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recensione di Stefano Guerini Rocco
6.0/10

A cinque anni dall'incantevole "Racconto di Natale", il talentuoso Arnaud Desplechin torna al cinema con l'ambizioso "Jimmy P.", in concorso al Festival di Cannes 2013.
Jimmy Picard, nativo americano tornato dalla Seconda Guerra Mondiale con una ferita alla testa, viene ricoverato nell'ospedale per reduci di Topeka, Kansas. Accusa improvvise vertigini, episodi di cecità temporanea, perdita dell'udito, penetranti emicranie e angosciosi incubi (o visioni?), ma i valori dei numerosi test a cui viene sottoposto danno risultati nella norma e rivelano un corpo sano. Di fronte all'incapacità di stabilire una diagnosi convincente, i medici militari si persuadono che la causa del male di Jimmy deve risiedere, in qualche modo, nelle sue origini indiane. Per questo decidono di ricorrere alla consulenza di Georges Devereux: un luminare scombinato e sperimentatore, ebreo franco-ungherese dal passato ambiguo, attento conoscitore dei costumi delle tribù indiane, il quale ha costruito la propria fortuna alternando con estro dissacrante (per l'epoca) studi di antropologia e psicanalisi.

Tratto dal libro "Psychothérapie d'un indien des plaines" dello stesso Devereux, "Jimmy P." ricostruisce con minuziosa puntualità, seduta per seduta, il singolare rapporto di confronto e (auto)scoperta tra un medico eccentrico e un paziente anomalo. Il loro incontro ha contribuito in maniera sostanziale all'evoluzione e all'affermazione dell'etnopsichiatria all'interno della comunità scientifica.

Un progetto ambizioso e certamente impegnativo, quasi impossibile da filmare, che sembra contraddire, già sulla carta, le caratteristiche peculiari della poetica di Desplechin. Non più le piccolezze della vita quotidiana de "I re e la regina" o "Racconto di Natale", ma l'eccezionalità di una vicenda straordinaria. Non più presente, ma passato. Non più Francia, ma Stati Uniti. Non più un film corale, ma un duetto incessante costruito su dialoghi fittissimi e rigorosi.

Viene da chiedersi quali motivi abbiano spinto Desplechin a scegliere un soggetto così lontano dal proprio percorso autoriale per la tanto attesa rentrée. Distante al punto da aver inevitabilmente (e irrimediabilmente) compromesso la libertà stilistica del regista: alla scioltezza narrativa di "Racconto di Natale", al brillante lavoro di découpage de "I re e la regina", ai repentini salti di campo e di tono, alle invenzioni visive, ai ritmi vertiginosi, "Jimmy P." contrappone una messinscena lineare, elegante e pacata, priva di sbavature o di capricci creativi, oltremodo classica. Delle singolarità e delle audacie linguistiche che hanno segnato la cifra di Desplechin, rimane poco o nulla: una commovente lettera recitata direttamente in macchina, qualche inserto di natura metateatrale, le visioni oniriche del protagonista.

Forse, un residuo di coerenza autoriale andrebbe rintracciato nel lavoro di direzione degli attori: ancora una volta, Desplechin si concentra sui personaggi, si mette a loro disposizione e li segue, li asseconda nella costruzione della narrazione. Così, se la brusca alternanza di toni e registri rifletteva le mutevoli individualità che componevano l'intricato affresco di "Racconto di Natale", "Jimmy P." possiede la pacatezza riflessiva e il respiro fiducioso di Devereux e del suo paziente indiano. Il film finisce così per assomigliare ai suoi protagonisti, che prendono vita nei corpi e (soprattutto) nelle parole degli ottimi Mathieu Amalric e Benicio Del Toro (ma attenzione anche alle luminose presenze femminili di Gina McKee e Misty Upham, vista di recente nel ruolo di serva muta ne "I segreti d Osage County").

Rimane, dunque, il piacere delle loro prove, anche se non basta a mascherare la delusione per l'occasione mancata. Questa volta, purtroppo, la spinta sperimentatrice di Desplechin sembra essersi limitata alla distribuzione del film: "Jimmy P.", infatti, è uscito contemporaneamente in sala e sui principali siti di video on demand. Certo non abbastanza per una delle voci più libere, originali e personali del cinema europeo contemporaneo.


22/03/2014

Cast e credits

cast:
Joseph Cross, Larry Pine, Michelle Thrush, Gina McKee, Misty Upham, Mathieu Amalric, Benicio Del Toro


regia:
Arnaud Desplechin


titolo originale:
Jimmy P. (Psychothérapie d'un Indien des Plaines)


distribuzione:
Bim Distribuzione


durata:
117'


produzione:
Why Not Productions, Worldview Entertainment


sceneggiatura:
Arnaud Desplechin, Kent Jones, Julie Peyr


fotografia:
Stéphane Fontaine


montaggio:
Laurence Briaud


Trama

Jimmy Picard, nativo americano tornato dalla Seconda Guerra Mondiale con una ferita alla testa, viene ricoverato nell’ospedale per reduci di Topeka, Kansas. Accusa improvvise vertigini, episodi di cecità temporanea, perdita dell’udito, penetranti emicranie e angosciosi incubi (o visioni?), ma i valori dei numerosi test a cui viene sottoposto danno risultati nella norma e rivelano un corpo sano. Di fronte all’incapacità di stabilire una diagnosi convincente, i medici militari si persuadono che la causa del male di Jimmy deve risiedere, in qualche modo, nelle sue origini indiane. Per questo decidono di ricorrere alla consulenza di Georges Devereux: un luminare scombinato e sperimentatore, ebreo franco-ungherese dal passato ambiguo, attento conoscitore dei costumi delle tribù indiane, il quale ha costruito la propria fortuna alternando con estro dissacrante (per l’epoca) studi di antropologia e psicanalisi.

Il loro incontro ha contribuito in maniera sostanziale all’evoluzione e all’affermazione dell’etnopsichiatria all’interno della comunità scientifica.

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