Ondacinema

recensione di Matteo De Simei
6.5/10
Berlino, 1945. Nelly è un'ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio che fa ritorno al suo paese di nascita grazie alla vitale assistenza offertale dalla sua amica Lene. Sfigurata in volto, Nelly riacquista parzialmente la sua identità per mezzo di un intervento di chirurgia plastica e, ancora sotto degenza, corre verso il marito, unico superstite della sua famiglia. Ma Johnny non la riconosce più. Per lui Nelly è morta e la donna che gli si ripresenta davanti è solo una tenue fotocopia di quella che una volta gli stava accanto. L'avidità dell'uomo però lo convince a cercare di riesumare il fantasma della moglie al fine di poter intascare i soldi della cospicua eredità di lei e della sua famiglia. Nelly accetta le regole di uno straziante gioco per capire finalmente intenzioni e sentimenti di Johnny.

"Phoenix", questo il simbolico titolo originale del film che rievoca il night dove la protagonista ritroverà suo marito dando snodo all'intera vicenda (in questo senso si registra l'ennesima sconfitta dei titolisti italiani, capaci ancora una volta di snaturare un'opera autoriale con un ignobile pensierino da prima elementare) è un melodramma imbevuto di noir hitchcockiano che indaga dal punto di vista umano la ricerca di un'identità andata perduta con gli orrori della guerra nazista, operazione magistralmente riuscita dalla Von Trotta con la ricostruzione filosofica-antropologica in "Hannah Arendt". Qua però il riappropriarsi di quell'identità viene vissuta in prima persona, sulla pelle di Nelly (una tormentata Nina Hoss), una donna sul baratro della follia, personaggio de-umanizzato che una volta destatosi dall'incubo è costretto a riconquistare fisicamente e psicologicamente ciò che il campo di concentramento le ha sottratto. Amore e sentimenti sono ancora anestetizzati dal delirio nazionalsocialista ma Nina trova la salvezza e pianifica il suo riscatto proprio attraverso la pulsione amorosa che nutre verso un uomo che neanche meriterebbe per la glaciale indifferenza che le riserva. Il rapporto che si instaura col marito è una sorta di ménage à trois dove Nelly riesce addirittura a essere gelosa di se stessa nel gioco forzato del cambio di identità. Da un risvolto umano, il film si affida dunque alla compenetrazione nei protagonisti, il che conferma uno dei punti di forza, ovvero la bravura e l'espressività dei suoi interpreti.

Christian Petzold ha scritto il film insieme al fidato collaboratore Harun Farocki, scomparso la scorsa estate, attingendo da una pellicola del connazionale Alexander Kluge, "Ein Liebesversuch" ("Un esperimento d'amore") che rivela la forza dell'amore che combatte e resiste anche quando si è sottoposti a torture indicibili e alle più raggelanti spoliazioni della dignità. Girato a tratti seguendo l'archetipo del kammerspielfilm (il night, il seminterrato, le stanze claustrofobiche) che diffonde l'essenzialità di campi e controcampi (come quello tra i due protagonisti al Phoenix Club), la pellicola si rivela delicata e incorporea, attraversata da personaggi che sembrano più rappresentazioni dei loro stessi fantasmi, così come del resto appare (quello che resta di) Berlino. Il regista cambia registro nella seconda parte, in concomitanza con la nuova Nelly che è riuscita a ritrovare se stessa, inquadrando più volte un rigoglioso verde che decanta speranza. "Mi interessano le persone che si rifiutano di accettare qualcosa e che, per farlo, vanno dritte per la loro strada armate di coraggio e determinazione". La storia di Nelly, nel suo imperturbabile passato nascosto, richiama alla mente la pellicola precedente di Petzold, "La scelta di Barbara", ambientata nel 1980. Anche in quel caso la pediatra Wolff (sempre interpretata dalla Hoss) è determinata ad abbandonare il regime comunista della Germania Est per approdare al di là del muro. Al contrario, Nelly è determinata a rimanere nella città degli orrori per amore e perché in fondo è la sua città. Per fare ciò arriva addirittura a rinnegare il suo passato e la sua origine (costantemente proclamata dall'amica Lene).

Con la medesima operazione di allontanamento dai personaggi e una messa in scena asettica e di sottrazione, Petzold realizza con "Phoenix" un'opera che avvalora le doti del regista tedesco nell'attraversare le più emblematiche fasi storiche del suo paese (operazione che ricorda quella di Pablo Larrain per il suo Cile) ma che tuttavia non riesce a superarsi dal precedente film premiato a Berlino anche a causa di una parziale caratterizzazione dell'amica Lene, personaggio fondamentale per le sorti del film ("mi sento più vicina ai nostri morti che ai vivi") e che vediamo scomparire progressivamente dall'inquadratura della macchina da presa per lasciare spazio al definitivo ricongiungimento tra Nelly e Johnny, nel bellissimo, evanescente finale sulle note jazz di "Speak Low" di Kurt Weill che fa ricredere chi si aspettava un epilogo da tragedia romantica classica.
20/02/2015

Cast e credits

cast:
Imogen Kogge, Michael Maertens, Nina Kunzendorf, Ronald Zehrfeld, Nina Hoss


regia:
Christian Petzold


titolo originale:
Phoenix


distribuzione:
BIM Distribusione


durata:
98'


produzione:
Florian Koerner von Gustorf, Michael Weber


sceneggiatura:
Christian Petzold e Harun Farocki


fotografia:
Hans Fromm


scenografie:
Kade Gruber e Merlin Ortner


montaggio:
Bettina Böhler


costumi:
Anette Guther


musiche:
Stefan Will


Trama
Giugno 1945. Sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz, Nelly torna a Berlino, dov’è nata, gravemente ferita e col volto sfigurato. Ad accompagnarla c’è Lene, impiegata dell’Agenzia ebraica e amica di Nelly da prima della guerra. Senza neppure aspettare di essersi ripresa dall’intervento di chirurgia plastica al viso, e contro il parere di Lene, Nelly parte alla ricerca di suo marito, Johnny: l’uomo che ha cercato fino alla fine di proteggerla dalla persecuzione nazista