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recensione di Diego Capuano
8.0/10

La rugiada (Teza) è metaforicamente l'elemento dell'assenza. La rugiada potrebbe affievolire la siccità che devasta il continente africano. Si forma nelle notti calde e serene sulla vegetazione.
Al contempo la scarsa serenità non fornirebbe alla vegetazione naturale quella rugiada che si fa dunque materia in un certo senso impenetrabile in un preciso contesto etiope, lasciando i bassopiani e le steppe circostanti in un costante stato di siccità. È la stessa barriera che impedisce il cambiamento tanto agognato durante le varie fasi della sua storia: dall'insediamento di Haile Selassie I (Imperatore d'Etiopia dal 1930 al 1936 e dal 1941 al 1974, passando dunque dalla liberazione dagli inglesi del 1941) al regime socialista, con a capo Haile Mariam Menghistu, sembra sempre esserci stata un'illusione continua che con il regime di Menghistu è finita con un crollo collettivo di ogni speranza possibile, sfociando in una grave carestia fino alla contemporanea e preoccupante crisi economica. Non soltanto uno sfacelo di un progresso nei fatti mai avvenuto in alcun settore, ma al contempo un timore di guardare indietro nella propria tradizione vivendo dunque un presente di preoccupante smarrimento che vede annullare l'energia (positiva o negativa che sia) talvolta in grado di smuovere l'animo della civiltà etiope.

Il protagonista di "Teza", Anberber (un bravissimo Aaron Arefe), è al contempo l'alter ego del regista Haile Gerima e padre-Etiopia, quasi la rappresentazione della mente dell'intellettuale africano medio.
Gerima emigrò infatti negli Stati Uniti nel 1967, passando prima per Chicago, dove si formò da attore alla Goodman School of Drama, e dal 1972 a Los Angeles, dove si laureò in cinema alla Ucla, diventando uno dei punti di riferimento della Scuola di Los Angeles. La notorietà arrivò nel 1975, quando realizzò "Il raccolto dei tremila anni", caposaldo del cinema africano, sofferto ritratto di contadini sfruttati per millenni da potenze feudali. Maestro del cinema africano, torna con "Teza" nove anni dopo "Adua" (sulla battaglia di Adua contro l'esercito coloniale italiano).
Quello di Anberber è un romanzo di formazione e un viaggio spirituale. Il ritorno alla sua terra d'origine è accompagnato da una parziale perdita di memoria, purificatrice nel suo porsi domande: in questo contesto il protagonista, con piglio quasi malickiano comincia a porsi domande sul male che lo circonda, sulla possibilità di poter vedere con i suoi stessi occhi un'Etiopia guarita. Perché la miseria? Perché le ingiustizie? Perché la vita?
Questo meditabondo tragitto è immerso in un villaggio che ben rende il cuore dell'Etiopia, in inquadrature il più delle volte statiche, che la fotografia naturale di Mario Masini riesce a rendere potenti senza mai scadere nell'estetismo, ma anzi cogliendo negli elementi naturali (la terra, l'acqua, il sole) contrasti la cui interazione frutta una straordinaria bellezza del reale.
A dispetto di uno schema ben preciso: presente, passato e componente onirica, il film non si ferma mai a uno sguardo filmico unilaterale: con l'acquisizione della memoria la rievocazione della giovinezza avviene tramite un occhio più frammentario, con flashback che talvolta riempiono lo schermo di personaggi (le feste, le riunioni politiche) avanzando con un montaggio che sposa il cinema occidentale degli anni 70, azzardando però anche tecniche di montaggio parallelo e sconnessioni temporali.

Ne esce un unico, grande, complesso flusso di coscienza, sempre alla ricerca di un'identità da trovare, ma sempre inafferrabile, in costante movimento tra Storia e vicende private, tra realismo e utopie, sul filo del sogno che finisce puntualmente schiacciato, nella Madre Patria come altrove: il razzismo è un problema troppo grande per essere superato (il fatto che il pestaggio avvenga dopo la caduta del muro di Berlino getterebbe in condizioni di sconforto qualsiasi spirito ottimista), ma la miseria e le dittature del territorio etiope, il reclutamento dei bambini soldati e una spiritualità mitologica ridotta a mera ignoranza (la presunta paura di stregoneria) sbarrano la strada a ogni speranza.
Questo viaggio della memoria che è racconto di un popolo, di un territorio, lezione di storia e di cultura (ma i temi, universali, riguardano tutti noi) è un'articolata esperienza sensoriale ma soprattutto notevole cinema di poesia pessimista, aperta sul futuro purché i sogni delle generazioni future siano composti da materie diverse da quelle che hanno illuso i padri dell'Etiopia contemporanea.


30/03/2009

Cast e credits

cast:
Aaron Arefe, Abeye Tedla, Takelech Beyene, Teje Tesfahun, Nebiyu Baye


regia:
Haile Gerima


titolo originale:
Teza


distribuzione:
Ripley’s Film


durata:
140'


produzione:
Haile Gerima e Karl Baumgartner per Pandora Film Produktion, Negod-gwad Production, Unlimited, Westd


sceneggiatura:
Haile Gerima


fotografia:
Mario Masini


scenografie:
Patrick Dechesne, Alain-Pascal Housiaux, Seyum Ayana


montaggio:
Halile Gerima, Loren Hankin


costumi:
Wassine Hailu


musiche:
Vijay Iyer, Jorga Mesfin


Trama
Nel 1990 Anberbar torna in Etiopia, dopo aver trascorso anni in Germania, per studiare medicina. Sarà costretto a fare i conti con il regime marxista di Mengitsu, portatore di carestia e ulteriori miserie. Sarà l'occasione per una ricognizione di vita, ma ricostruire un presente non sarà facile