Ondacinema

recensione di Eugenio Radin
6.0/10

Nell'erba alta

La macchina da presa zooma dall'alto su una grande distesa di erba verde, la fotografia satura e brillante, unita al panorama bucolico, sembra voler confortare, per un istante, l'animo dello spettatore. Ma già il montaggio sonoro rivela il terrore che si nasconde dietro a quell'apparente serenità, riempiendo lo spazio di stridolii e frequenze inquietanti.
Nell'inquadratura successiva l'armonia è ripristinata: una giovane ragazza, evidentemente incinta, viaggia in macchina con il fratello: i dialoghi fanno capire che la donna è stata abbandonata dal padre del bambino e che sta attraversando il paese diretta verso San Diego. La nausea causata dalla gravidanza e dal lungo viaggio costringe la coppia ad accostare nei pressi di una piccola chiesa apparentemente abbandonata e circondata dalla grande distesa erbosa sulla quale l’incipit già ci aveva messi in guardia.
Improvvisamente i due sentono provenire dall'erba la voce di un bambino che chiede aiuto e, senza pensarci troppo, si inoltrano nella sterpaglia per prestare soccorso. Presto si accorgeranno dello sbaglio: il campo sembra infatti avere una volontà propria, capace di inghiottire i suoi ospiti, di fargli perdere ogni riferimento spazio temporale e di condurli pian piano alla follia.          

Basato su un racconto scritto a quattro mani da Stephen King e Joe Hill e diretto dall'italo-americano Vincenzo Natali, "Nell'erba alta" è un film che si nutre di suggestioni e di rimandi e che si muove tra diversi sottogeneri dell'horror, dal trap-movie (che negli anni Novanta aveva reso celebre il regista, grazie alla pellicola "The Cube"), al folk-horror, richiamato dalle rune e dai rituali che si svolgono attorno alla grande pietra nera posta al centro del campo, il cui influsso al contempo salvifico e malvagio sembra dominare l’atmosfera (e che a sua volta richiama, nemmeno tanto velatamente, il monolite di "2001: Odissea nello spazio").         
La componente kinghiana è altrettanto evidente: l'ambivalente componente religiosa; il ruolo della piccola chiesa di campagna che agisce al contempo da riparo e da trappola per i malcapitati viaggiatori; lo scontro tra il bene e il male, sono tutti temi tipici della produzione dello scrittore del Maine. E se il labirinto erboso rimanda a "Shining", il genitore del bambino sperduto (un perfetto padre di famiglia, bianco, anglosassone e protestante) può facilmente assumere le fattezze di un novello Jack Torrance: a causa dell'influsso malefico della pietra infatti, egli si trasforma presto in folle assassino, mettendo a repentaglio la vita di tutti i protagonisti.   
Non mancano neppure i rimandi ad altro cinema: l'incipit di cui si è parlato, così come molte altre inquadrature del fruscio delle fronde - nelle quali Natali trova tra l'altro la libertà di sperimentare una propria estetica - non possono non ricordare al pubblico cinefilo quel gioiello dell'horror nipponico rappresentato da "Onibaba - Le assassine" di Kaneto Shindō. Anche lì, infatti, la radura erbosa in cui vivevano le fattucchiere diventava in qualche modo co-protagonista della vicenda e complice degli omicidi che ne scandivano la trama.        

La regia e il montaggio riescono in effetti a mantenere una costante tensione nello spettatore e a creare dei momenti di vera inquietudine. Inoltre l'opera esce vincitrice dall'ardita sfida di voler girare un film così claustrofobico en plein air, cioè nel pieno di una campagna sconfinata, dove l’orizzonte appare infinito e illimitato.       
Ma le suggestioni sono forse troppe e, così come i protagonisti, anche lo spettatore finisce presto per perdere l’orientamento e per smarrirsi nel mezzo di un labirinto di situazioni e rimandi che si accavallano l’uno all’altro togliendosi vicendevolmente il respiro. Alcune intuizioni rimangono insolute, si ha l’impressione che alcune idee avrebbero avuto bisogno di un maggior spazio per evolversi pienamente. Inoltre il grande contenitore di Netflix sembra imporre all'opera alcune scelte che ne riducono l'impatto estetico, a partire dalla fotografia eccessivamente saturata che, dopo un po', finisce per stancare.     

Tutto sommato il film fa il suo lavoro nell'intrattenere il pubblico della celebre piattaforma di streaming, ma rimane intrappolato in scelte stilistiche pensate appositamente per una visione domestica, incapace, alla lunga, di lasciare un segno.


19/04/2020

Cast e credits

cast:
Patrick Wilson, Laysla De Oliveira, Harrison Gilbertson, Avery Whitted, Rachel Wilson, Will Bluie Jr.


regia:
Vincenzo Natali


titolo originale:
In the Tall Grass


distribuzione:
Netflix


durata:
101'


produzione:
Copperheart Entertainment


sceneggiatura:
Vincenzo Natali


fotografia:
Craig Wrobleski


montaggio:
Michele Conroy


musiche:
Mark Korven


Trama
Durante un lungo viaggio in macchina con direzione San Diego, una giovane coppia di fratelli accosta per prestare soccorso a un bambino, perdutosi dentro a un campo di erba alta. Una volta inoltratisi nella sterpaglia i protagonisti si accorgeranno dello sbaglio commesso: l'erba sembra infatti possedere una volontà propria, capace di far perdere l'orientamento alle sue vittime e di indurle piano piano alla pazzia.