Ondacinema

recensione di Antonio Pettierre
6.0/10

Orson Welles è stato un autore che ha innovato il cinema nel suo complesso, un artista che ha portato novità, rompendo con il passato, non solo nel cinema, ma anche nella radio e nel teatro.
Regista sempre al centro dell’attenzione critica e di ricerca storica per i tanti incompiuti e materiali che ci ha lasciato, Welles ha visto un ritorno di fiamma di interesse pubblico dopo il recupero e la distribuzione di “The Other Side of the Wind”, opera incompiuta che ha subito molte traversie artistiche e produttive. Su questa scia di rinnovato interesse che esce “Lo sguardo di Orson Welles” il nuovo documentario di Mark Cousins, distribuito nelle sale cinematografiche (poche e con sparute proiezioni) come evento speciale per pochi giorni, che racconta l’opera e la vita del maestro americano.

Il giovane regista nordirlandese compie una scelta particolare nel raccontare Welles. Partendo da un ritrovamento negli archivi dell’Università di Chicago di una scatola piena di disegni e schizzi effettuati dallo stesso Welles, Cousins mette in evidenza un altro lato del poliedrico artista: quello del pittore. Welles fin da giovane ha percorso questa via frequentando fin da ragazzo la scuola d’arte di Chicago e girovagando l’Irlanda da adolescente cercando di mantenersi come pittore di strada. Questa sua passione non l’ha mai abbondonato per tutta la vita e Cousins ne dà dimostrazione mostrando alla cinepresa i diversi disegni che riemergono dalla scatola arrivata dal passato.

Cousins costruisce così un percorso artistico che non si discosta da altri documentari precedenti – citiamo come esempio “Il mago, l’incredibile vita di Orson Welles” di Chuck Workman - riproponendo episodi della vita di Welles intervallati dalle sequenze delle sue opere, ma che ha come punto di vista lo sguardo pittorico del regista americano e le influenze che questo ha avuto nella realizzazione del suo cinema e teatro. Cousins divide il film in diversi capitoli in cui i principali sono legati all’analisi di figure archetipe dell’arte di Welles: il fante, il cavaliere, il re, il giullare che fungono da maschere riproposte in diverse tonalità e versioni in tutta l’opera wellesiana.

“Lo sguardo di Orson Welles” basa il suo sviluppo narrativo proprio illustrando le modalità di visione dell’artista e l’applicazione del suo sguardo all’interno della creazione delle opere che vanno di pari passo con la sua vita e le relazioni con le mogli, amanti e amici. Appare così che l’innamoramento – sia esso per una donna (Dolores Del Rio, Rita Hayworth, Paola Mori) sia per un personaggio che ripropone nelle differenti versioni che partono dal Kane di “Quarto potere” fino al Falstaff dell’omonimo film attraverso poi Arkadin, Quinlan, Don Chisciotte – scaturisce in Welles sempre dallo sguardo. È emblematico, ad esempio, che Welles si innamori delle donne vedendole sulle copertine di giornali o in altri film prima di decidere che devono diventare le compagne nella vita (succede con la Del Rio, con la Hayworth e con la Mori) come a voler piegare la realtà al desiderio di possesso scopico, realizzando nel concreto ciò che sogna e immagina nella mente attraverso il proprio sguardo.

Ma oltre a questo, Cousins illustra nel dettaglio, con molte citazioni tratte dalle opere cinematografiche, l’importanza della pittura e di molti artisti: dal surrealismo al cubismo, da Goya a Picasso, traslando l’innamoramento per le persone e i personaggi nel medium cinematografico, utilizzando la macchina da presa come un pennello con cui disegnare sullo schermo. Inserendo come consulente e controparte Beatrice, l’ultima figlia di Welles avuta con Paola Mori, all’interno delle riprese, Cousins la coinvolge come complice attiva nel disvelamento dello sguardo del padre più che come testimone passiva.

Se da un lato il punto di vista del giovane documentarista è la parte più innovativa e interessante di “Lo sguardo di Orson Welles”, dall’altro lato Cousins sceglie di mettere in scena un dialogo con Welles in un montaggio dove appare una fotografia dell’artista da giovane che viene reiterata durante tutta la durata della pellicola.

Questo escamotage però, che vorrebbe essere un dialogo che tracima il tempo e lo spazio attraverso la “macchina” cinematografica, si trasforma ben presto in un lungo e monotono monologo che rallenta notevolmente il ritmo di “Lo sguardo di Orson Welles” aumentando il tempo percepito della visione di materiali per quasi due ore di proiezione. Quindi, pur essendo un’interessante testimonianza documentaria del genio di Welles, il film di Cousins risulta limitante nella sua fruizione proprio per le scelte registiche nel montaggio e nello sviluppo della narrazione.


19/12/2018

Cast e credits

regia:
Mark Cousins


titolo originale:
The Eyes of Orson Welles


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
115'


sceneggiatura:
Mark Cousins


fotografia:
Mark Cousins


montaggio:
Timo Langer


Trama
Attraverso centinaia di schizzi, disegni e progetti, viene raccontata la vita e l’opera di Orson Welles.
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