisica" difficilmente poi riesce a condizionare l'umore dell'essere umano. Le due solitudini metropolitane e incomunicabili viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda. Forma discordante, sostanza intatta.
Forse bisogna allora ricordare, come già accennato in precedenza, che ci troviamo ancora una volta di fronte ad un film che riesce anche a parlar d'amore. C'è poco da fare: l'unico rifugio che, nel cinema contemporaneo soprattutto, può salvare l'uomo dal male è rappresentato dall'amore. Ma il cinema di Tsai Ming-liang è comunque ricco di un pessimismo definito e mai definitivo, ed è per questo che anche una storia d'amore non andrà in porto, ma si sfiorerà soltanto (come l'ultima scena, suscettibile a varie interpretazioni, sembra suggerirci). Ed oltre al già citato Truffaut, lo fa con un metodo di sconfinata poesia: il ragazzo cambierà l'ora di tutti gli orologi che gli capitano sotto gli occhi, spostandoli sette ore in avanti, per farli coincidere con il fuso orario di Parigi. Da questo e da altri episodi si evidenzia un leggero umorismo, sinceramernte inaspettato da un autore come Ming-liang: in questo modo è impossibile non pensare alla figura di Buster Keaton.

"Che ora è laggiù?" rappresenta il primo punto d'arrivo nell'itinerario registico di Tsai Ming-liang: è la sua opera più matura e convincente, dove porta all'estremo la propria filosofia, raggiungendo notevoli composizioni stilistiche in inquadrature, praticamente quasi sempre a mdp fissa, di impeccabile bellezza.
"Che ora è laggiù?" è un film che incarna il male di vivere lasciando uno spiraglio quasi invisibile. E mentre continueremo a chiederci che ora sia lì, nell'aldilà, continueremo a vivere la nostra terribile ora terrena...

21/07/2008

Cast e credits

cast:
Lee Kang-Sheng, Chen Shiang-Chyi, Lu Yi-Ching, Cecilia Yip, Chen Chao-Jung, Miao Tien, Jean-Pierre Léaud


regia:
Tsai Ming-liang


titolo originale:
Ni Neibian Jidian


distribuzione:
Istituto Luce


durata:
116'


produzione:
Arena Films, Homegreen Films


sceneggiatura:
Tsai Ming-Liang, Yang Pi-Ying


fotografia:
Benoît Delhomme


scenografie:
Timmy Yip


montaggio:
Chen Sheng-Chang


Trama
Taipei. Hisao-Kang è un venditore di orologi. Un giorno incontra una ragazza alla quale, dopo ovvie titubanze, vende l’orologio del padre da poco scomparso. Lui è vittima di un colpo di fulmine, lei parte per Parigi.