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recensione di Diego Testa
6.0/10

Le mans 66 mangold

Nei 150 minuti di sfida industriale e sportiva di "Ford v Ferrari" (titolo originale) si celano tutte le caratteristiche del cinema del newyorkese James Mangold. Prima tra tutte l'evidentissimo ritorno al biopic drama, contenitore nostalgico quanto accomodante che gli diede nuova fama col soggetto di Johnny Cash. Precedentemente c'era stata la storia vera delle ragazze interrotte, Jolie e Ryder. Volenti o nolenti, Mangold chiude anche un'altra storia, quella del mutante Wolverine/Logan, illudendo il pubblico di stare assistendo a una maturazione dei cinecomics supereroistici, complice soprattutto una prima vera saturazione del mercato nel 2017.
La versatilità lavorativa gli permette dunque di approcciare un campo a lui nuovo, oggi di nicchia quanto le diligenze di Yuma, incollandoci la propria firma stilistica: il motoristico sportivo.

Questione di classi

La squadra di marketing in capo a Henry Ford II consiglia al magnate di acquisire il marchio Ferrari per risollevare la notorietà del proprio marchio. Il rifiuto di Enzo Ferrari scuote Ford tanto da portarlo a sfidare l'automobile italiana sui circuiti di endurance, desiderando in particolare la vittoria sul prestigioso circuito di Le Mans.
La storia automobilistica di "Le Mans '66" passa anche attraverso le decisioni manageriali, i colletti bianchi giacca e cravatta, i piani alti dirigenziali scollati dalla working class in catena di montaggio. Un dualismo accentuato dalla manovalanza che va sulla pista per vincere, il pilota inglese veterano di guerra Ken Miles, lontano per indole e temperamento dalle aspettative dei capi fordisti.
Mangold si prende una lunghissima parte di film, lontana dall'azione in pista, proprio per sottolineare con pervicacia questo dualismo banale ed essenziale. Non a caso di Ken Miles incornicia letteralmente l'appartenenza al mondo lavorativo quando la sua chiave inglese finisce in un quadretto; un eroe "contro" che viene dal basso persino rispetto al suo collega imprenditore Carroll Shelby, il quale in tutti i modi tenterà di convincere la dirigenza Ford di come il valore dell'inglese sia indispensabile in gara.
"Le Mans '66" si destreggia a lungo tra le dinamiche umane coinvolte nella cornice capitalistica nel segno della semplicità e totale intellegibilità, escludendo sì il manicheismo, ma sempre agevolando la visione dello spettatore con personaggi quadrati, monocordi. In questo il dramma si fa abbondante di esemplificazioni, scindendo con lampanti segni il dualismo alto/basso attraverso gli oggetti di scena (chiavi inglesi e fogli statistici rossi) e la grammatica scenografica (il manto stradale e i box in basso contro le posizioni elevate della dirigenza). Chiaramente lo spaccato sociale degli anni Sessanta in pillole è il punto forte e al contempo debole di una semplificazione oggi monotona, eppure Mangold rende il tutto maledettamente romantico.

Nel segno di Mangold

Nell'introduzione si accennava alle caratteristiche del regista, fortemente influenzato dal cinema d'azione americano classico. Formalmente, in "Le Mans '66" la dinamicità sportiva ed epica viene relegata all'ultima mezz'ora, motivo per il quale spicca una prima lunga parte interessata al dramma umano. Emerge il Mangold della commedia romantica. Ancora prima che nelle dinamiche famigliari fredde e formali, lo si nota nel tira e molla tra Ken e Shelby. Rappresentanti il classico duo "forte" su cui Mangold ha costruito quasi tutta la sua filmografia, il pilota inglese e l'imprenditore americano si completano quando lavorano in comunione, pur rappresentando due mondi completamente diversi. Lo stesso Mangold dichiara di essersi concentrato prima sul rapporto di "coppia" dei due protagonisti per lasciare esplodere la velocità in coda al minutaggio. Questo deriva in parte dal lavoro di contenimento sia in fase di sceneggiatura da parte dei fratelli Butterworth sia in fase di tagli montaggio, partendo da un materiale di oltre 3 ore[1].
L'approssimazione sui personaggi di contorno si nota spesso, ma a inficiare l'attesa sono soprattutto i tempi lenti sostenuti da una struttura didattica ripetuta all'ossessione (primo piano, frase gigiona e sottofondo rock a sostegno del prossimo stacco).
Insomma, una progressione anonima cui Mangold non riesce a imprimere il proprio verso sempre a un passo dall'epica, esplosivo ma concreto (si pensi all'assalto alla diligenza di "Quel Treno per Yuma"). E questa ruvidezza vitale non si avverte nemmeno quando il film parla col genere. Le scene in auto tanto attese perdono presto d'interesse, causa poca originalità e un montaggio anche in questo caso monocorde seppur mai confusionario. Tanto il digitale che dà l'impressione di essere lì per motivi di imitazione storica piuttosto che come mezzo di rappresentazione.
Tuttavia il cinema di Mangold tenta strenuamente di uscire, farsi forte, ed ecco che rispunta lo sguardo western in cui le grandi distese si trasfigurano nelle grigie piste d'asfalto, rimangono i cappelli e il senso del sacrificio. E ancora, la volontà di superare il confine che in questo caso diventa il limite, la vittoria a un soffio dalla gara perfetta. 
"Le Mans '66", pur nella sua imperfezione principalmente imputabile a mancata originalità e ripetitività stilistica, si svela film romanticamente superato. Un ultimo grido machista, crepuscolare, eppure intimo in questo cinema sepolto dal concetto di target trasversale.

 

Nota a margine: la scelta in fase di adattamento italiano della scena nell'ufficio di Enzo Ferrari, in cui sono presenti due interpreti per le rispettive lingue, produce un effetto bizzarro, distorcendo in parte l'evento. Questa precisazione non inficia sulla valutazione complessiva del film in quanto non è stato possibile vedere la scena in lingua originale.

[1] Fonte


08/11/2019

Cast e credits

cast:
Remo Girone, Corrado Invernizzi, Noah Jupe, Josh Lucas, Benjamin Rigby, Tracy Letts, Jon Bernthal, Caitriona Balfe, Christian Bale, Matt Damon


regia:
James Mangold


titolo originale:
Ford v Ferrari


distribuzione:
Walt Disney Studios Motion Pictures


durata:
152'


produzione:
20th Century Fox, Chernin Entertainment


sceneggiatura:
Jez Butterworth, John-Henry Butterworth, Jason Keller


fotografia:
Phedon Papamichael


scenografie:
François Audouy


montaggio:
Michael McCusker, Andrew Buckland


costumi:
Daniel Orlandi


musiche:
Marco Beltrami


Trama
Nel 1963 la Ford motor Company prova ad acquisire il marchio Ferrari. L'allora proprietario Enzo rifiuta di farlo poiché l'accordo include la divisione da corsa del marchio. Henry Ford II decide di sfidare l'automobile italiana sul tracciato che la vede vincente da anni: la 24 ore di Le Mans.
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