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recensione di Francesca d'Ettorre
6.5/10

La vita di Roman Polanski non ha conosciuto la monotonia della normalità, ma solo gli apici estremi di successo e tragedia. Fin dall'infanzia, quando, poco prima che scoppiasse la guerra, la famiglia di Polanski si trasferì a Cracovia. Seduti l'uno di fronte all'altro, nello chalet di Gstaad, Roman e il suo amico e produttore di lunga data Andrew Braunsberg passano in rassegna gli eventi più significativi della vita del regista di origini ebree.

Il ghetto di Varsavia, in cui furono ammassati gli ebrei della zona, la donna uccisa davanti agli occhi di Roman bambino - immobile di fronte al sangue che zampillava come da una fontanella -, la deportazione dell'amico d'infanzia prima e della mamma poi.
Quando vennero a prendere tutti gli altri, Polanski riuscì a fuggire grazie al padre, e fu accolto da una famiglia di contadini polacchi, cui il padre aveva lasciato dei gioielli di famiglia e dei risparmi, in previsione di quel giorno. La madre, incinta, morì nelle camera a gas; il padre sopravvisse. Venne l'Armata Rossa e con lei si aprì un altro capitolo: di povertà e stenti. Polanski iniziò ad assecondare le sue passioni, frequentando scuole di recitazione e regia. Il suo primo lungometraggio "Il coltello nell'acqua", che ebbe una gestazione travagliata e fu massacrato in patria, fece - tuttavia - il giro del mondo, tanto da conquistarsi il premio della Critica al Festival del Cinema di Venezia e la candidatura agli Oscar come miglior film straniero (primissima volta per un film polacco). Da qui comincia la carriera del Polanski-regista che si consegnerà al successo mondiale.

Il documentario, voluto dall'amico-autore, è una confessione intima e commovente, sebbene semplicistica e limitativa nella sua risoluzione. Ha la fisionomia colloquiale della conversazione amicale e l'intento manifesto di confezionare per i detrattori la propria versione dei fatti. La prima che Polanski concede pubblicamente dopo la  fiumana di parole e fango, menzogne e verità,  che l'hanno travolto nel corso degli anni. Nel 1969, trasferitosi ormai negli Stati Uniti dove l'anno prima aveva visto la luce "Rosemary's Baby", venne uccisa la moglie - all'ottavo mese di gravidanza - insieme ad altre quattro persone dai seguaci di Charles Manson. Una tragedia; l'ennesima. Polanski-uomo e Polanski-regista sembrano confondersi nell'alone greve e oscuro che avvolge la sua vita e i suoi film. Il mistero del male che sottace ferino nell'individuo non è solo un leit motiv cinematografico, ma una infelice condizione personale. Anche nel 1977, quando arriva l'arresto per stupro. Il regista polacco confessa di aver avuto un rapporto sessuale con la minore, ma nega la violenza. Passerà 42 giorni nel carcere  di Chino per poi essere liberato su cauzione e lasciare l'America prima della sentenza di condanna. Senza farvi più ritorno, per evitare il carcere. Un mandato di cattura pendente che, trentatré anni dopo, lo porterà in carcere in Svizzera, dove si trovava per partecipare a un Festival cinematografico.
Da qui, apre le fila il documentario, dagli arresti domiciliari fino a testimoniarne il ritorno a uomo libero nel 2010. Ripercorriamo nel racconto del suo protagonista una storia che sconvolge per la sua commistione di orrore e gloria e per l'imperturbabilità serafica di Polanski nell'accettare gli eventi. Non un singulto sopra le righe, non un accenno di rancore. Solo la polanskiana consapevolezza che la vita è una discesa nell'oblio, mentre si risale.


23/05/2012

Cast e credits

cast:
Roman Polanski


regia:
Laurent Bouzereau


distribuzione:
Lucky Red


durata:
94'


produzione:
Casanova Multimedia


fotografia:
Pawel Edelman


montaggio:
Jeffrey Pickett


musiche:
Alexandre Desplat


Trama
La vita del regista Roman Polanski viene scandagliata, attraverso una lunga conversazione con il suo amico e produttore, nelle sue tragedie e nei successi. Dall'infanzia nel ghetto di Varsavia all'arresto per stupro.
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