Ondacinema

recensione di Simone Rossi
4.0/10

L'orrore può assumere infinite forme, anche quelle di un film venuto male. E' il caso del nuovo lavoro diretto da Jeff Wadlow e targato Blumhouse. “Fantasy Island” è l'adattamento (vorrebbe essere l'adattamento) virato al cupo e al dark, della serie televisiva anni ottanta, “Fantasilandia”, in cui il signor Roarke (l'azzimato Ricardo Montalbán) e il nano Tatoo (Hervé Villechaize), di bianco vestiti, accoglievano con ghirlande di fiori gli ospiti della loro isola. Un'isola straordinaria, in cui il fortunato di turno poteva vedere avverato un proprio sogno o desiderio. Il leitmotiv della puntata era pressoché sempre lo stesso: la fantasia per la quale si era finiti nell'esotico paradiso si rivelava presto per quel che era, un simulacro di felicità e successo, molto meno seducente di quel che si credeva; ed ecco che di colpo la tanto bistrattata esistenza di tutti i giorni recuperava importanza e significato. L'ospite ripartiva con una nuova consapevolezza, sorridente e sicuro di avere di nuovo in pugno la propria vita.

Quali sicurezze porta, invece, il giocattolone di Wadlow? Innanzitutto la certezza di esser finito fuori tema. Eppure sarebbe bastato soffermarsi sulle note del tema musicale di Laurence Rosenthal per cogliere buona parte del senso dell'universo da raccontare: un'incursione nel fantastico, una specie di “Ai confini della realtà” compresso entro i limiti netti di un'isola circondata dall'oceano; una zona del crepuscolo in cui potessero prendere corpo i sogni al di fuori delle ferree regole del tempo. Ma in questo film nulla riesce a staccare da terra: tutto è, fin dalle battute iniziali, appiattito e scarico. Ho cercato, in tutta franchezza, di riconoscere in ciascuno degli ospiti dell'isola un qualche dettaglio che fosse in grado di trascinarlo fuori da una scrittura asfissiante come un vestito stretto, ma il fiato resta corto e ad ogni piegamento ecco affiorare in controluce i segni di una scucitura. Il primo grave errore consiste nel tenore del racconto. Se “Fantasilandia” riusciva, nei suoi spaccati quarantacinque minuti a episodio, a muoversi con seducente equilibrio tra l'inquietante (lo strano, lo spiazzante) e l'ironico, qui non si sa mai quale direzione prendere: le stesse fantasie degli ospiti danno la misura della confusione che alberga nella mente del regista e dei suoi compagni di sceneggiatura, Jillian Jacobs e Chris Roach, che passano dal dramma sentimentale di una donna, Elena (Maggie Q) che vorrebbe rivivere il momento in cui ha detto 'no' all'amore della propria vita, al sogno ridicolo e delirante di una coppia di improbabili fratelli di “avere ogni cosa”. Nel mezzo sta il sorriso inebetito di Randall, soldato mancato, e l'ossessione un po' scema di Melanie (Lucy Hale) che vorrebbe restituire pan per focaccia alla ragazza-stalker che negli anni della scuola la tormentava.

Direttore d'orchestra, naturalmente, il mr Roarke di Michael Peña che toglie centimetri all'originale, ma aggiunge una certa cordiale rotondità: una variazione decisiva che lo rende poco credibile fin da subito. “È l'isola a decidere”, va sbraitando Roarke (che per essere un personaggio indecifrabile parla fin troppo), “io sono solo un servitore”. Un ribaltamento rispetto al concetto di partenza della serie che nelle intenzioni di Wadlow dovrebbe probabilmente produrre un effetto di maggiore spiazzamento nello spettatore. Ma di isole autocoscienti abbiamo già fatto incetta anni fa con “Lost” del quale peraltro il regista scimmiotta le soluzioni più scontate: in pratica tutto quello che dall'inizio della sesta stagione (l'ultima) in poi, aveva fatto storcere nasi e venire mal di pancia a tanti estimatori di Abrams-Lindelof-Lieber. E se le vicende dei fortunati ospiti lasciano il segno come inchiostro simpatico su un foglio di carta velina, quel che è davvero agghiacciante è la totale incapacità del film di produrre angoscia e (figuriamoci) paura. Wadlow lavora per accumulo: di citazioni sbracate (un clone che piega la testa come neppure Samara dopo mesi di allenamento; un chirurgo-macellaio alla “Creep”; una sala torture tipo “Saw”; una banda di mercenari mascherati come i sodali di Joker ne “Il cavaliere oscuro”, una riemersione dall'acqua che nemmeno Willard in “Apocalypse Now”) e di patetici e reiterati colpi di scena. È come se il famoso twist alla Shyamalan fosse stato sezionato in tante piccole parti così innocue da generare nello spettatore, anziché stupore e meraviglia, un malcelato gesto di stizza e la netta sensazione di aver perso il filo di una matassa tanto ingarbugliata quanto priva di senso.

L'isola resta un corpo inerte, non un solo momento ne avvertiamo il respiro o il battito. Uno scenario da cartolina, senza spessore, in cui il (presunto) dolore del suo più antico abitante – mr. Roarke – è una confusa mescolanza di rimembranze e nostalgia alla quale basta una ramanzina finale per essere spazzata via. Il manifesto di “Fantasy Island”, appena sopra il titolo, ci ricorda che quelli della Blumhouse sono gli stessi produttori di “Scappa – Get Out” e in questa sottolineatura non possiamo che cogliere un inconscio invito a fuggire il più lontano possibile da questo vuoto e inutile prodotto commerciale.


18/02/2020

Cast e credits

cast:
Lucy Hale, Michael Pena, Portia Doubleday, Maggie Q, Austin Stowell


regia:
Jeff Wadlow


distribuzione:
Warner Bros.


durata:
110'


produzione:
Columbia Pictures, Blumhouse Productions


sceneggiatura:
Jeff Wadlow, Jillian Jacobs, Chris Roach


fotografia:
Toby Oliver


scenografie:
Thomas Salpietro


montaggio:
Sean Albertson


costumi:
Lisa Norcia


musiche:
Matthew Margeson


Trama
Un'isola tropicale, un enigmatico proprietario capace di realizzare le fantasie dei suoi ospiti. Ma quando i sogni si trasformano in incubi, l'unica possibilità di salvezza resta la fuga. Adattamento della famosa serie anni ottanta creata da Gene Levitt, "Fantasilandia".