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recensione di Mirko Salvini
8.0/10

Nicolaj Leskov pubblicò la sua "Lady Macbeth nel distretto di Mcensk" nel 1865, sulle pagine della rivista diretta nientemeno che da Fëdor Dostoevskij. Il romanzo breve diventò negli anni un classico della letteratura russa ottocentesca e l'opera più celebrata del suo autore. Fortuna che non è diminuita nel Novecento, quando ha ispirato un'opera lirica del maestro Shostakovich e varie trasposizioni cinematografiche, una di queste diretta negli anni Sessanta anche dal grande Andrzej Wajda.
Leskov raccontava le gesta di Katerina, un'eroina abbastanza forte e spregiudicata da rifiutare il ruolo che per convenzione la società del periodo (e di tanti periodi) le aveva assegnato, e il riferimento alla Lady cantata da Shakespeare serviva a far capire che la nostra non si sarebbe fatta troppi scrupoli nel raggiungere i propri obiettivi. A differenza della regina scozzese, però, Katerina non incoraggiava un marito remissivo a far fuori chiunque ostacolasse i suoi sogni di gloria, bensì lei stessa si destreggiava per far sì che gli uomini della sua vita (marito, suocero, amante e figliastro) avessero ciò che si erano meritati. Un po' Madame Bovary, un po' Lizzie Borden, tanto per capirci.
Il regista William Oldroyd e la sceneggiatrice Alice Birch, due nomi piuttosto nuovi della scena cinematografica britannica (lui ha realizzato alcuni corti, lei ha lavorato anche come attrice), riprendono la storia di Leskov, riadattandola non proprio alla lettera. Ad esempio, cambia lo scenario: la Siberia dell'originale si tramuta nella brughiera inglese. L'epoca, invece, resta la medesima, la seconda metà dell'Ottocento, e al centro della storia c'è Katherine, una giovane sposa che si ritrova in una casa fredda e senza affetto per lei. Il marito non la ama, il suocero la tratta in modo sprezzante. Viene criticata praticamente per tutto, pure dai domestici, anche solo per il desiderio di passeggiare nelle lande celebrate da tanta letteratura romantica. Ma Katherine da subito afferma di avere una pelle dura e se i suoi nuovi familiari credono di avere a che fare con una mogliettina debole che si può maltrattare come se niente fosse, si accorgeranno presto di avere fatto male i loro conti. L'incontro con Sebastian (il musicista Cosmo Jarvis), uno stalliere sanguigno (non c'è bisogno di leggere "L'amante di Lady Chatterley" per sapere che questa categoria è sempre una panacea per le signore borghesi mal maritate), risveglierà nella Lady Macbeth quei sensi che la grama esistenza domestica non aveva mai definitivamente spento.

Katherine è al tempo stesso eroina appassionata ma anche una machiavellica criminale, e ci voleva un'attrice adeguata per rendere questa dualità credibile. Oldroyd è stato molto lungimirante nella scelta di Florence Pugh; appena diciannovenne all'epoca delle riprese, l'attrice inglese si rivela l'asse portante di tutta l'operazione, non solo perché è praticamente onnipresente, ma perché riesce a rendere credibili le sfaccettature di un personaggio che può risultare spiazzante, specie nel suo essere al tempo stesso appassionatamente innamorata di Sebastian ma al tempo stesso decisa a non fermarsi davanti a niente per difendere quella che ritiene una ritrovata felicità. Una tavolozza di emozioni e inquietudini che l'attrice rende con ammirevole economia e che la costumista Holly Waddington aiuta a sottolineare con il cambio degli elaborati, e al tempo stesso castigati, abiti.
Katherine, protettiva e spietata senza soluzione di continuità, si inserisce nel gruppo di recenti eroine cinematografiche in costume che comprende anche la Cathy delle "Cime tempestose" versione Andrea Arnold e le donne al centro del recentissimo "L'inganno" di Sofia Coppola. Figure femminili costrette in una società in cui il femminino è visto con sospetto, se non addirittura in chiave negativa, che devono reagire per non essere totalmente sopraffatte. Non a caso, "Lady Macbeth" nel finale si discosta dalla storia di Leskov che per la sua protagonista prevedeva un'uscita di scena che Oldroyd e Birch evidentemente non se la sono sentiti di condividere.

Il peso di una società soffocante, regista e sceneggiatrice lo fanno sentire tutto, anche se apparentemente la brughiera in cui è calata la vicenda sembra una terra appartata, dalla quale i personaggi vorrebbero evadere ma nella quale, senza eccezione, sembrano destinati a rimanere. Una regione con una tradizione radicata, specchio di una società che vuole cambiare e che lo sta già facendo. In questo modo acquista un senso la scelta di assegnare ad attori di colore i personaggi dei domestici, come ad esempio Anna (Naomi Ackie), letteralmente ammutolita dai delitti che vengono commessi nella casa. Figure secondarie integrate nel tessuto sociale che ne rappresentano alla fine la sua potenziale apertura.


18/06/2017

Cast e credits

cast:
Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Naomi Ackie, Christopher Fairbank, Paul Hilton


regia:
William Oldroyd


distribuzione:
Teodora Film


durata:
89'


produzione:
BBC Films


sceneggiatura:
Alice Birch


fotografia:
Ari Wegner


scenografie:
Jacqueline Abrahams


montaggio:
Nick Emerson


costumi:
Holly Waddington


musiche:
Dan Jones


Trama
Nella Brughiera della seconda metà dell'ottocento una giovane donna infelicemente sposata rivela una forza e una risolutezza inimmaginabili dopo l'inizio di una relazione extraconiugale con uno stalliere
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