Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
6.5/10

In "Hollywood, Hollywood!" Charles Bukowski descrive alla sua maniera Barbet Schroeder, che nel romanzo viene rinominato Jon Pinchon, il regista che ha assoldato Hank Chinaski per scrivere la sceneggiatura di un film (si tratta di "Barfly", 1987). Lo scrittore rimane colpito da questo europeo che vive a Los Angeles,  venderebbe sua madre pur di trovare i soldi per girare il film e che ha realizzato un ardito documentario su un feroce dittatore ugandese, "Idi Amin Dada" (1974). Quel film rappresenta un primo ritratto di una galleria di caratteri ambigui e malvagi sempre presenti nel cinema di Schroeder ma che insieme a "L’avvocato del terrore" (2007) e al presente "Il venerabile W." formano una sorta di trilogia documentaria sul male.

Sin dall’inizio, al centro dell’inquadratura, vi è Ashin Wirathu (questo il nome dietro la più iconica W) che spiega il suo pensiero con una similitudine fulminante: i musulmani sono come i pesci gatto che si riproducono rapidamente, sono violenti e distruggono l’ambiente circostante. Il regista franco-svizzero, che dedica questo suo lavoro al monaco buddista che nel 2013 si meritò una copertina del "Time" che titolava "Il volto del terrore buddista", lascia ampio spazio alle parole e ai sermoni di Wirathu senza mai intervenire direttamente (al contrario di quanto fa Nanni Moretti coi carcerieri in "Santiago, Italia"). Wirathu è diventato all’inizio degli anni 2000 uno dei leader del Movimento 969, tenendo discorsi in cui invitava a boicottare i negozi musulmani, a evitare che le ragazze iniziassero delle relazioni coi non buddisti, predicando un maggiore controllo politico sulle imprese musulmane poiché il loro evidente piano era l'islamizzazione della Birmania.  Come commentario è inserita la voce fuori campo di Bulle Ogier che recita quelli che sono i fondamenti del buddismo e gli insegnamenti del Buddha sulle immagini al ralenti di umili monaci che si muovono per strada o si mettono in fila per ricevere la razione di riso: in tal senso, al regista, sono sufficienti i primi dieci minuti per spiazzare il proprio pubblico, disorientato dalle parole d’odio di Wirathu e dall’immaginario pacifico e mite che in Occidente siamo soliti associare al Buddismo. Ma "Il venerabile W." non è semplicemente la rappresentazione di un eccentrico monaco dalle idee estremiste e islamofobe bensì una più interessante analisi sulla pervasività della propaganda d'odio e sulla fertile relazione che sempre può allacciarsi tra religione e potere politico. Dopo una prima parte in cui si racconta la storia di Wirathu, dalle origini a Kyaukse fino alla monacazione, il suo percorso interno al "969" si intreccia inevitabilmente coi movimenti di protesta birmana e agli episodi di violento contrasto tra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. Shroeder, per spiegare la crisi dei Rohingya, è costretto ad allargare lo sguardo alla storia del Myanmar utilizzando un reportage d’epoca che raccontava delle conseguenze della cosiddetta operazione "Dragon King" che nel 1978 aveva come obiettivo quello di espellere gli stranieri dalla regione di Rakhine: la minoranza denunciava alle telecamere della tv francese di aver subito violenze di ogni tipo. Le interviste ad altre personalità, tra cui un giornalista spagnolo e Matthew Smith di Fortify Rights, spiegano come i sermoni di Wirathu, per i quali è stato incarcerato nel 2002 divenendo dunque un simbolo del movimento, facessero leva su un sentimento di paura e sospetto molto radicato nei confronti della comunità islamica percepita come una minaccia crescente, benché in un paese la cui stragrande maggioranza (circa il 90%) della popolazione resta buddista. Il documentario non manca di sottolineare come la discrasia tra realtà dei dati e percezione sia una costante anche nelle democrazie europee, sebbene Schroeder non si soffermi su come si possa dedurre dalla parabola di Wirathu una fenomenologia comune a questo ritorno all’isolazionismo xenofobo, scandito dall’individuazione di un nemico, dall’ingigantimento della minaccia e dal marketing dell’odio. E in questa direzione si muove l’organizzazione per la protezione della razza e della religione Ma Ba Tha, nato in seno al Movimento 969 e guidato da un gruppo di monaci tra cui Wirathu, che ha capillarizzato la propria presenza sia sul territorio che sul web, facendo opera di proselitismo e propaganda tramite la realizzazione e la diffusione di materiali audiovisivi.

La terza sezione de "Il venerabile W." si concentra sulle esplosioni di violenza tra cui le rivolte di Rakhine del 2012, dove, a quanto pare a causa dello stupro e dell’omicidio di una ragazza buddista, si è scatenata una lunga ondata d’odio contro i musulmani rohingyani che ha provocato decine di morti e centinaia di case bruciate: tutto questo nell’indifferenza generale del regime politico-militare. Shroeder adopera foto, estratti da reportage e video realizzati con gli smartphone da chi era presente ai riot mostrando le immagini di protesta violenta da parte della comunità islamica e, in seguito, questi costretti a fuggire dalle proprie case date alle fiamme, cadaveri carbonizzati, finanche osservare, a distanza di sicurezza, l’inseguimento e l’agghiacciante linciaggio di un uomo a cui partecipa anche un monaco buddista. Il materiale eterogeneo con cui il regista ha realizzato il film sembra frutto di un lavoro di ricerca lungo e tutt'altro che lineare, ma anche conseguenza di un limite di struttura riguardante, da una parte, la necessità di una mappatura delle problematiche storiche, sociali ed etniche interne al Myamar e, dall’altra, l’analisi della fenomenologia di W.. Il risultato finale è dunque apprezzabile ma a tratti confuso e inevitabilmente incompiuto, sia perché degli eventi il racconto è frammentario, sia perché documenta una realtà ancora in divenire. Infatti, dopo la rivoluzione di Safran (2007), è iniziato il lento e difficoltoso traghettamento verso una forma di democrazia del regime militare birmano in cui Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, ha giocato un ruolo di primo piano. In questa fase di transizione il peso politico di Wirathu e del clero che agita il gruppo Ma Ba Tha è notevolmente aumentato, tanto da ottenere una legiferazione sui temi della protezione della razza e della religione dalle forti ripercussioni per la minoranza musulmana: come lui stesso spiega, tirando un sospiro di sollievo per le sorti della popolazione birmana, vi sarà il divieto della poligamia, il controllo delle nascite (un figlio ogni tre anni) e il matrimonio misto sarà permesso solo dopo la conversione al buddismo. E qui "Il venerabile W." si avvia ai titoli di coda mentre la storia va avanti, con la stella di Wirathu in discesa e l’emergenza umanitaria della comunità Rohingya che continua, mentre Aung San Suu Kyi, oggi informalmente capo del governo, nega che in Myanmar si stia attuando una persecuzione su base etnica.    


23/03/2019

Cast e credits

cast:
Ashin Wirathu, U. Zanitar, Kyaw Zayar Htun, U. Kaylar Sa, Matthew Smith, Carlos Sardiña, U. Galonni, Abdul Rasheed


regia:
Barbet Schroeder


titolo originale:
Le vénérable W.


distribuzione:
Satine Film


durata:
100'


produzione:
arte France Cinéma, Bande a Part Films, Les Films du Losange


sceneggiatura:
Barbet Schroeder


fotografia:
Victoria Clay-Mendoza


montaggio:
Nelly Quettier


musiche:
Jorge Arriagada


Trama
In Birmania, il "venerabile W." è un monaco buddista rispettato e influente. Incontrandolo, ci si ritrova immersi nel cuore del razzismo e si osserva come l'islamofobia e i discorsi basati sull'odio si trasformino in violenza e distruzione. Eppure, vive in un paese dove il 90% della popolazione ha adottato la religione buddista, fondata su uno stile di vita pacifico, tollerante e non violento.