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recensione di Pietro S. Calò
7.0/10

Immaginiamo solo per un istante che il Giovane Werther, pazzo d’amore per la sua Charlotte, invece di spararsi alle tempie decida di, nonostante tutto, continuare a vivere.
Così, ce lo rivediamo baby pensionato e semialcolizzato per le vie di Trastevere, vagare con uno oppure due cani e rispondere alle chiamate sempre più disperate della vispa madre, una nobildonna decaduta che gioca a poker e tracanna Krug ghiacciato e millesimato.

Della sua ardente gioventù, Werther (Gianni, Gianni Di Gregorio, protagonista e regista del film) ha conservato il fisico asciutto, la naturale classe dell’incedere e un rapporto problematico con le donne, una lontana reminiscenza dei tempi eroici e lontani. Ma anche due pesantissime borse sotto gli occhi e una visione della realtà rarefatta, virata nelle tonalità malva e oliva, i violenti blu e verde solarizzati dalla torrida tarda primavera romana.
Così, ancora una volta, Gianni è schiavo dell’amore: per la moglie che lavora e non ha mai tempo; per la figlia che, mal celatamente, lo disprezza di un affetto materno, quella protezione che una donna forte accorda all’uomo colpevolmente debole; per la madre (Valeria De Franciscis) segretamente delusa da un figlio chiuso in un mondo interiore passivo e impenetrabile.
Il suo migliore amico, Alfonso (Santagata) lo tiene in grande considerazione per il suo valore immobile, anzi, soprammobile, impeccabile nello stappare il vino e posizionare correttamente le posate ai lati del piatto; lui, rozzo e panciuto, avvocato dalla “lingua biforcuta”, dedito a puttane e viagra, trova in Gianni una giustificazione morale, una purezza dello sguardo, una correttezza di postura e comportamento che lo fa sentire meno abietto.

Gianni si barcamena malamente e senza costrutto tra le “sue” donne, stressate, mantidi, calcolatrici, iperattive. E non ci si ritrova.
La sua inadeguatezza è il segno più evidente della cifra stilistica del regista Di Gregorio, che sorride molto e amaro ma parla poco, che cammina tanto e non vede nulla, che si muove come un sonnambulo seguito da una tremolante cinepresa a spalla.
E a 60 anni, Gianni, rincontra la sua Charlotte (Valeria Cavalli) che, compagna di scuola e quindi sessantenne pure lei, si è tenuta benissimo coi suoi cibi macrobiotici.
Ma il tempo è carogna e paga il contrappasso al suo sonnambulismo quando lei si addormenta, sorridente, sul divano. Magra consolazione quel sorriso che è allo stesso tempo sentimento gassoso e fiducia.

Secondo gioiellino di Di Gregorio, dopo il sorprendente “Pranzo di ferragosto”.
Il film sta cavalcando l’onda imposta dai genietti del marketing che strizzano l’occhio all’attualità più becera, quella di intercettazioni telefoniche tra un uomo attempato e giovani donne. Ma non si potrebbero accostare personaggi così diversi.
“Gianni e le donne” non è una commedia dalla risata grassa, dal doppio senso birichino, dal movimento che supplisce il fallimento di una vita intera. Si sorride, si stabilisce l’empatia, si diventa tifosi di un “uomo senza qualità” (che a tratti ricorda l’inadeguatezza di Jacques Tati) che ha un ferreo senso del pudore che gli impedisce di dire ciò che vorrebbe invece urlare, che è il mondo intorno a lui ad aver fallito.


11/02/2011

Cast e credits

cast:
Gianni Di Gregorio, Valeria Bendoni, Alfonso Santagata, Valeria Cavalli


regia:
Gianni Di Gregorio


distribuzione:
01 Distribution


durata:
90'


produzione:
Bi.Bi Film, Isaria Productions


sceneggiatura:
Valerio Attanasio - Gianni Di Grigorio


fotografia:
Gogò Bianchi


scenografie:
Susanna Cascella


montaggio:
Marco Spoletini


costumi:
Silvia Polidori


musiche:
Carratello - Ratchev


Trama
Gianni, baby pensionato e semialcolizzato, si barcamena malamente e senza costrutto tra le “sue” donne, stressate, mantidi, calcolatrici, iperattive. E non ci si ritrova.
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