Ondacinema

recensione di Giancarlo Usai
8.5/10

Attenzione! Rischio equivoco molto alto: il breve lungometraggio (per non sminuirlo definendolo mediometraggio), che Kiyoshi Kurosawa ha presentato al Festival del film di Roma, è un'opera straordinaria. Potrà essere confuso con uno scherzo e niente più, una "vacanza" del genio giapponese dalle sue pellicole solitamente dense anche a livello di minutaggio. Invece, i sessanta minuti di "Seventh Code" sono una lezione di maestria cinematografica, di regia sopraffina mai accondiscendente verso i compromessi e, soprattutto, sono la dimostrazione che un grande cineasta non si piega a nuovi generi o a nuove location, bensì è egli stesso a saper ricondurre ogni elemento di novità all'unicum della sua poetica.
Per la prima volta impegnato in un set fuori dal Giappone, Kurosawa abbandona solo apparentemente le atmosfere claustrofobiche e gli interni cupi e decadenti per aprirsi al sole, al vento e al clima pungente della russa Vladivostok, la città delle contraddizioni. È qui, infatti, il porto estremo del mastodontico Paese ex sovietico che si affaccia sul Pacifico. Qui si parla russo, si commercia in rubli, la fisiognomica delle persone ricorda Mosca o San Pietroburgo, ma in realtà siamo a poche centinaia di chilometri da Tokyo.

Qui, in una città-non luogo per eccellenza, il regista di "Kairo" colloca la sua semplice e stravagante storia da thriller spionistico. Qui la giovane Akiko giunge affannata e con una valigia gigante rotolante in cerca dell'affascinante "signor" Matsunaga, un imprenditore conosciuto in patria che, una sera, la invitò a cena per poi sparire nel nulla. Ma Matsunaga è un tipo losco, uno che è andato in Russia a concludere sporchi affari con la mafia locale e i sessanta minuti sono un lungo peregrinare della ragazza alla ricerca del colpo di fulmine perduto.
In questa ora di cinema, Kurosawa prende un genere, il thriller appunto, e lo scompone pezzo per pezzo, ammantandolo di un'ironia demistificatrice e divertendosi a spiazzare lo spettatore sempre e comunque. Lo fa attraverso il suo solito stile, attento alla messa in scena di luoghi chiusi soffocanti in contrasto con spazi aperti di decadente bellezza e aiutato da una macchina da presa che gioca con la profondità di campo per distruggere la tensione, pochi istanti dopo che essa si è andata palesando (indimenticabile la scena del pedinamento da parte di Akiko e del suo connazionale ai danni della gang capeggiata proprio da Matsunaga).

Ma è anche con la scelta di una narrazione apparentemente inconcludente che Kurosawa porta lo spettatore al largo, quasi facendogli dimenticare che, comunque, sta assistendo a una storia di spionaggio e di misteriosi delitti. Il cineasta nipponico, infatti, è interessato più che altro alla descrizione delle singole situazioni, che siano cariche di pathos o di comicità: per questo, ad esempio, colloca l'inizio del film in fieri, senza un incipit e uno sviluppo dell'intreccio canonico. Il corso degli eventi, dalla prima sparizione di Matsunaga alla ricerca senza sosta di Akiko, dalla svolta tragica della vicenda all'inevitabile colpo di scena che rasenta l'assurdo, è utile fintanto che permette al regista di inscenare una serie di situazioni-cardine che gli interessano.
Impossibile, per non rovinare il gusto dello sberleffo finale, rivelare la conclusione del film. Valga soltanto ricordare che è solo verso la chiusura, in prossimità dei titoli di coda, che si avrà la spiegazione del titolo dell'opera e che, affidata a un campo lungo genialmente in equilibrio fra lo stupore e l'ilarità, la seriosità della tradizione spionistica verrà letteralmente fatta esplodere da uno dei più profondi e originali intellettuali che il cinema contemporaneo conosca.

Ps. Il film viene presentato in concorso insieme a un corto che ne fa da giusto complemento, "Beautiful New Bay Area Project": anche qui, condensando in pochi minuti un divertente crescendo di grottesco e paradossale, Kurosawa sceglie una giovane donna e il suo lato oscuro per raccontare, tra un ghigno e un sobbalzo sulla poltrona, l'impossibilità moderna di reali contatti umani che non siano dominati da violenza e aggressività.


15/11/2013

Cast e credits

cast:
Atsuko Maeda, Ryohei Suzuki, Aissy , Hiroshi Yamamoto


regia:
Kiyoshi Kurosawa


titolo originale:
Sebunsu Kodo


durata:
61'


sceneggiatura:
Kiyoshi Kurosawa


fotografia:
Shinya Kimura


scenografie:
Norifumi Ataka


montaggio:
Koichi Takahashi


costumi:
Masae Miyamoto


musiche:
Yusuke Hayashi


Trama
Vladivostok, Russia. Akiko giunge da Tokyo per incontrare l’imprenditore Matsunaga, perché non riesce a dimenticarlo da quando le è capitato di cenare con lui. Finalmente lo ritrova, ma Matsunaga si limita a raccomandarle di non fidarsi di nessuno in terra straniera e poi scompare. Akiko ricomincia a cercarlo. Note di regia Atsuko Maeda è un’attrice giapponese eccezionale che può sostenere la scena da sola senza fare affidamento su cose o persone.