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recensione di Antonio Pettierre

Robert Wise (1914-2005) ha attraversato la storia del cinema hollywoodiano dirigendo una serie di pellicole fondamentali. Nasce professionalmente come montatore, collaborando direttamente con Orson Welles in “Quarto potere” e subito dopo ne “L’orgoglio degli Amberson”, diventandone anche regista non accreditato delle scene aggiunte dopo che Welles fu estromesso dalla produzione (per questo motivo il maestro americano si sentì tradito dal giovane collaboratore e da quel momento ruppe qualsiasi rapporto con lui). Wise è autore che ha sperimentato diversi generi: dall’horror (“La iena” del ’45) al western (“Due bandiere all’Ovest" del ’50) fino alle pellicole nell’ambiente della boxe (“Stasera ho vinto anch’io” del ’49 e “Lassù qualcuno mi ama” del ’56). Ma è ricordato soprattutto per film di fantascienza iconici, come “Ultimatum alla Terra” (1951); “Andromeda” (1971); “Star Trek” (1979); e per i suoi musical “West Side Story” (1961) e “Tutti insieme appassionatamente” (1965) che gli diedero fama e successo, con la consacrazione agli Oscar come miglior regista.

Hill House, architettura vivente

“Gli invasati” s’inserisce tra i due grandi musical hollywoodiani. Girato negli studi inglesi di Borehamwood, a pochi chilometri da Londra, è un film a basso budget e con un cast limitato e ispirato al famoso romanzo “L’incubo di Hill House” della scrittrice americana Shirley Jackson. Wise resta fedele alla storia traducendo sullo schermo un testo prettamente psicologico e intimista, riuscendo a ricreare le atmosfere di ansietà e orrore con i mezzi cinematografici.
Il dottor John Markway (Richard Johnson), antropologo ed esperto di parapsicologia, conduce un esperimento scientifico in un’antica villa, Hill House, che si crede maledetta. Vuole trovare prove di infestazioni di forze soprannaturali con l’aiuto della sensitiva Theodora (Claire Bloom) e di Eleanor Lance (Julie Harris). Si rinchiude così nella casa insieme alle due donne e al nipote della proprietaria, il giovane ereditiere Luke Sanderson (Russ Tamblyn).
“Gli invasati” fin da subito si dimostra come una classica ghost story nella sua struttura narrativa, ma si discosta dagli stilemi del genere ben presto, trasformandosi in un horror psicologico. Fin dalle prime inquadrature la vera protagonista della storia è Hill House, non semplice genius loci, ma un personaggio con la propria personalità perturbante, vivente, che si rapporta da subito con Eleanor che diviene la controparte umana. Il legame malato tra la donna e la casa viene messo in scena con espedienti esplicativi visivi e sonori. Da un lato abbiamo la voce interiore di Eleanor che racconta allo spettatore le personali sensazioni e turbamenti, dall’altro una serie di inquadrature in cui i controcampi sono su Hill House con la sua imponenza architettonica esteriore dal sapore gotico e gli interni dallo stile barocco, dove le finestre buie diventano uno sguardo onnisciente che si allunga su tutti i presenti e in particolare su Eleanor che subisce l’influenza della villa.
Wise rifiuta il ricorso a effetti speciali o ad apparizioni fantasmatiche, costruendo la tensione attraverso il sonoro e la macchina da presa. Così, facendo tesoro della lezione wellesiana, il regista utilizza il grandangolare per deformare le immagini, la profondità di campo nei totali dove sono presenti spesso i quattro personaggi, i primi piani sui volti spaventati con zoomate improvvise su dettagli scenici di un arredo pesante e opprimente. Wise alterna movimenti di macchina circolari degli interni di Hill House che diviene il quinto personaggio contenente i corpi attoriali, struttura geometrica che pulsa e vibra. Interessante è poi l’utilizzo del sonoro, con sospiri, rumori improvvisi, lamenti e dialoghi incomprensibili, in particolare durante le ore notturne. La commistione tra immagine e sonoro creano la bolla onirica in cui Eleanor rimane imprigionata e a cui non riesce a sfuggire.
C’è tutto il primo segmento iniziale in cui Wise racconta per brevi scene, con diverse dissolvenze incrociate, in cui si vedono le diverse morti - della moglie del proprietario, della figlia, della governante - tributi sacrificali al famelico appetito di forza vitale che Hill House richiede ai suoi ospiti. Questo continuo confronto corporeo tra la carne e il fabbricato avviene con la macchina da presa che Wise utilizza come un endoscopio che s’introduce nelle viscere della casa, attraverso i corridoi, le stanze, le scalinate, in un esame continuo di un inner space fisico e mentale.

Hill House, proiezione psichica femminile

Del resto, il tema principale de “Gli invasati” diventa un’analisi psicoanalitica di una donna – Eleanor – nevrotica e depressa, costretta a svolgere un ruolo di badante della madre malata per undici anni. Eleanor passa da una prigione – la casa materna – a un’altra – Hill House – senza soluzione di continuità, presupponendo che tutto si stia verificando nella sua testa.  Hill House diventa così la proiezione delle angosce di Eleanor e la materializzazione della villa dei Crain non è altro che la rappresentazione dell’inconscio della protagonista. Il dottor Markway si trasforma in uno psichiatra che sta effettuando un’anamnesi accurata della mente di Eleanor, vera e unica “fantasma” di Hill House, presenza-assenza/interna-esterna dello spazio in cui si muovono tutti gli altri personaggi. Così Theodora è la proiezione femminile emancipata che vorrebbe essere, Luke il mascolino infantile del suo subconscio e il dottor Markway la guida paterna e matura, oggetto di transfert del suo mondo emotivo.
“Gli invasati” si evolve da semplice storia di fantasmi e di case stregate a un horror sinestetico, dove la forma filmica traduce il contenuto psichico della protagonista.
I cinque sensi sono messi in scena per dettagli ripetuti, in un’iterazione della personalità di Eleanor e della sua transustanziazione in Hill House.
Dal punto di vista visivo – elemento dominante della pellicola – abbiamo un continuo utilizzo dello sguardo e della proiezione in specchi di Eleanor. Il primo è quando la donna entra in casa e il suo riflesso è inquadrato nel pavimento della hall; poi subito un secondo in uno specchio posto in cima alla scala principale in cui si riflette Eleanor e si spaventa vedendosi; una terza nella sala da pranzo, mentre la mdp inquadra il dottor Markway e si vede l’immagine di Eleanor nello specchio posto alle sue spalle mentre lei mangia, con la realizzazione di uno sguardo onnisciente capace di riprendere il corpo di Eleanor anche quando lei è fuori campo. Abbiamo poi una serie di brevissime inquadrature di Eleanor e Theo nello specchio della camera da letto (se ne possono contare quattro) durante la seconda notte in cui si sentono le voci della casa.
Il senso dell’olfatto è messo in evidenza nella scena in cui Eleanor si rifiuta di entrare in biblioteca perché sente uno strano odore: lo stesso puzzo malato che emetteva la madre quando l’accudiva e da cui fugge. L’odore lo sente solo Eleanor a riprova come la messa in scena sensitiva non è paranormale, ma solo una rappresentazione sinestetica della donna.
La sfera sensoriale tattile è mostrata durante la notte, mente Eleanor spaventata dai rumori che sente crede che sia Theodora a tenerle la mano, per poi accorgersi che lei si è addormentata sul divano, mentre Theodora è sul letto della stessa stanza.
L’atto del gustare viene messo in scena durante le scene della colazione e della cena a orari stabiliti (alle 9 e alle 18) in cui Eleanor mangia.
Infine, il senso dell’udito è, con quello visivo, rappresentato diegeticamente in modo costante per tutto il film (a titolo di esempio le voci e i rumori della seconda notte, gli scricchiolii della scala a chiocciola, l’arpa dello studio che emette dei suoni senza essere toccata).
Wise mette in serie le varie sequenze de “Gli invasati” utilizzando un montaggio connotativo, in cui i primi piani di Eleanor (e degli altri personaggi) si alternano con dettagli dell’arredo e dell’architettura di Hill House per rafforzare il conflitto interiore della protagonista, dando un senso specifico al travaglio interiore del personaggio. Le dissolvenze incrociate hanno poi una doppia funzione: se nell’incipit mostrano il fluire del tempo, nella parte centrale del film esse sono passaggi onirici, mentali, dove Eleanor è sempre il soggetto dell’operazione.

Regista poliedrico e capace utilizzatore delle possibilità del mezzo cinematografico, Robert Wise dirige un film in cui il dettagliato e ricco profilmico, la messa in quadro estrema, il montaggio che fonde l’immagine e il suono creano un’opera di grande fascinazione tout court. La profondità scopica va di pari passo con quella psicologica e “Gli invasati” risulta un esempio di horror di “atmosfera” tra i meglio riusciti della storia del cinema.


06/01/2019

Cast e credits

cast:
Julie Harris, Claire Bloom, Richard Johnson, Russ Tamblyn


regia:
Robert Wise


titolo originale:
The Haunting


durata:
112'


produzione:
Argyle Enterprises, Mgm


sceneggiatura:
Nelson Gidding


fotografia:
Davis Boulton


scenografie:
Elliot Scott


montaggio:
Ernest Walter


costumi:
Maude Churchill, Mary Quant


musiche:
Humphrey Searle


Trama
L’antropologo John Markway, esperto di parapsicologia, prende in affitto villa Crain nel New England per approfondire gli studi sulle case infestate da fantasmi. Invita una serie di testimoni con poteri paranormali, ma si presentano solo la sensitiva Theodora ed Eleanor Lance, testimone da bambina di un evento extrasensoriale, oltre a Luke Sanderson nipote della proprietaria ed erede della villa. Per Eleanor è la prima uscita dalla casa familiare dove per undici anni ha accudito una madre malata e possessiva. La giovane donna, estremamente fragile emotivamente, fin da subito avverte una strana presenza nella villa che trasformeranno la sua permanenza in un vero e proprio incubo a occhi aperti.