Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
8.0/10

Nella cinematografia dei paesi dell’ex Jugoslavia la guerra civile degli anni Novanta è tema che ricorre fin da quel 1995 in cui avvenne il genocidio di Srebrenica, oggetto di quest’opera della bosniaca Jasmila Žbanić, presentata in concorso a Venezia nel settembre 2020 e giunta nelle sale italiane soltanto in questi giorni, a oltre un anno di distanza, dopo essere pure entrata nella short list dei candidati all’Oscar per il miglior film internazionale.  

Quando nel maggio 1995 Kusturica trionfava a Cannes con "Underground" - affresco pop e grottesco di mezzo secolo di storia jugoslava che terminava proprio con la dissoluzione del paese balcanico e con la guerra civile che in quel periodo perdurava - il massacro di Srebrenica non si era ancora verificato (avverrà nel luglio di quell’anno). L’approccio effervescente di Kusturica al dramma di una nazione sembra assimilabile, col senno di poi, a quanto si era già registrato cinquant’anni prima con "Il grande dittatore", parodia del fuhrer e del nazismo che – come disse lo stesso Chaplin – forse non avrebbe potuto esser girata in quel modo dopo aver conosciuto gli orrori che il nazismo avrebbe prodotto.  

Un quarto di secolo dopo Srebrenica i tempi sono sicuramente maturi per affrontare di petto e con inevitabile taglio drammatico la storia di uno dei crimini di guerra più spietati e cruenti della seconda metà del Novecento. A farlo è una donna, che mette in scena la storia di un’altra donna, traduttrice presso il contingente Onu di stanza a Srebrenica. Aida concilia questo suo ruolo istituzionale in periodo di guerra (prima, invece, faceva la maestra), con quello di madre e di moglie, di due ragazzi e di un uomo rifugiati presso la base Onu in cui la popolazione di Srebrenica è stata accolta, pur se in condizioni indecorose, per sfuggire alla furia del generale serbo Ratko Mladić, che ha ormai conquistato la città bosniaca. Quello di Srebrenica è uno degli episodi bui della storia delle Nazioni Unite, con i caschi blu olandesi che assistettero impotenti a un genocidio che, di fatto, si stava consumando sotto i loro occhi; con i vertici militari della base intrappolati, da un lato, nella tenaglia delle ipocrisie, dei tentennamenti e delle false rassicurazioni della catena di comando (che aveva dichiarato la città zona protetta salvo poi lasciarla alla mercé di Mladić) e dall’altro nel profluvio di arroganza e violenza dei militari e paramilitari serbi. 

In "Quo vadis, Aida?" emerge tutto ciò e non soltanto, essendo la tragedia collettiva il contesto in cui si svolge la tragedia individuale della protagonista, straordinariamente interpretata dalla serba Jasna Đuričić. Aida vaga per l’intero film - come il titolo cristologico fa già presagire - profondamente segnata dall’inquietudine, ma mai doma. La sua energia pare inesauribile ed è quella di una madre che deve cercare di mettere in salvo i propri figli, mentre prova altresì a dare il proprio contributo alla causa collettiva. La macchina da presa le sta addosso per buona parte del tempo, pedinandola nei suoi spostamenti all’interno e fuori dalla base, ricordando il trattamento che László Nemes aveva riservato al protagonista de "Il figlio di Saul", altro testimone di un genocidio, quello dell’Olocausto. Lì la messa a fuoco interveniva per evitare di mostrare - per certi versi, allo stesso protagonista - l’orrore dei campi di concentramento; in "Quo vadis, Aida?" è invece il fuori campo lo strumento prescelto per quegli istanti collettivi in cui tragedia collettiva e individuale vengono a fondersi. Due drammi che coincidono, ma che sono nettamente distinti quanto meno agli occhi di una madre che ha come unico obiettivo quello di salvare a ogni costo la propria famiglia, e che alla fine del conflitto si trova a dover condividere con il carnefice i propri spazi e la propria nuova quotidianità, in un'appendice in cui rabbia, dolore e rassegnazione vanno di pari passo.

L’atteggiamento costantemente sopra le righe di Aida è reso alla perfezione dalla Đuričić, che muove ogni singolo muscolo facciale per dare sfogo alle nevrosi di chi lotta con i propri deboli mezzi – ma con una caparbietà impareggiabile – contro una situazione che è inevitabilmente più grande di quella che una singola persona possa gestire. E il personaggio di Aida finisce per mettere in ombra quella parte di film (quella in cui la donna non agisce come pressoché esclusivo centro di interesse) che è tuttavia indispensabile alla riuscita generale dell’operazione, in quanto fondamentale per ricreare quel contesto di assoluta credibilità - storica, logistica, sociale - dentro cui le vicende umane vanno a intrecciarsi. Perché "Quo vadis, Aida?" è di fatto, a suo modo, il risultato di un considerevole sforzo produttivo, soprattutto se si considera il contesto di un paese, la Bosnia, che produce mediamente un film all’anno (inevitabile, dunque, la co-produzione di altri nove paesi europei). Uno sforzo che si nota ampiamente - non appena la focale dell’obiettivo si accorcia, passando dai primi piani della donna ai campi lunghi o lunghissimi che permettono di svelare pienamente il contesto - nei mezzi, nelle location, nel numero di comparse, tra le quali figurano uomini e donne che avevano vissuto in prima persona gli orrori della guerra civile e che hanno voluto e saputo interagire costruttivamente fornendo piccoli dettagli utili ad accrescere la verosimiglianza storica degli eventi narrati. Ma l'apparato produttivo, pur di rilievo, ha il merito di non prendere mai il sopravvento, sapientemente piegato a componente essenziale, ma sempre in disparte, di una storia individuale costantemente a fuoco e perfettamente calata nel contesto di una delle tante pagine buie del Novecento.


30/09/2021

Cast e credits

cast:
Jasna Djuricic, Izudin Bajrovic, Boris Ler, Dino Bajrovic, Johan Heldenbergh, Raymond Thiry, Boris Isakovic


regia:
Jasmila Zbanic


distribuzione:
Academy Two, Lucky Red


durata:
101'


produzione:
Deblokada Produkcija, coop99, Digital Cube, N279 Entertainment, Razor Film, Extreme Emotions, Indie


sceneggiatura:
Jasmila Zbanic


fotografia:
Christine A. Maier


scenografie:
Hannes Salat


montaggio:
Jaroslaw Kaminski


costumi:
Malgorzata Karpiuk, Ellen Lens


musiche:
Antoni Lazarkiewicz


Trama
Bosnia, 1995. Aida è una traduttrice per il contingente delle Nazioni Unite di stanza a Srebrenica. Quando le truppe serbe di Mladić entrano in città la popolazione si rifugia presso la base Onu. Aida dovrà così aggiungere ai suoi compiti quello di tentare di proteggere i suoi due figli e il marito...
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