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recensione di Emanuele Richetti
4.5/10
Inizia con uno schermo nero, "A Tale of Love and Darkness", e una voce fuori campo che sussurra qualcosa con voce sommessa. Uno schermo nero che non può non richiamare alla memoria l'incipit del "Jackie" di Pablo Larraìn, con le bellissime distorsioni sonore di Mica Levi e la successiva apparizione di Natalie Portman. "A Tale of Love and Darkness" (tradotto assai discutibilmente con l'italiano "Sognare è vivere"), presentato fuori concorso a Cannes due anni fa, è l'esordio in qualità di regista della stessa enfant prodige - e ora tra le attrici più ricercate nel panorama cinematografico mondiale - lanciata da Luc Besson nel 1994. Un lungometraggio dalla genesi travagliata (otto anni per la scrittura della sceneggiatura e per l'accumulo di sufficienti somme di denaro) fortemente voluto dalla trentaseienne nata a Gerusalemme, nonché basato sul romanzo autobiografico di Amos Oz "Una storia di amore e di tenebra". La complessa e affascinante materia di partenza - che fondeva insieme la storia della famiglia Klausner con quella di uno Stato (e di un popolo) intero - ha spinto la Portman ad affrontare l'arduo passaggio dietro la macchina da presa, a prima adattare e poi tradurre in immagini l'opus magnum dell'autore israeliano.

Quanto ella avesse a cuore questo progetto è chiaro dall'imperativo che sembra essere alla base del film: cercare di eguagliare la maestria letteraria dello scrittore attraverso un impianto visivo di non minore importanza. Quello che potrebbe passare facilmente come un superfluo esercizio di stile nasconde, in profondità, la sincera volontà di rendere giustizia al romanzo di Oz; peccato, però, come le soluzioni di regia adottate non solo siano incoerenti con il soggetto e il tono della narrazione, ma appaiano talmente retoriche e convenzionali da rendere difficile l'elogio anche della pura messinscena. "Sognare è vivere" sacrifica la crudeltà della realtà israeliana alla sterile logica dell'estetismo, semplificando la complessità del libro in favore di un approccio molto più immediato e prevedibile. Nonostante per quasi tutta la pellicola si segua il corpo del giovane Amos, il focus del racconto è posto sul rapporto tra questi e la figura materna (ovviamente interpretata dalla stessa Natalie Portman): è qui che risiede il centro emotivo dell'opera e non è un caso che si segnalino le scene migliori proprio quando viene ripresa la complicata quotidianità dei due protagonisti.

"A Tale of Love and Darkness", organizzato come un lungo flashback introdotto e spesso spezzato dalla voice over dell'Amos anziano, soffre di virtuosismi fini a se stessi ed estremamente banali nel loro utilizzo: abbondano ralenti, sguardi in macchina, sovrimpressioni, dettagli degli occhi alla Sergio Leone e immagini volontariamente fuori fuoco. Non aiutano poi a una valutazione positiva la fastidiosa patinatura della fotografia e l'appiattimento della caratterizzazione di Oz, qui ridotto a stereotipato ragazzino silenzioso, introverso e solitario. Nella sua apparente impostazione autoriale, "Sognare è vivere" nasconde una struttura fortemente didascalica e un punto di vista tutto sommato scolastico, intervallando ora scene oniriche e fantastiche, ora documentaristiche immagini d'epoca in bianco e nero. Forse a causa della lunga storia produttiva sopra citata, si percepisce una decisa differenza stilistica e tematica tra la prima parte, concentrata sulle vicende politiche e storiche dello Stato israeliano, e la seconda, focalizzata sui cambiamenti all'interno del nucleo familiare; forse per la medesima ragione (e forse anche a causa di una poco oculata direzione dei tempi di montaggio, il quale spesso procede per ellissi confusionarie e poco chiarificatrici), alcuni mutamenti caratteriali e certe svolte narrative appaiono privi del necessario approfondimento. La Portman sembra possedere uno sguardo ancora molto acerbo dietro la macchina da presa, troppo teso all'accumulazione e poco allo scavo nell'interiorità dei suoi personaggi.

Malgrado tutte queste (pesanti) lacune, riesce faticoso stroncare senza appello "Sognare è vivere", sia per qualche sequenza interessate ed emozionante (l'abbraccio con la morte verso il finale), sia per l'onestà con cui tutta l'operazione è condotta: non vediamo, come già abbiamo potuto affermare, nella regia dell'attrice naturalizzata statunitense un inutile esercizio di stile, quanto il tentativo di dare degna rilevanza audiovisiva alle pagine del romanzo originale. La (ingenua) personalità e insieme reverenza con cui Natalie Portman si è accostata a un capolavoro per la storia della letteratura israeliana (ricordiamo come si sia strenuamente battuta per girare il film in lingua ebraica) è, quantomeno, degna di rispetto. Dispiace che il risultato finale non sia affatto all'altezza di quei buoni propositi di partenza. 
08/06/2017

Cast e credits

cast:
Alexander Peleg, Moni Moshonov, Ohad Knoller, Makram Khoury, Gilad Kahana, Amir Tessler, Natalie Portman


regia:
Natalie Portman


titolo originale:
A Tale of Love and Darkness


distribuzione:
Altre Storie


durata:
95'


produzione:
Handsomecharlie Films, MoviePlus Productions, Ram Bergman Productions


sceneggiatura:
Natalie Portman


fotografia:
Slawomir Idziak


scenografie:
Arad Sawat


montaggio:
Andrew Mondshein


costumi:
Li Alembik


musiche:
Nicholas Britell


Trama
Fania lotta contro la realtà del dopoguerra crescendo il figlio nella Gerusalemme tra la fine del mandato britannico della Palestina e i primi anni dello stato di Israele. Alle prese con una vita coniugale di promesse non mantenute e con la difficile integrazione in una terra straniera, Fania combatterà la depressione rifugiandosi in un mondo di sogni a occhi aperti.