Ondacinema

recensione di Federica Bello
7.0/10
Se un pescatore palestinese, povero in canna, invece di un bel tonno rosso, pesca dal mare un grosso maiale vietnamita, beh è davvero un fatto insolito! Eppure è quel che capita a Jafaar, protagonista del nuovo film di Sylvain Estibal. Il porco, oltretutto, è considerato impuro nelle terre di Allah: non può essere mangiato, toccato, e men che meno posseduto. Jafaar, cerca inizialmente di sbarazzarsi dell'animale, ma poi scopre che Yelena, una ragazza ebrea, è disposta a comprare lo sperma del suo grasso maiale.

Il regista francese realizza una pellicola carica di bellezza, ironia e speranza. Al centro delle polemiche è la questione israelo-palestinese: se gli Ebrei trattano con estrema diffidenza il popolo islamico, quest'ultimo, dal canto suo, non fa nulla per spezzare i pregiudizi, contraccambiando i sentimenti di odio e xenofobia. Il porcellino diventa un'abile scusa per rappresentare i paradossi di questo lungo conflitto: immondo sia per gli israeliani che per i palestinesi, il maiale è, da un lato, lo specchio della pazzia che spinge entrambe le popolazioni l'una contro l'altra, dall'altro un ironico punto di contatto fra le parti; "questo maiale vietnamita è la mia colomba di pace", ha commentato il regista. Jafaar e Yelena, separati da una rete di metallo e uniti dal suino, pian piano diventano amici: "una famiglia", recita Jafaar tra le ultime battute.
L'espediente della rete metallica, quale strumento di scissione fra culture ed etnie,  ricorda "Il bambino con il pigiama a righe" del britannico  Mark Herman. Il regista utilizzò questo stratagemma per evidenziare la sottigliezza che intercorre fra il concetto di reclusione e libertà. Anche in questo caso, la maglia di ferro che allontana i personaggi rende tutti, indistintamente, sia prigionieri che vittime della separazione.

Lo stampo francese della pellicola è inconfondibile. La sceneggiatura è ricca di dialoghi al limite tra la poesia riflessiva e l'ironia sagace, pungente. Ogni instante è scandito da una colonna sonora che evoca meravigliosi quadri fotografici, immersi nell'oceano onirico. Tutta la confezione vince grazie alla simmetria perfetta tra la volontà registica e il talento degli interpreti. Magistrale la prova di Sasson Gabay, che si destreggia abilmente tra momenti di grande ilarità, e altri tragici e commoventi; Jafaar ricorda Chaplin, cui il regista si è ispirato nella costruzione del personaggio. Il film si fa portatore di un messaggio di unione e pace. Tutti sotto uno stesso cielo, amalgamati in un'unica realtà, gli uomini di questa terra potrebbero essere meno intolleranti. Estibal dà il primo esempio collocando l'israeliano Gaby nei panni di un palestinese, e Myriam Tekaia, di origini tunisine, in quelli di una donna ebrea. Un bel mix di etnie e religioni ha trasformato il set di questo film in una metafora del mondo pacifico ipotizzato dal regista. A questo punto, in molti avranno ipotizzato un prodotto pieno zeppo di cliché e, invece, no: il film risulta un insolito superstite in un inquieto mare di luoghi comuni, dai quali si salva con dignitoso coraggio.


29/06/2014

Cast e credits

cast:
Sasson Gabay, Myriam Tekaïa, Baya Belal, Ulrich Tukur


regia:
Sylvain Estibal


titolo originale:
Le cochon de Gaza


distribuzione:
Parthenos Distribuzione


durata:
98'


produzione:
Marilyn Productions, StudioCanal, Barry Films


sceneggiatura:
Sylvain Estibal


fotografia:
Romain Winding


scenografie:
Albrecht Konrad


montaggio:
Damien Keyeux


musiche:
Aqualactica, Boogie Balagan


Trama
Un film tanto esilarante quanto intelligente. L'autore, Sylvain Estibal, è un giornalista che ha fotografato la situazione israelo-palestinese con onestà intellettuale, giocando con i paradossi della realtà