Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

Il giusto equilibrio tra quanto viene e non viene detto e mostrato è alla base della qualità di un thriller. Laddove la parola e l’immagine prevalgano sul non detto e non mostrato il film risulta privo di suspense poiché preclude allo spettatore quell’orizzonte immaginario nel quale proiettare le emozioni suscitate dal dispositivo cinematografico. In altri termini, in un buon thriller è necessaria la suspense, quella che Wendell White definì "prolungata e frustrata curiosità dello spettatore". In "Run" la suspense è garantita da una solida sceneggiatura e da un montaggio che interviene solo dove sia strettamente necessario.

Il secondo lungometraggio di Aneesh Chaganti deve non poco ad Alfred Hitchcock, ad iniziare dal fatto che la protagonista Chloe (Kiera Allen) è costretta sulla sedia a rotelle come il Jeff de "La finestra sul cortile", condizione che ne limita la libertà fisica e contestualmente alimenta nello spettatore uno degli effetti propri del processo di riconoscimento e immedesimazione: il senso di impotenza. Anche la fotografia ricorda il maestro del brivido. Ma il regista di origine indiana ha attinto ispirazione anche da altre opere. Uno dei personaggi apparentemente marginali del film è una farmacista, Kathy Bates, un nome che rimanda inevitabilmente al "Misery non deve morire" di Bob Reiner, altro thriller al quale, per contenuto e atmosfera, il regista guarda con insistenza. Dopo il successo di "Searching" Aneesh Chaganty si misura con atmosfere più claustrofobiche, in quanto lasciato il cyberspazio la location assume la concretezza di un’abitazione, nella quale per giunta la rete internet si blocca, e in cui il dualismo attoriale tra madre e figlia esclude di fatto un vero e proprio sistema dei personaggi.

La diciassettenne Chloe è nata col fisico minato da diverse problematiche, quali l’aritmia, il diabete e l’asma, ma ha una volontà di ferro. La madre, iperprotettiva, la accudisce in tutto e per tutto e ha regolato la propria esistenza intorno alla figlia, la quale non ha praticamente contatti con l’esterno poiché è cresciuta ed è sempre vissuta in una casa attrezzata perfino di laboratorio scientifico per lo studio approfondito delle scienze anche senza una effettiva frequenza scolastica. La giovane, tuttavia, morde il freno e attende con ansia la lettera di ammissione all’Università, occasione di piena libertà e indipendenza. Chaganty dissemina indizi circa i reali propositi di Diane (Sarah Paulson) con un crescendo che va dal sospetto (il mancato recapito delle lettere dall’Università, la scoperta di un misterioso farmaco con la doppia etichetta) alla certezza (i cavi del telefono recisi per impedire alla figlia di comunicare con l’esterno, la natura nociva del farmaco che questa è indotta ad assumere). La sequenza rivelatoria è quella nella quale la giovane scopre da alcuni documenti di non essere figlia di Diane, ma di essere stata letteralmente sottratta a una coppia da un ospedale, in seguito alla morte della vera figlia di Diane a poca distanza dal parto.

"Run" si regge sull’equilibrio narrativo di cui si diceva sopra, e poco o nulla è dato sapere circa le ragioni per cui la madre costringa di fatto la figlia a vivere sulla sedia a rotelle dopo averne volutamente limitato la capacità di deambulare. C’è solo un’inquadratura sul dorso di Diane che mostra fuggevolmente delle cicatrici, ma nulla emerge a tal proposito; in seguito c’è solo un vago accenno a un difficile rapporto con la madre. Il sospetto che qualcosa non vada si insinua in Chloe tra un rito quotidiano e l’altro: l’assunzione dei farmaci, la ginnastica riabilitativa, la cucina con prodotti rigorosamente coltivati in proprio, i compiti della homeschooling. Il sospetto viene insomma centellinato, temporalmente dilatato in modo da alimentare nello spettatore quello che Peter Vorderer ha chiamato lo "stress empatico".

"Run" mostra più di un debito anche nei confronti di Stanley Kubrick: la minaccia esiziale che viene da un parente stretto, resa anche più inquietante dalla constatazione di doversi guardare proprio da chi più ci dovrebbe difendere; anche lo sfrigolìo dei violini e i picchi sonori delle sequenze più tese rimandano all’autore di "Shining". "Kill Bill, vol.1" di Quentin Tarantino fa invece capolino nella sequenza in cui Chloe scopre di essere in grado di muovere le dita dei piedi dopo che ha nascostamente smesso di assumere un farmaco datole dalla madre. Le inquadrature contribuiscono non poco al mood del thriller: poste sovente all’altezza di Chloe rendono più incombente la figura materna, e limitate dalla presenza della carrozzella possono diventare anche più inquietanti, come ad esempio quando dal fondo dello scantinato, metafora infernale, ritraggono verso l’alto ma obliquamente la ragazza.

L’epilogo a sorpresa del film da un lato presenta un rapporto invertito tra madre e figlia, degno del miglior Mario Bava (quello della conclusione di "Cani arrabbiati"): la prima è sul letto di un ospedale, mentre la seconda le mostra beffardamente delle pastiglie che è intenzionata a farle assumere. Dall’altro il tutto potrebbe preludere a un sequel. 


27/06/2021

Cast e credits

cast:
Sarah Paulson, Kiera Allen, Sara Sohn, Pat Healy, Erik Athavale, Sharon Bajer


regia:
Aneesh Chaganty


titolo originale:
Run


distribuzione:
Lucky Red


durata:
90'


produzione:
Lionsgate


sceneggiatura:
Aneesh Chaganty, Sev Ohanian


fotografia:
Hillary Spera


scenografie:
Jean-Andre Carriere


montaggio:
Will Merrick


costumi:
Heather Neale


musiche:
Torin Borrowdale


Trama

Diana Sherman è una madre coraggio che ha dovuto lottare contro tutto e tutti. Da quando la figlia Chloe, con tanti problemi fisici, è venuta al mondo, lei si è incaricata di badare da sola alla piccola assicurandole anche i trattamenti medici necessari affinchè possa comunque avere la miglior vita possibile. Una piccola sbadataggine fa tuttavia sì che Chloe inizi a pensare che la vita potrebbe essere completamente diversa da quella che sta vivendo. 

Link

Sito ufficiale