Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
5.0/10

"Love", un titolo più semplice e meno evocativo del precedente e ambiziosissimo "Enter The Void" che, sei anni prima, aveva portato Gaspar Noé a sondare il mistero della morte e la possibilità di una vita dopo di essa. Con "Love", opera pensata per il 3D*, il regista franco-argentino riesce a coronare il sogno di realizzare un'indagine sull'amore giovanile puntando sul livello sessuale e organico, facendo conflagrare l'unione ideale di due anime con l'unione fisica di due corpi.

"La legge di Murphy" citata un po' superfluamente dal regista con una didascalia in sovrimpressione ci annuncia come il destino di loser del protagonista sia già segnato sin dal nome, che è Murphy, appunto. La narrazione si svolge à rebours ma ben presto si comprende come la rappresentazione del tempo sia frammentaria e liquida e che Murphy cerchi in sogni oppiacei il contatto con un'epoca della sua vita che si  sta dissolvendo in un indistinto passato, mentre nel presente c'è la quotidianità di un castrante ménage familiare. 
Il primo gennaio, dopo i bagordi di Capodanno, il protagonista ascolta un messaggio lasciato in segreteria: la voce angosciata di una donna gli chiede se ha notizie di sua figlia Electra, apparentemente scomparsa nel nulla. Electra è la ex-ragazza di Murphy. Electra è il grande amore di Murphy, quello che è entrato sottopelle e il cui fantasma aleggerà per sempre sulla sua successiva vita sentimentale. Il ragazzo si chiude tra le mura del silenzio ricordando innanzitutto come tutto è finito: il sesso clandestino con la giovanissima vicina di casa che, dopo essere stato il vertice di un ludico rapporto a tre, era ora diventata la sua compagna, a causa di un preservativo rotto che li aveva resi genitori. 

Preoccupato dalla telefonata, il protagonista usa dell'oppio che proprio Electra gli aveva regalato "nel caso succedesse qualcosa di brutto e lei non fosse vicino": se "Enter The Void" si rivelava un vagabondaggio dell'anima in cerca della metempsicosi, "Love" è un viaggio interiore nella dolce protezione di una camera da letto. Murphy non desidera semplicemente riportare alla mente quei momenti, bensì vuole riviverli, vuole tornare indietro nel tempo.
I segmenti di vita che si sussseguono sullo schermo compongono una de-cronologia nella quale ci si perde e l'unico baricentro è la coppia e il corpo di lei, l'attrazione gravitazionale che non fa altro che fonderli in un perpetuo e carnale amplesso. È l'innocenza, la libertà perduta che il protagonista sta cercando, mentre Noé si focalizza sulla scala dei piani e dei campi, in una composizione dell'immagine introflessa che sprofonda all'interno di una probabile triangolazione (lui-lei-l'Altro). Sembra, però, che la profondità di campo sulla quale compare la bionda Omi (Klara Kristin) o lo sfondo psichedelico di una tavola calda siano solo il pretesto per mostrare successivamente in primo piano un'abbondante eiaculazione o il membro eretto che si muove in avanti verso le spettatore (e immaginiamo come l'illusione ottica della stereoscopia avvicini ancora di più il pene all'occhio dello spettatore). Purtroppo, Noé si conferma schiavo nonché vittima delle proprie provocazioni che, prevedibilmente, ammantano le sue opere per generare controversie. Egli vuole strutturare la narrazione in maniera iterativa per avvicinarsi quanto più possibile al porno (benché d'autore), concludendo ogni sequenza con un amplesso: rendere cioè esplicito ciò che è implicito nei melò giovanili.

Ciò porta a una interessante notazione che riguarda proprio la presenza delle scene di sesso, che diviene massiccia e sincopata nell'ultima parte, durante la quale una sequenza a montaggio funge da sommario di un periodo confuso di una relazione ormai giunta al capolinea. Il sesso non si configura più quale momento tenero, giocoso, intimo e sicuramente vitale della prima parte, bensì ne è rappresentato solo il versante meccanico che degrada il rapporto, amplesso dopo amplesso, fino a far scoppiare Murphy ed Electra. Andando in profondità, è lampante come Noé non riesca a discostarsi dalla vulgata comune, mantenendo cliché e status quo del sottogenere a cui fa riferimento.
Se prelevassimo da "Love" il concept e lo analizzassimo come tale, astratto dalla materia filmica, allora l'arte del regista franco-argentino si esprimerebbe al suo massimo grado. Infatti, Noé tira le fila di questo rondò sentimentale carnale e organico, di questa triangolazione con l'Altro che infine si rivela vacua, una mera deviazione dalla coppia principale, da questi corpi intrecciati e che si separano e ritornano insieme, finché i tradimenti incrociati, le orge in locali per scambisti e le trasgressioni di vario genere non chiudono qualsiasi canale di comunicazione.
Lascia inevitabilmente perplessi la fenomenologia di tale tracciato sentimentale: a ben vedere, lo iato che si instaura tra la storia messa in scena e le tappe attraverso le quali i personaggi si muovono diviene via via incolmabile oltre che incomprensibile. Noé sembra davvero voler raccontare una storia d'amore giovanile ma, non sapendo "come", fa traghettare Murphy ed Electra attraverso situazioni trite, attraverso dialoghi al limite del nonsense, volutamente giocati tra il sotto e l'urlante sopra le righe - così da sopperire alle carenze recitative di Karl Glusman e, soprattutto, di Aomi Muyock.

Nelle interviste, gli attori hanno affermato che sul set molto era improvvisato e non sapevano dove esattamente volesse arrivare l'autore e, vedendo il lungometraggio, non si può non confermare quanto la preoccupazione di Noé nella scrittura dei personaggi sia ai minimi storici. Sembra quasi che il regista voglia dei corpi da denudare e lavori pedissequamente alla completa esposizione/esplorazione dei protagonisti, tesa a mostrare i meccanismi che portano all'atto sessuale - e non a caso il prologo è una lenta scena di masturbazione reciproca. Il linguaggio di Noé è tattile, materico, come se volesse aggrumare colori, luci e suoni sopra la pelle degli attori; il regista evita psicologismi e appiattisce i caratteri finché gli è possibile: Murphy in uno degli intermezzi che spezzettano il corso delle sue rimembranze dirà che è "just a dick" ("solo un cazzone"), accentuando il concetto giocando con la parola "dick" e affermando che "a dick has no brain" ("un cazzo non ha cervello, non pensa") e che si prefigge un unico obiettivo, scopare. Però, la storia sembra seguire un corso che gli sfugge di mano, gli snodi scontati si accavallano e la pochezza di trama e personaggi diventano un difetto ingombrante.

Il protagonista, ad esempio, non è altro che un adolescente non ancora cresciuto che si crede già un grande regista, ma non riesce a fare più di qualche foto di nudo in stereoscopia alla sua musa e a consigliarle la visione di "2001: Odissea nello spazio"; la loquela farneticante e la violenza verbale che in una sequenza diviene fisica vogliono esprimere un disagio di facciata, manifestato soprattutto dalla giacca che ha indosso, identica a quella di Travis Bickle in "Taxi Driver" (una delle locandine che campeggiano nella sua stanza). In questo magma di idee contraddittorie, il sesso non è sufficiente a sostenere né la relazione tra i protagonisti né un'opera che vuole essere unica e paradigmatica, poiché il regista sta realizzando la pellicola millantata dal protagonista: il rivoluzionario e onesto dramma sentimentale fatto di lacrime, sangue e sperma.

Che Gaspar Noé guardi al cinema di Stanley Kubrick non è certo una novità e il viaggio dentro la testa di Murphy è un'odissea da cameretta, concluso in uno dei luoghi kubrickiani per eccellenza, ossia il bagno. Nell'acqua di una vasca, protetto come dalla placenta materna, Murphy aspira alla ricongiunzione con l'amata metà, così da poter rinascere in quel rapporto che lo completava. Electra appare, come altre volte durante un film disseminato di décalage, di fronte a Murphy, spesso ai margini della inquadratura inserendosi tra due cut di montaggio secondo il processo di installazione del monolite in "2001", e posta là a occupare lo spazio vuoto lasciato dalla sua assenza.
Eppure Noé non pensa, le sue intuizioni non creano un reale sistema di segni né, come abbiamo visto, tutto ciò si può giustificare con etichette critiche che riguardano l'anticonvenzionalità dell'artista. Questo suo intimo e a lungo cullato progetto è anche uno dei suoi lavori più canonici e lo sberleffo allo spettatore, lo schizzo in faccia, è una griffe piuttosto che un qualcosa di realmente sentito o di necessario. Paradossalmente, al di là dell'esposizione carnale sulla quale in molti si sono soffermati, ma che è scelta intrinseca, fondamento stesso di "Love", ciò che fa crollare l'opera è la totale mancanza di scrittura, personaggi che vivono una "vera" storia d'amore senza avere "veri" sentimenti, la deriva in dialoghi aforistici, banalità da scatola di cioccolatini che ben poco hanno a che spartire col cinema dell'oltraggio.

* E per onestà intellettuale va detto che il film non è stato visto in 3D da chi scrive. 


12/07/2016

Cast e credits

cast:
Aomi Muyock, Klara Kristin, Gaspar Noè, Ugo Fox, Karl Glusman


regia:
Gaspar Noè


titolo originale:
Love


durata:
135'


produzione:
Les Cinémas de la Zone, Rectangle Productions, RT Features, Scope Pictures, Wild Bunch


sceneggiatura:
Gaspar Noé


fotografia:
Benoît Debie


scenografie:
Samantha Benne


montaggio:
Denis Bedlow, Gaspar Noé


costumi:
Emmanuelle Pastre


Trama
Mattino del 1º gennaio, il telefono squilla. Murphy si sveglia accanto alla giovane moglie e al figlio di due anni. Ascolta un messaggio lasciato alla segreteria telefonica: tremendamente angosciata, la madre di Electra vuole sapere se Murphy ha notizie di sua figlia scomparsa da tempo, poiché teme che le sia capitato qualcosa di grave. Nel corso di una lunga giornata piovosa, Murphy si ritrova solo nel suo appartamento a ricordare la sua più grande storia d’amore: due anni con Electra. Una passione ardente piena di promesse, giochi, eccessi ed errori…