Ondacinema

recensione di Diego Capuano
5.5/10

La villa potrebbe essere quella di un giallo. "Dieci piccoli indiani" di Agatha Christie, certo. Oppure, un giovane cinefilo potrebbe pensare a quella di "8 donne e un mistero" di François Ozon.
Una casa circondata da boschi. E' tutto qui lo scenario che, preso nella sua interezza, potrebbe anche essere trasportato di peso su un palcoscenico. Un imponente e sudicio teatro in scatola, cornice sporca e malata di un microcosmo che parla la lingua della grande città. Il cliente più disperato potrebbe essere il salumiere o il nostro vicino di casa. L'esterno non si vede mai, ma ribolle tra sangue e sudore dell'umanità alla deriva.
La clinica dei suicidi. Esasperati da depressione e malattie o, semplicemente, strozzati dalla frenesia della quotidianità, cosa c'è di meglio del rinchiudersi in una clinica alla ricerca... della sospirata morte? La trovata del primo lungometraggio del francese (in trasferta belga) Olias Barco conta probabilmente più della riuscita finale.

Immerso in un b/n grezzo, dalle tonalità quasi grigie, se non violacee, "Kill me please" è un film che ha il coraggio delle proprie idee, di cui si fida ciecamente (anche troppo). La prima parte è costituita da una serie di sketch plasmati con la medesima forma, e lasciati momentaneamente in sospeso: il paziente arriva in clinica, spiega le ragioni che lo hanno portato fin li' e il dottor Kruger promette loro una degna dipartita.
Quando lo spettro della morte avanza, l'individuo scappa, preferendo uccidere piuttosto che farsi uccidere. Quando la morte finisce con il volersi imporre, comincia una battaglia contro la società, che vuole esigerci regole e condotte... fino al giorno della nostra morte!
Il senso dell'assurdo che permeava la prima parte del film si condensa in una più risaputa black comedy, con dialoghi fiume (anche tarantiniani, qua e là), eccessi e sangue, furia omicida.
Più la coppia Benoît Delépine-Gustave de Kervern ("Louise-Michel") che il nume tutelare Marco Ferreri (che resta molto lontano) per un regista esordiente ancora acerbo, che risente del peso della povertà di mezzi sebbene, intelligentemente, cerca di rivoltarli a proprio piacimento, giocando con uno stile simil-documentaristico, con una leggera telecamera il più delle volte vicina agli attori.

Il ritorno a un genere, la black-comedy, frequentata generalmente poco e male, un'idea che sa far parlare di sé, un bianco e nero sui generis, un sovraccarico sia visivo che narrativo: sono alcune delle ricette che portano a una inevitabile sopravvalutazione di "Kill Me Please" (vincitore del Festival di Roma e molto ben accolto dalla critica nostrana).
Il film è stato ispirato da una associazione benefica svizzera, chiamata Dignitas, che aveva come scopo quello di fornire assistenza medica per l'eutanasia.
Ma il film non vuole prendere una vera e propria posizione sul tema, dato che le controparti finiscono con l'annullarsi a vicenda: su una sponda si pone la violenza dell'esterno, pronto a violare il libero arbitrio, sull'altra la vena diversamente folle dei pazienti, formazione stramba e abbonata al nonsense.
Nulla di geniale, ma un discreto divertissement, arguto, cattivo, eccessivo, con un interessante finale che, da canto funebre, vorrebbe cosparge di moderata tristezza le immagini che abbiamo visto per 96 minuti scorrere sul grande schermo.


15/01/2011

Cast e credits

cast:
Aurelien Recoing, Virgile Bramly, Daniel Cohen, Virginie Efira, Bouli Laners, Benoît Poelvoorde, Saul Rubinek, Zazie De Paris, Clara Cleymans, Philipe Nahon, Vincent Tavier, Olga Grumberg, Bruce Elison, Gerard Rambert


regia:
Olias Barco


titolo originale:
Kill Me Please


distribuzione:
Archibald Film


durata:
96'


produzione:
La Parti, Oxb, Les armateurs, Rtbf


sceneggiatura:
Olias Barco, Virgile Bramly, Stèphane Malandrin


fotografia:
Frèdèric Noirhomme


scenografie:
Vincent Tavier


montaggio:
Ewin Ryckaert


costumi:
Elise Ancion


musiche:
Kenji Kawai


Trama
Medioc all'avanguardia, il Dr.Kruger vuole dare un senso al suicidio. Il suo sogno è creare una struttura terapeutica dove darsi la morte non sia più considerata una disgrazia, ma un atto consapevole svolto con assistenza medica. La sua clinica esclusiva richiama l'attenzione di un gruppo di strani personaggi, accomunati dal desiderio di morire.