Ondacinema

recensione di Giancarlo Usai
6.0/10

Una domanda è d'obbligo. Perché il maestro Andrea Camilleri ha una grande fortuna negli adattamenti televisivi e, a oggi, risulta un debuttante al cinema? Che incompatibilità c'è fra la narrativa dello scrittore siciliano e il grande schermo? Risposte ce ne potrebbero essere molte. Da un punto di vista strettamente linguistico, Camilleri si diverte con l'italiano come pochi altri, non smette mai di sperimentare commistioni fra la lingua di tutti noi e i dialetti, le cadenze, i vezzi del linguaggio popolare e burocratico.

Un timbro così personale, dai risvolti comici esilaranti, è impossibile da adattare a un'altra forma di espressione artistica, per altro non firmata dal medesimo autore. Se in più si aggiunge a questo uno spericolato gioco di rimandi, dalla finzione alla realtà nazionale dei nostri tempi, ecco spiegato perché molti registi, prima di Rocco Mortelliti, hanno preferito soprassedere. Eppure di romanzi straordinari, che potevano prefigurare un'eccellente resa visiva, Camilleri ne ha scritti davvero tanti. Mortelliti sceglie per l'esordio uno degli episodi letterari più arditi del maestro, quel "La scomparsa di Patò", edito nel 2000, che, al pari del suo predecessore "La concessione del telefono", basa il suo incedere narrativo sul particolare espediente del romanzo epistolare che si fonde con un giallo tradizionale.

Il ragioniere Patò sparisce in circostanze misteriose da Vigata e un delegato di pubblica sicurezza insieme a un maresciallo dell'Arma vengono messi sulle sue tracce. Per Camilleri l'indagine si divide in due binari: c'è la storia principale vissuta dai due investigatori, ma c'è anche un fitto scambio di lettere fra personaggi, che coinvolge uomini di governo e abitanti della cittadina siciliana e che mette in luce tutta l'assurda comicità dei vincoli burocratici di quell'Italia di fine Ottocento.

Mortelliti mette in scena al meglio delle sue possibilità questo materiale così multiforme. Da una parte lo assiste una sceneggiatura di ferro, scritta insieme allo stesso scrittore e a Maurizio Nichetti, infarcita di dialoghi serrati, battute e controbattute e dall'altra anche l'interpretazione di un cast in grande forma che regge molto bene il ritmo di uno script così impegnativo. Maurizio Casagrande e Nino Frassica, bisogna riconoscerlo, trovano una storia che permette loro di tirare fuori un affiatamento davvero degno di nota. Così come i personaggi di contorno risultano azzeccati e pienamente in tono con il loro ruolo da caratteristi.

Apprezziamo anche che Mortelliti abbia trovato una serie di accorgimenti scenici per rendere il più imprevedibile possibile lo snodo della vicenda: i siparietti da teatro che coinvolgono di volta in volta i testimoni ascoltati dai due "inquirenti" aiutano a dare un respiro cinematografico ambizioso al film, che si discosta perciò dalla media dei prodotti televisivi nazionali.

Peccato che sia nell'altra direzione che il film porge il fianco a critiche facili. Il lato più satirico del Camilleri romanziere, quello che usa lingua e vicende per mettere alla berlina una società intera, resta troppo sullo sfondo di questo insolito giallo. Nella sua trasposizione cinematografica, "La scomparsa di Patò", da possibile commedia umana universale si accontenta di essere, appunto, più che altro un giallo in costume, per altro realizzato con perizia e cura nel minimo dettaglio. Ci viene da esclamare: che peccato!

Perché, anche grazie alle pecche qua sopra evidenziate, è lo stesso Mortelliti che ci suggerisce il suo merito più grande: con un po' di ambizione, di temerarietà, anche il cinema italiano può confrontarsi con la grande narrativa contemporanea, senza necessariamente accontentarsi di una pigra realizzazione per canali televisivi generalisti.


26/02/2012

Cast e credits

cast:
Neri Marcoré, Nino Frassica, Maurizio Casagrande, Flavio Bucci, Gilberto Idonea


regia:
Rocco Mortelliti


durata:
100'


sceneggiatura:
Andrea Camilleri, Rocco Mortelliti, Maurizio Nichetti


Trama
Sicilia. Vigata 1890, Venerdì Santo, nella piazza del paese viene messo in scena il "Mortorio" ossia la Passione di Cristo, nella quale l’integerrimo e irreprensibile ragioniere di banca Antonio Patò, interpreta la parte di Giuda. La rappresentazione giunge all'acme con l'impiccagione di Giuda-Patò che, accompagnato dagli improperi degli spettatori, cade in una apposita botola. Ma alla fine della spettacolo Patò sembra scomparso. Nel suo camerino non si trovano né i suoi abiti né il costume di scena. Su un muro di Vigata qualche giorno dopo compare una scritta "Murì Patò o s'ammucciò (si nascose)?". La Pubblica Sicurezza nella figura del delegato Ernesto Bellavia e i Reali Carabinieri nella figura del maresciallo Paolo Giummaro entrano in competizione e si ostacolono nelle indagini. Si insinuano ipotesi: una qualche irregolarità nella conduzione della banca? Una perdita di memoria dovuta alla caduta nella botola? Un qualche complotto mafioso? Attraverso le indagini, gli interrogatori e una serie di flashback che danno vita a un caleidoscopo di personaggi, costumi e malcostumi estremamente attuali, esce fuori un quadro sorprendente e inaspettato della Sicilia e dell’Italia tutta.