Ondacinema

recensione di Eugenio Radin
8.0/10

"Je est un autre"
(Arthur Rimbaud)

Oltre a essere un film che parla di inconscio, del dissidio interiore tra voluttà e moralità, "Enemy" è prima di tutto un film che parla all’inconscio. È un’opera che comunica non tanto, o non soltanto, attraverso il detto, attraverso la costruzione di un’intrigante trama da thriller psicologico, ma soprattutto attraverso quegli elementi che rimangono in secondo piano, sullo sfondo, di cui inizialmente non ci si accorge ma che, a visione finita, si fatica a scrollarsi di dosso. Anzitutto la musica - o forse sarebbe più corretto dire il sonoro - tanto minimale quanto inquietante e soprattutto onnipresente, capace di comunicare allo spettatore un senso costante di angoscia; di esprimere la sensazione, anche quando nulla è ancora successo, che qualcosa di profondamente tragico stia per accadere. Poi c’è la fotografia virata verso una tonalità giallo-acida tutt’altro che confortevole, a rappresentare un ulteriore elemento disturbante.    
Infine – ed è forse l’elemento più interessante – il senso di oppressione che si abbatte sul protagonista e, parallelamente, sullo spettatore, è comunicato tramite la messa in scena e la gestione dello spazio. È una costante del cinema di Villeneuve, lo spazio esterno come metafora di un qualcosa di interiore: dall’arido deserto di "Sicario", all’universo alieno di "Arrival", fino alle città distopiche di "Blade Runner 2049", i cui skyline sono forse gli eredi più diretti delle architetture fatiscenti di questo "Enemy", i cui grattacieli decadenti e disumani (nel senso più letterale dell’esser privi di alcuna presenza umana al di fuori di quella dei protagonisti e di pochi altri personaggi secondari) sembrano sempre sul punto di ingurgitare il protagonista. Ciò è ulteriormente evidenziato dai movimenti di macchina e dalle riprese aeree, che tendono a deformarne le silhouette, a creare l’illusione di un movimento fagocitante, quello di una città fantasma che lascia l’uomo da solo con il suo inconscio.

Così, dunque, il protagonista è colto nel perenne tentativo di controllare lo spazio (come nella sequenza in cui tenta di infiltrarsi nell’abitazione del suo sosia, senza possederne la chiave), o di sottrarsi dall’oppressione dello spazio. Per fare un esempio: quando Anthony Claire richiama al telefono Adam, questi si trova nel corridoio della scuola. La parete del corridoio però non è verticale, ma leggermente spiovente e dà l’idea di cadergli addosso. Inoltre, poco dopo, quando Adam esce dall’edificio, l’inquadratura lo ritrae intento a passeggiare lungo la parete di cemento, che si trova alla sua sinistra. Con un movimento fluido la mdp si sposta però sulla destra, inquadrando ora Adam appoggiato al muro, finché si allarga il colletto della camicia, gesto che richiama un senso di soffocamento, ampliato dal fatto che ora egli è completamente circondato dalla parete di cemento.



Tutti questi elementi, oltre a dimostrare la bravura del regista, hanno soprattutto la funzione di richiamare quello che è il contenuto dell’opera o, meglio, i contenuti dell’opera. In effetti è difficile dare una lettura univoca al film, che si presenta come il più enigmatico e simbolico tra i lavori del cineasta canadese. La lettura più facile è certamente quella psicanalitica, suggerita anche da alcuni indizi stessi disseminati nella pellicola, secondo la quale ciò a cui assistiamo non sarebbe che l’elaborazione e la conseguente risoluzione di un tradimento, da parte di un uomo la cui vita interiore si è scissa, tra la tragedia di un matrimonio che arranca e la farsa costruita per mascherare il proprio adulterio (è lo stesso protagonista a citare Marx in una delle proprie lezioni, sostenendo che "la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa"). Lo sdoppiamento di Adam, la caccia al proprio doppio, sarebbe dunque una proiezione psichica del binomio "Io ed Es", desiderio e coscienza.      

A parere di chi scrive, tuttavia, c’è di più. In "Enemy", infatti, è racchiuso tutto il dramma della frammentazione dell’Io, del senso di perturbamento (l’unheimlichkeit freudiano) che il soggetto prova, qualora esso si affacci alla verità rimbaudiana di cui in esergo, secondo cui: "Je est un autre": l’Io è un altro. L’incontro primigenio con l’Altro, con un’alterità uguale a me eppure diversa, famigliare ma estranea al tempo stesso, è l’esperienza che Adam fa nel momento in cui viene a contatto con Anthony. Tale violento incontro causa il crollo del totalitarismo dell’Io (non a caso, nelle lezioni di Adam si parla anche di totalitarismi), il quale si scopre infetto (l’infezione richiamata dal colore giallognolo dell’immagine, di cui si è già parlato) da una diversità. Scopre che l’Io non è una solida identità, e al di là delle successive possibilità che ne derivano la comparsa dell’Altro non può che presentarsi, almeno inizialmente, come trauma. Un trauma peraltro ben inciso nella storia del continente americano.     

Interessante, infine, il ruolo che l’arte e in particolare il cinema, ricopre nel dispiegarsi della storia. Adam scopre infatti l’esistenza di un altro uguale a sé – o, stando a ciò che si è detto, dell’altro in sé – tramite la visione di un film, suggeritogli da un collega. Il processo di introspezione che egli intraprende scaturisce dal cinema: non a caso, Anthony è un attore. Il cinema dunque si presenta come un pharmakon, al tempo stesso rimedio (ciò che permetterà ad Adam di intraprendere un cammino di redenzione) e veleno, che gli apre gli occhi circa la pluralità del proprio Io. Il cinema, ci insegna Villeneuve, non è mai mero intrattenimento, semplice divertissement, ma lo strumento tramite cui riflettere sul proprio sé, sia come individui, sia come società.


21/09/2020

Cast e credits

cast:
Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Sarah Gadon, Isabella Rossellini


regia:
Denis Villeneuve


distribuzione:
PFA Films, 102 Distribution


durata:
90'


produzione:
Rhombus Media, Roxbury Pictures, micro_scope, Mecanismo Films


sceneggiatura:
Javier Gullón


fotografia:
Nicolas Bolduc


scenografie:
Patrice Vermette


montaggio:
Matthew Hannam


costumi:
Renée April


musiche:
Danny Bensi, Saunder Jurriaans


Trama
Adam è un giovane professore trasandato e depresso, che intrattiene una relazione sentimentale occasionale con la bella Mary. Un giorno, guardando un film consigliato da un collega, si accorge dell'esistenza di un suo sosia: Anthony, attore sposato e in procinto di diventare padre. La ricerca di Anthony diverrà la sua ossessione, ma la scoperta di un proprio doppio non potrà che rappresentare un trauma nella vita di entrambi i protagonisti.