Ondacinema

recensione di Diego Capuano
5.0/10

Quando l’increspatura è visibile fin dal manico risulta difficile ignorarla e passare il vestiario al microscopio. Ciò per sottolineare che il presupposto che impone "L'immortale", debutto alla regia cinematografica per l’attore Marco D’Amore, è quantomeno discutibile per non dire inaccettabile.
Non si vuole e non si può in questa sede fare il riassunto delle vicende che hanno portato nel finale della terza stagione di "Gomorra - La serie" alla chiacchierata uccisione di Ciro Di Marzio per mano del nemico-amico Gennaro Savastano. Ciò che poteva rappresentare a seconda dei gusti un atto di coraggio o un clamoroso autogol – quello di chi ha l’ardire di rinunciare in corso d’opera al fulcro della stessa – viene con "L’immortale" non soltanto azzerato ma reso un episodio come un altro, soltanto un po’ più importante, nel proprio universo seriale.
Morte dunque non era. Pallottola ricevuta a distanza ravvicinata e affondo nelle acque del mare non bastano a Ciro Di Marzio per lasciarci le penne. La serie tv prodotta da Sky aveva da sempre abituato a topos narrativi se non antitetici comunque distanti dalle antiretoriche del film di Matteo Garrone (2008). Modalità invero molto ben oliate nei tentativi di partire da luoghi ed eventi con giustezza ancorati alle contemporanee vicende cronistiche e congiungerle a meccanismi di serialità televisiva con una scrittura e un messinscena superiore alla media di ciò che impera nel nostro belpase.
Con il rischio, strada facendo, di cadere sempre più in automatismi pigri ma comunque parti di un motore che riesce a restituire saldamente l’intrattenimento promesso.
Con "L’immortale", allora, il premeditato rischio è quello di andare al di là delle verosomiglianze, come se il mondo in cui affacciarsi, quello del grande schermo, fosse uno spazio dove tutto è possibile, rigeneratore nel momento stesso in cui riesce a contenerti.

L’inizio e il finale del film agganciano in modo esplicito sequenze della serie tv. Tutto il resto vorrebbe secondo le intenzioni essere fruibile anche agli spettatori distratti o, perché no, a chi ha sentito soltanto menzionare la suddetta serie, senza averla mai direttamente approcciata.
Il canonico dubbio che si insinua alla prova del nove è quello che affligge prodotti analoghi e ci fa chiedere di conseguenza: ci troviamo di fronte ad una puntata televisiva soltanto allungata per le esigenze e le aspettative del grande schermo?
Accantonati allora incipit e coda, "L’immortale" colloca la sua azione a Riga, capitale della Lettonia. Qui Ciro lavorerà al servizio dei russi mediante Don Aniello e ritroverà Bruno, un uomo già protagonista di importanti fasi della sua infanzia. Quest’ultima è innestata nella trama mediante flashback. Il Ciro Di Marzio bambino ci viene dunque per la prima volta presentato attraverso piccoli e grandi episodi di un’ennesima variazione dell’educazione criminale di problematiche realtà campane e viene talvolta introdotta da associazioni più o meno immediate: valga per tutte il discutibile raccordo tra il Ciro che risorge dalle acque e quello che da neonato sopravvisse, unico della sua famiglia, al rovinoso terremoto irpino del 1980.

Per quanto derivativo da un immaginario proposto a più riprese da cinema e tv – e si parla di tempi ben precedenti allo stesso film di Garrone – l’apprendistato criminale di un’infanzia perduta è la linea migliore del film e la giovane e tutto sommato credibile versione di Ciro Di Marzio è l’unica figura che riesce a dare all’azione una parvenza di interesse, una vivacità e un ritmo capace quantomeno di destare viva l’attenzione dello spettatore.
La trasferta lettone è in parte una rielaborazione della puntata "Inferno" (terza stagione) che vedeva Ciro muoversi nella bulgara Sofia prima circospetto e poi sempre più baricentro dell’azione, in vista dell’annunciato ritorno a Napoli. Quello che vediamo in azione a Riga è difatti un personaggio che poche parole prolifera, si muove lateralmente ad azioni e traffici di una terra a lui estranea, obbedisce alla mitologia della sua stessa vita o è, quantomeno, ciò che il film vorrebbe suggerire. A tal proposito sono dichiarate le intenzioni di regista e produttori di rappresentare Ciro Di Marzio come fosse un antieroe tragico, un uomo dal destino segnato, condannato a rappresentare il male suo malgrado perché, semplicemente, meta indicata dalla sua stessa esistenza. E tale, si vorrebbe, semplicemente perché così enunciato dal suo soprannome, dal destino che in tal modo l’ha colto fin dalla nascita.

Ma non si cerchi epica e tragedia all’interno della pellicola, peraltro dominata da personaggi assolutamente privi di qualsivoglia spessore morale e narrativo, pedine di una vicenda anche intricata e fumosa che ha una durata duplicata rispetto a quella di una puntata della serie tv e in quest’ottica protrae i movimenti del meccanismo mediante una seriosa stratificazione che non poco gli nuoce.
Non avendo, poi, il debuttante regista una padronanza del mezzo vantata invece da alcuni dei colleghi che si sono avvicendati nel corso degli anni per dirigere le sue gesta sul piccolo schermo (Sollima, Giovannesi, F. Comencini, Cupellini), dimentica talvolta di gestire la compressione stilistico-narrativa - che nei momenti migliori della serie potrebbe avere l’azzardo di invocare i polar di Jean-Pierre Melville - per saltare, appunto, ad una bramata tragicità impensabile da trovare poi in un esercizio cross-mediale tra cinema e tv, ponte pubblicitario per quel che sarà l’ultima stagione tv di "Gomorra – La serie".


25/03/2020

Cast e credits

cast:
Salvatore DOnofrio, Giuseppe Aiello, Giovanni Vastarella, Marianna Robustelli, Nello Mascia, Salvatore Esposito, Marco DAmore


regia:
Marco DAmore


distribuzione:
Vision Distribution


durata:
116'


produzione:
Vision Distribution, Cattleya


sceneggiatura:
Marco D'Amore, Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli, Francesco Ghiaccio, Giulia Forgione


fotografia:
Guido Michelotti


scenografie:
Carmine Guarino


montaggio:
Patrizio Marone


costumi:
Veronica Fragola


musiche:
Mokadelic


Trama
Ciro Di Marzio sopravvive allo sparo del suo amico-nemico Gennaro Savastano ed è costretto a trovar rifugio a Riga (Lettonia) dove assisterà ad una lotta criminale interna. All'azione del presente si alternano flashback del Ciro bambino, educazione criminale nella Campania degli anni 80.