Ondacinema

recensione di Pietro S. Calò
7.5/10
Una mano bussa e riceve, del pane. Più avanti si ferma per un ringraziamento al cielo, velato.
Nel suo vagare solitario e silenzioso può essere un santo o un demone; difficilmente entrambe le cose. Impossibile sia un uomo.

Nei dintorni di Calais, suo luogo natio, Bruno Dumont documenta, col suo stile ellittico e crudo, il perlustrare di un giovane in blue jeans (David Dewaele) lungo un paesaggio ruvido e frastagliato, ventoso e silenzioso, lussureggiante e arido come sanno esserlo le pianure a ridosso del mare, esaltato dallo schermo panoramico, da una fotografia gelida e dal suono rigorosamente diegetico in presa diretta.
Il ragazzo ha una amichetta (Alexandra Lemâtre), una post-adolescente vagamente dark che lo sfama e lo stira; per il resto, in un ambiente in cui solo le foglie si muovono, i due vagano per i campi, si stendono sulla sabbia, lui accende "il suo fuoco". In effetti sembra il preludio a uno di quei fattacci di cronaca nera che sono il vanto delle sonnacchiose province di tutto il mondo, quando si industriano a creare mostri che li somigliano.
E, infatti, di mostri ce ne sono, addirittura due, entrambi calamitati dall’indifferenza post-adolescenziale della ragazza che, semplicemente non li desidera. Da qui il desiderio frustrato che i mostri li crea e li nutre e di cui lei, per ben due volte, rimane vittima.
Come che sarà, e lo vedremo presto, il film di Dumont si dispiega con un rigore bressoniano: un modico uso di parole appena intellegibili, uno ampio e simbolico dell’inanimato e una scarsa, praticamente nulla, concessione al sentimento. In una parola: le cose così come sono, salvo che Dumont non ha nessuna Grazia incombente da mostrare, nessun "strano cammino" (il bressoniano "drôle de chemin") da seguire e i suoi personaggi sembrano agiti da una pre-morale che si potrebbe tranquillamente giuntare tra i due fotogrammi in cui Kubrick fece diventare astronave un osso (2001: odissea nello spazio). 
E, avendo citato un mostro di tecnica, è bene annotare la sua di maestria, di Dumont, capace di incollare lo sguardo del pubblico per tutte le quasi due ore di film attraverso un uso scientifico dell’ellissi e del falso raccordo. Difatti, a fronte di una storia anti-spettacolare, quasi muta, disturbata dal vento, frammentata da moltissime inquadrature di una natura indifferente, eloquenti sì ma in senso lato, restiamo tutto il tempo nell’attesa di sapere chi sta guardando cosa, il nodo di tutta la questione, e l’attesa si scioglie molto dopo i naturali raccordi che sono, quindi, spesso falsi e non seguono la regola del ping-pong campo/controcampo.
Notevole, da questo puto di vista, è il gioco degli sguardi-movimenti che dopo le bastonate al "guardiano" (un giovane sentimentalmente attratto dalla ragazza e perciò picchiato da "lui", a causa del sentimento) negano la complicità della strana coppia in quanto lui la sorprende alle spalle e la spaventa pure mentre lei fissava voluttuosa un orizzonte che avevamo immaginato fossero le bastonate a quel poveraccio sentimentale.
Rimarchevole è anche il falso raccordo angolare (quello particolarmente amato da Godard, specie in "À bout de souffle") nel quale "lui" spara al padre di lei avendolo perfettamente in asse ma colpendolo dritto al cuore, come se il pallettone portasse inciso il nome della vittima e facesse una curva per colpirlo mortalmente. D’altra parte, tale sequenza è frammentata in un campo/piano d’insieme quasi a sottolinearne l’aspetto grottesco, registro in cui Dumont si rivelerà, nel tempo, particolarmente versato.

Bruno Dumont avrebbe voluto frequentare l’IDHEC (la prestigiosa scuola di cinema parigina) ma fu bocciato all’ammissione e deviò sugli studi di filosofia, storia delle religioni per l’esattezza, per poi laurearsi con una tesi sull’estetica del cinema sotterraneo.
Insegnante di liceo, gira il suo primo film ("La Vie de Jésus", 1997) e dirige e monta un fracco di pubblicità: trattori, caramelle, prosciutti… e queste probabilmente spiegano l’affinamento delle naturali capacità di sintesi e di cattura dell’attenzione. Si aggiungano infine i suoi studi, temperati dal suo talento, che sono il nerbo e del film e della sua poetica di cui ora diremo. Un individuo decisamente interessante.

È molto difficile riportare una storia in cui sia stata abolita la Legge: i protagonisti non ce l’hanno, non hanno nome, li scopriamo solo nei titoli di coda. Le gars (lui, il ragazzo), Elle (lei), le garde (il bastonato), la gamine (una bimba posseduta), la routarde (la viandante, posseduta pure lei).
Solo il cane è sottoposto alla Legge, in quanto sottomesso al suo padrone (un maniaco sessuale): si chiama Hugo.
Chi sono in realtà Le gars e Elle?
Non fanno coppia (lui se ne sottrae, senza motivo né spiegazione: c’est comme ça, dice), non vivono insieme, quasi non si parlano e certamente poco si capiscono. Eppure sono misteriosamente legati, fino al sangue. Le gars sembra una sorta d’asceta in questo villaggio sperduto tra casolari sperduti in cui l’Oceano fa da guardia e barriera. È il posto apocalittico in cui "non si può vendere né comprare" come appare chiaro alla sessantesima sigaretta che Le gars fuma o offre a Elle sicché la domanda sorge spontanea: come se le procura?
Sì, ci sono delle strade, ma perennemente deserte e silenziose, in cui un gruppetto di bikers, che sicuramente si era perduto, riprende impaurito la via, di certo sconosciuta ma almeno lontana da quel posto dimenticato da Dio.
Ecco, Dio. Aleggia, indesiderato: lo stato pre-morale lo rigetta.
Dumont, spesso interrogato al proposito, ha sempre ribadito il suo orgoglioso laicismo, votato al "dubbio" e avverso al "clericalismo". Dopotutto, una posizione banale che condivide tranquillo con qualche miliardo di persone. Inutile controbattere con l’elenco dei "prestiti": la scacciata dei demoni, la resurrezione, la preghiera. Il timido accostamento a Dreyer, a "Ordet", è facilmente smontabile: la resurrezione di Dumont non è un percorso doloroso ma un fatto. Di mano sinistra. Accade. E Le gars lo sa senza vederlo. E qui si accende il primo campanello d’allarme.
La rapprentazione della Natura che, un po’ meno timidamente, aveva fatto sussurrare il nome di Malick e specialmente il suo "The Tree of Life" (praticamete coevo) regge pochino anche lei: uomini e Natura nei film di Malick si compenetrano nella Gioia degli esseri viventi, al punto di doverne pure sfruttare gli effetti patetici del ralenti, delle voci fuori-campo, dei contro-plongée… In "Hors Satan" (al di fuori di satana, ma dentro non sappiamo ancora cosa) difatti non c’è Legge e non c’è morale (per la felicità di Nietzsche) ma non c’è neanche Grazia e nemmeno Gioia (e qui Nietzsche sarà meno felice).
In effetti pare esserci appena l’individuo che ha impetrato in sé il Bene e il Male (e poi va dallo psicologo perché non sa più chi è).
E allora analizziamo anche noi. Cerchiamo di cogliere Le gars, e ben presto anche Elle, nei suoi momenti più rivelatori, nei suoi momenti di raccoglimento, quando pare pregare: a chi si rivolge? Ma soprattutto: prega per davvero?
I commentatori sono tutti abbastanza d’accordo preghi il Sole.
Da uno studioso della storia delle religioni ("laico") la cosa è plausibile. È una corrente abbastanza nutrita quella che squalifica le religioni (soprattutto quelle del Libro) a causa dei culti pre-morali (Mitra, Horus, Apollo eccetera, fino a Gesù Cristo fatto nascere il giorno della celebrazione del Sol Invictus, 25 dicembre) di molto anteriori e perciò copiati e adattati.
Ma se Dio è assente, Le gars non sta pregando nessuno e l’impressione è proprio quella, come dimostrano un certo disordine rituale in quei pur brevi raccoglimenti, il suo ceffo leggermente interrogativo più che assertivo, e le espressioni di Elle che, quando si raccoglie per la prima volta inizia a vagare con lo sguardo e con la bocca aperta, in totale inconsapevolezza insomma, e quando lo farà da sola per la seconda volta sembra invece aver penetrato la nebbia ma non ci è detto come.
Chi è allora Le gars?
Probabilmente un demone, una figura di mezzo, dotato di poteri di cui è totalmente inconsapevole. E che forse ha trovato il suo complementare in Elle, come sembra testimoniare una frase buttata lì, "sei sulla Luna?", la Luna, l’acqua, l’occhio sinistro di Horus come lui ne è quello destro, il fuoco.
Se così fosse, una buona parte del film va a raccontare, sottotraccia, una contro-iniziazione nel mentre seguiamo sullo schermo la Gendarmerie (altra categoria inferiore, sottoposta alla Legge) nelle sue indagini sconclusionate.
Le gars, col fuoco del fucile, ha sciolto pre-moralmente ("abbiamo fatto ciò che dovevamo") una colpa da punire (la Giustizia non è contemplata nel mondo pre-morale).
Una seconda situazione rompe gli indugi: le mani si macchiano di sangue e Le gars, per la prima volta, è costretto all’acqua, a laversele (da Caino a Pilato i riferimenti si sprecano). Da quel punto in avanti, tutto cambia. Le gars ne aveva già avuto avvisaglia, e paura, quando per gioco punta il fucile verso un albero, in alto dove cinguetta un uccellino, e abbatte un quadrupede cerbiatto che poi finisce a colpi di pietra. E allora, dopo aver posseduto (in tutti i sensi) e poi liberato una viandante (la routarde), è tutto pronto per l’iniziazione.
È scoppiato un incendio, Elle non può guardarlo, le è "insostenibile". Le gars, mostrandole uno strettissimo passaggio che divide in due un corso d’acqua le promette che se lo percorrerà tutto l’incendio si spegnerà. La ripresa panoramica di questo profondissimo bacino su cui corre lo strettissimo camminatoio dà l’impressione, frusta, di un camminare sulle acque. Meglio, assomiglia al passaggio per la cruna dell’ago che in senso tradizionale è il cammino che annulla la morte.
Elle avrebbe voluto guardarsi indietro ma l’esiguità dello spazio glielo ha impedito. Siamo nell’era pre-morale, è assente e la Fede e il Libero Arbitrio che dannarono Lot e Orfeo (le loro mogli) ma non Dante (nel "Purgatorio").

E così un altro demone è stato ordinato (o forse due, tre: la bambina, la viandante; forse quattro: il cane) e, finita la missione, Le gars lascia il villaggio in compagnia di Hugo.
Un film decisamente da vedere. Il voto è puramente indicativo.

03/10/2017

Cast e credits

cast:
David Dewaele, Alexandra Lemâtre, Christophe Bon, Juliette Bacquet, Aurore Broutin


regia:
Bruno Dumont


titolo originale:
Hors Satan


distribuzione:
Pyramide Distribution


durata:
110'


produzione:
3B Productions


sceneggiatura:
Bruno Dumont


fotografia:
Yves Cape


scenografie:
Martin Dupont-Domenjoud


montaggio:
Basile Belkhiri - Bruno Dumont


costumi:
Alexandra Charles


Trama
Una mano bussa e riceve, del pane. può essere qualsiasi cosa: un santo o un demone; difficilmente entrambe le cose. Impossibile sia un uomo.