Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
5.0/10

Carlo Virzì è il fratello minore del più famoso Paolo, regista a cui è stato dato l'onere (a discapito degli onori) di essere l'unico erede della commedia all'italiana, e ha sempre collaborato col Virzì maggiore come compositore delle colonne sonore (è stato anche attivo con la band Snaporaz). Nel 2006 esordisce dietro la macchina da presa con "L'estate del mio primo bacio", scritto insieme al fratello.

"I più grandi di tutti", presentato in anteprima al 29° Festival di Torino, è un'opera seconda dalla trama per certi versi più autobiografica, visto che Virzì si confronta con sogni rock ‘n' roll infranti nell'apatia della vita della provincia livornese.
I Pluto sono una band della scena underground e negli anni Novanta vanno in giro a fare concerti su e giù per la penisola: pubblicano un paio di album e vendono i diritti di una canzone per uno spot pubblicitario, dopodiché, per tensioni interne, si separano e non si sentono per quindici anni. L'infame mondo della musica li dimentica in fretta. Un vecchio fan, giornalista per passione e dalle infinite risorse economiche, riesce a contattare Loris, il batterista, che ora ha moglie, figlio e il vecchio furgoncino della band con il quale si sposta per Rosignano Solvay. L'appassionato che è in Ludovico vuole riportare attenzione su questo misconosciuto gruppo toscano attraverso un documentario ma, per farlo, Loris deve ritrovare gli altri tre componenti che, d'altra parte, non stanno messi molto meglio di lui: Sabrina, la bassista, si è nascosta dietro una facciata borghese, il chitarrista Rino fa l'operaio e si occupa dell'anziano padre, mentre il frontman, Maurilio, lavora in un pub come barman, bevendo molti più cocktail di quelli che riesce a shackerare. Eccezion fatta per il mite Loris, tra gli altri scorrono vecchi rancori, oltre alla relazione sentimentale mai veramente conclusa tra Maurilio e Sabrina.

La storia de "I più grandi di tutti" è quindi quella di una reunion, un riguardarsi indietro e chiedersi "com'è potuto accadere?" e "cosa è accaduto?". Le nostalgie e i passatismi sono però messi al bando: i componenti dei Pluto si sono sciolti senza grossi rimpianti e se non fosse per Ludovico, per la sua smodata passione, e per la pietà che suscita nei quattro ex-compagni la sua condizione di paraplegico, non si sarebbero mai più rivisti. Il punto che poteva essere centrale nel film si sposta progressivamente ai margini della narrazione e si tratta dell'iper-cinematografica dialettica tra il mito e la dura realtà: l'idealizzazione del fan e i ricordi dei protagonisti dall'altro lato del palco. Se Ludovico è un pozzo senza fondo di aneddoti e dettagli, avendo partecipato a più di quaranta live della band insieme alla sua ragazza di allora (che poi, si scoprirà, essere il motivo principale del fanatismo del giovane), i componenti dei Pluto non ricordano proprio niente: loro facevano quello che facevano senza grande impegno, quasi come se si trovassero lì per caso; i concerti si susseguivano l'uno dopo l'altro e, storditi da alcol e droghe leggere, ogni cosa appare annebbiata e lontana. Eppure, grazie alla generosità di Ludovico, riescono a ottenere una seconda chance, se non per diventare rockstar, almeno per ricomporre i cocci di un'esistenza che non sanno gestire (il giornalista dirà all'assistente-factotum Saverio che non avrebbe mai pensato che potessero rivelarsi così fragili). In fondo anche il personaggio interpretato da Corrado Fortuna ha dei conti in sospeso col passato che riuscirà a chiudere proprio grazie all'incontro coi suoi idoli di gioventù.

Carlo Virzì articola la basica regia tra inquadrature totali e primi piani, per un tranquillo montaggio invisibile, rotto soltanto dall'uso dello macchina a mano nei momenti più musicali. Resta però evidente una mancanza di estro e di personalità (anche nello sviluppo dei caratteri) che incaglia il film su binari scontati: "I più grandi di tutti" si iscrive in una sorta di filone della commedia italiana degli ultimi anni, quello degli "immaturi" che è pure il titolo del film di Paolo Genovese. La verve brillante si spinge verso gli orizzonti tipici della comica volgarità toscana, gli interpreti (in particolare, una rozza e sopra le righe Claudia Pandolfi) si rivelano essere il solo punto forte di un film che si svolge stanco e meccanico, e che, dopo una partenza spigliata, finisce per ripiegarsi sugli oziosi lidi del "ritrovarsi" insieme e cresciuti, ma fedeli a se stessi. 

Insomma, i Pluto non si rivelano a posteriori come la più grande rock band che l'Italia abbia mai avuto (com'era nei ricordi di Ludovico), bensì come un gruppo di amici che si divertiva a cazzeggiare con gli strumenti e a scrivere testi non-sense. L'importante è prendere atto dei propri limiti.


07/04/2012

Cast e credits

cast:
Alessandro Roja, Claudia Pandolfi, Marco Cocci, Corrado Fortuna, Dario Cappanera, Francesco Di Gesù, Catherine Spaak


regia:
Carlo Virzì


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
99'


produzione:
Rai Cinema, Eagle Pictures, Indiana Production Company, Motorino Amaranto


sceneggiatura:
Carlo Virzì


fotografia:
Ferran Paredes


scenografie:
Roberto De Angelis


montaggio:
Simone Manetti


costumi:
Maria Cristina La Parola


musiche:
Carlo Virzì


Trama
Quindici anni fa, I Pluto, erano una rock band; energici, sboccati e provinciali come da tradizione del rock. Da una piccola cittadina industriale sul litorale toscano, avevano girato in lungo e largo il circuito alternativo nazionale, inciso un paio di album, e piazzato anche un brano in uno noto spot televisivo. Maurilio detto Mao era il cantante, Sabrina la bassista, Loris il batterista e Rino il portentoso chitarrista. Poi, sempre secondo tradizione, i quattro litigarono e si persero di vista; ognuno in fondo perso dietro ai fatti suoi, come direbbe Vasco. La memoria di quell'esperienza avventurosa e sfrenata sembra essersi perduta per sempre, nessuno ha più idea di chi fossero "I Pluto". Finché un giorno, Loris il batterista, non si vede recapitare una sorprendente e-mail...
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