Ondacinema

recensione di Matteo Pennacchia
6.5/10

Dopo la trasferta simultanea del 2013, Bong Joon-Ho è l'unico membro del trio delle meraviglie coreano a essere rimasto con un piede in occidente. A ben vedere è anche l'unico ad aver evitato la collisione frontale con il sistema produttivo americano, in seguito alla quale sia Park Chan-Wook che Kim Jee-Woon sono rimpatriati di corsa per realizzare film inchiodati alla storia contemporanea del proprio paese, in particolare al periodo di sudditanza coloniale della prima metà del Novecento. Forse sfogo inconscio, forse sovrainterpretazione, non sembra poi così peregrina l'idea di un'equivalenza tradotta in arte fra Corea occupata dal Giappone e cinema coreano "occupato" da Hollywood.
Discorso diverso per Bong, che già in "Snowpiercer" si era avvalso di una coproduzione targata Usa, Francia e Sud Corea, girando in Repubblica Ceca con la garanzia del director's cut. Stando alle dichiarazioni del regista, una condizione di piena libertà creativa parimenti assicurata nella realizzazione di "Okja" dal marchio Netflix, egida commerciale che a Cannes ha irritato il presidente di giuria Almodóvar e fomentato fischi in sala.

Ognuno decida se e dove schierarsi nella diatriba distributiva (che comunque impone considerazioni). Intanto l'imperterrito Bong prosegue il lavoro di commistione est-ovest partendo da un fenomeno globale con sede negli Stati Uniti, la multinazionale Monsanto, qui rinominata Mirando.
In "Okja" l'ambizione della Mirando di perfezionare una razza di supermaiali transgenici riecheggia le polemiche attorno all'utilizzo smodato di Ogm della Monsanto, e a un tratto l'analogia diventa spudorata nel nome dell'azienda quanto nei riferimenti all'Agent Orange, defoliante tossico impiegato in veste di arma chimica in Vietnam fra i cui produttori figurava proprio la Monsanto.
Lucy Mirando è l'amministratrice ereditiera dell'impero biotecnologico Mirando Corp. Tilda Swinton ne fa una Barbie vizza e imparruccata sulla quale svolazzano completini rosa confetto e inavvertita malvagità. Guardando oltre l'apologo ecoanimalista sviluppato nell'amicizia disneyana tra Okja, flatulenta superscrofa, e Mija, la bambina che l'ha allevata nella natura incontaminata sui monti vicino a Seoul, è Lucy Mirando a riassumere le inquietudini reali e centrali della vicenda. Due appaiono nitide: la tendenza istituzionalizzata a sovvertire la realtà in show (in favore di telecamera) e la dedizione a una causa (intesa come abnegazione temporanea in vista di tornaconto personale).

Il Fronte di Liberazione Animale capeggiato da Paul Dano è l'unico ente del film animato da scopi idealistici, altruistici, ed è infatti disegnato come una truppa un po' ridicola di esaltati veg inevitabilmente destinata a fallire. Lucy e Mija sono invece speculari, entrambe espressioni del pessimismo iterativo del cinema di Bong.

Lucy è una donna sull'orlo della crisi di nervi, eterodiretta, ossessionata dal compito di riscattare le industrie Mirando da un passato eticamente discutibile, sfruttando strategie di marketing atte a trasfigurare la produzione di bistecche geneticamente modificate (spacciate per biologiche) in un zuccheroso concorso di bellezza per supermaiali trasmesso in diretta tv. Come certi detentori di potere moderni, Lucy crede a ciò che racconta e subisce le ripercussioni delle costanti menzogne rifilate ai consumatori, agli spettatori, a se stessa per scacciare paragoni con la sorella gemella Nancy, capitalista cuor di pietra che conduce qualunque tipo di affari, con chiunque, a scapito di qualsiasi cosa, pur di intascare miliardi.
In Mija le turbe emotive sono appianate ma l'ossessione ha la stessa portata, la stessa cecità. Dal momento in cui le strappano via di mano la migliore amica Okja, la sua sola missione diventa riportarla a casa. Ogni circostanza esterna, ogni altro attore in scena assume per lei funzione di ostacolo o strumento, niente più. Neppure assistere alla macellazione brutale dei supermaiali rinchiusi in stabilimenti-lager la sprona ad ampliare l'obiettivo dei suoi sforzi: le importa soltanto tornare alla routine bucolica insieme a Okja, in esilio volontario dalla civiltà aliena e grottesca che vive alle pendici delle montagne.

Nell'antro della questione ambiental-alimentare Bong si cimenta ancora con protagonisti che sollevano interrogativi sul confine tra pubblico e privato, tra singolo e collettivo, relazionati a una società senza coscienza sociale composta da nuclei (famigliari) che mantengono distanze reciproche, intrappolati o totalmente estromessi da meccanismi politici, giuridici, mediatici, economici. Temi ricorrenti che trovano superficiale leggerezza nel formato avventuroso under-18, mentre l'estetica del coreano si avvalora nel consueto modo di sfrenarsi sul piano cinetico come nei dettagli del décors e nelle dominanti cromatiche, curate dal Khondji di "Seven".

Qualcosa va storto nella semplicità argomentativa di fondo, nel ricorso a piccole concessioni retoriche, nella gestione dei personaggi (lo zoologo cialtrone di Jake Gyllenhaal potrebbe risultare molto fastidioso, benché progettato per esserlo). Storture che lasciano forse ingiustamente l'impressione di un'opera marginale, però controbilanciata eccome: grazie al balenare di lampi di inattesa poesia da cinema muto; con lo splendore formale dell'intera sequenza in cui Mija rincorre il tir che trasporta Okja per le strade di Seoul, con tanto di devastazione di centro commerciale e intervento degli animalisti, venticinque minuti rocamboleschi, girati quasi in tempo reale, di montaggio, inquadrature e movimenti di macchina perfetti.


12/07/2017

Cast e credits

cast:
Tilda Swinton, Ahn Seo-Hyun, Paul Dano, Jake Gyllenhaal, Lily Collins, Shirley Henderson


regia:
Bong Joon-Ho


distribuzione:
Netflix


durata:
120'


produzione:
Kate Street Picture Company, Lewis Pictures, Plan B Entertainment


sceneggiatura:
Bong Joon-Ho, Jon Ronson


fotografia:
Darius Khondji


scenografie:
Lee Ha-Jun, Kevin Thompson


montaggio:
Han Mee-Yeon, Yang Jin-Mo


costumi:
Choi Se-Yun, Catherine George


musiche:
Jeong Jae-Il


Trama
Okja è uno delle migliaia di supermaiali transgenici creati dalla Mirando Corporation, allevato dalla piccola Mija fra i monti coreani. Quando la Mirando viene a riprenderselo per trasformarlo in bistecche, Mija si lancia all'inseguimento e per liberarlo si spinge fino a New York, aiutata da un gruppo di animalisti.