Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
7.0/10

La guerra civile in Siria è uno dei pochi avvenimenti che ha consentito in epoca contemporanea di portare avanti un discorso di "cinema della resistenza", una tradizione ben nota in Italia fin dai tempi del Neorealismo, in allora costruito a posteriori, con intenti prevalentemente celebrativi. Nell’odierna società globalizzata opere di questo tipo nascono invece con altre mire, quelle di documentare e far conoscere in tempo reale, o quasi, la situazione di un determinato contesto di prevaricazione, di dramma e di sofferenza. Ed è facile congetturare come questo "cinema della resistenza" abbia avuto impulso - nonché una vasta eco e una capacità di diffusione globale - soprattutto quando è andato a descrivere quei contesti in cui la ribellione NON si attuava contro schieramenti appoggiati dagli occidentali (e dagli Stati Uniti in particolare). Così è avvenuto in Siria, dove il fatto che il presidente-despota Bashar al-Assad riceva un consistente appoggio logistico e militare - anche diretto - dalla Russia (oltre al supporto di paesi come Cina, Iran e Corea del Nord) ha consentito ai cineasti siriani anti-regime di avere una facile sponda per la presentazione in Occidente dei propri progetti, alzando così il livello di attenzione su quanto stava e ancora sta accadendo nel paese mediorientale. 

Con la questione siriana si sono confrontati anche cineasti occidentali, chi con una ricercata visione documentaristica d’autore (Gianfranco Rosi con "Notturno"), chi ricorrendo alla fiction (Philippe Van Leeuw con "Insyriated"). Ma sono i cineasti siriani, più o meno improvvisati, quelli che hanno saputo cogliere il conflitto siriano nella sua essenza più drammatica. Un piccolo caso fu, nella stagione 2019-2020, "Alla mia piccola Sama", con cui l’esordiente Waad al-Kateab aveva emozionato il mondo con una storia intima e amatoriale calata nel contesto martoriato di Aleppo. "For Sama" fu candidato all’Oscar per il miglior documentario nell’edizione tenutasi poco prima dell’escalation pandemica del febbraio 2020 e condivideva la nomination con questo "The Cave", presentato al TIFF 2019 e approdato in Italia una prima volta direttamente sul piccolo schermo, proprio in occasione della notte degli Oscar 2020, sui canali di National Geographic, società che ha coprodotto il film. Sul grande schermo, invece, lo si è visto, nel nostro Paese, alla Mostra del cinema di Venezia 2020 e in una distribuzione al contagocce soltanto in questo mese di ottobre 2021. 

"The Cave" racconta la storia di un ospedale siriano sito nella zona periferica di Damasco sotto controllo dei ribelli, in quanto tale costantemente bombardata dall’aviazione russa e siriana. Il nome con cui l’ospedale è conosciuto - The Cave, appunto, nella traduzione inglese - deriva dalla sua particolare struttura, che si sviluppa nelle viscere dei quartieri del Ghouta orientale proprio come una grotta, attraverso una serie di stanze sotterranee collegate da cunicoli. Ciò sembra consentire ai medici e paramedici di poter lavorare in una condizione di relativa tranquillità. O, per meglio dire, di poter lavorare senza il rischio che da un momento all’altro tutto crolli loro addosso, visto che comunque il frastuono dei bombardamenti si sente eccome anche da lì sotto. 

Feras Fayyad, al suo secondo lungometraggio per il grande schermo, affronta i temi già sviluppati nel celebrato "Last Men in Aleppo", anch’esso candidato all’Oscar per il miglior documentario, due anni prima di "The Cave", a dimostrazione di quanto la filmografia sulla questione siriana sia stata monitorata dalla critica americana e, di riflesso, dall’Academy negli ultimi anni (oltre ai due film di Fayyad e al già citato "For Sama", va ricordato il film Netflix "The White Helmets", vincitore dell’Oscar per il miglior cortometraggio documentario nel 2017). E come in "Last Men in Aleppo", anche in "The Cave" il focus è sulla resistenza civile e non militare al regime di Bashar al-Assad: lì i protagonisti della pellicola erano i "caschi bianchi", coloro che si recano a estrarre dalle macerie le vittime dei bombardamenti russo-siriani; qui sono medici e paramedici, come in una sorta di sequel o di spin-off del primo documentario, se vogliamo. Là dove finisce il lavoro dei White Helmets inizia infatti quello dei sanitari, che tentano di salvare più vite possibile lavorando in condizioni spesso disperate. Ma "The Cave" è in particolare incentrato su una donna, la dottoressa Amani, specializzata in pediatria ed eletta dai suoi colleghi direttore sanitario dell’ospedale. Il che consente a Fayyad di affrontare (forse in un modo un po’ didascalico), insieme al tema della guerra civile, anche quello della condizione della donna nel Medio-Oriente: nonostante la drammaticità della situazione, tra coloro che si affidano alle cure dei sanitari c’è chi mette in discussione la posizione di Amani in quanto donna. Una visione retrograda e sessista che vorrebbe il ruolo della donna relegato al disbrigo delle vicende domestiche, senza che le sia permesso di lavorare, pure quando estremamente qualificata (tanto da dirigere un ospedale), e pure quando è disposta a svolgere i propri compiti mettendo a rischio la propria incolumità. 

Ma il focus del documentario – al di là di queste importanti digressioni – è inevitabilmente incentrato sul dramma quotidiano di un ospedale in zona di guerra e sulla vita che vi conducono i medici al suo interno, tra i vani tentativi di alleggerire una situazione altrimenti insostenibile (con la musica, ad esempio) e le incombenze logistiche che si accompagnano alla gestione dei degenti (come la preparazione del vitto, con tanto di amara ironia su quanto sia difficile cucinare durante un bombardamento). Fayyad ha il grande merito di saper alternare i toni drammatici ad altri più faceti, pur correndo il rischio di scivolare, in qualche momento, nell’estetica e nel clima da serial ospedaliero americano. Un rischio presto accantonato, non appena tornano a farsi sentire i bombardamenti, che per la maggior parte del tempo risuonano nel fuori campo sonoro, salvo talvolta essere mostrati, nei loro effetti devastanti, da alcune riprese in esterni girate dai tetti del Ghouta, località tristemente famosa per gli attacchi con armi chimiche perpetrati ai danni della popolazione. L’escalation del conflitto verso forme di guerra chimica-batteriologica diventa manifesta ai sanitari non appena iniziano ad affluire verso l’ospedale cadaveri privi di ferite visibili e costringerà buona parte dei medici e dei residenti ad abbandonare quei luoghi di morte. 

Fayyad crea un documentario di forte impatto emotivo, anche se dai ritmi altalenanti. La decisione di concentrare l’attenzione quasi totalmente sulla dottoressa Amani è encomiabile e sicuramente efficace da un punto di vista logico-strutturale, dando luogo al consueto pedinamento di un "protagonista" chiaramente identificato, con la camera a spalla inevitabilmente traballante. Non sembra, tuttavia, una scelta sorretta e accompagnata da un sufficiente approfondimento sulla persona, che consenta di alzare il livello di empatia ed elevare l'approccio analitico rispetto a uno sguardo prevalentemente professionale. Anche l’alternanza tra momenti di totale frenesia e attimi di forte riflessività sembrano piuttosto slegati e non così equilibrati. Sembrerebbe, insomma, un piccolo passo indietro per Fayyad, rispetto al più riuscito "Last Men in Aleppo". Eppure - e ciò nonostante - "The Cave" si rivela comunque un film potente, assolutamente necessario e sicuramente stimolante in tutti i temi che affronta, non ultimo quello introdotto da un finale relativamente a sorpresa, che mette gli europei di fronte alla propria porzione di colpe per l'atteggiamento ambiguo (quando non apertamente ostile) sul tema dell’accoglienza.


07/10/2021

Cast e credits

cast:
Amani Ballour


regia:
Feras Fayyad


distribuzione:
Mescalito Film


durata:
95'


produzione:
Danish Documentary Production, National Geographic


sceneggiatura:
Alisar Hasan, Feras Fayyad


fotografia:
Mohammad Eyad, Samer Qweder, Muhammed Khamir Al Shami, Ammar Suleiman


montaggio:
Denniz Göl Bertelsen, Per K. Kirkegaard


Trama
In un ospedale siriano del Ghouta orientale, la periferia di Damasco controllata dai ribelli che lottano contro il regime di Bashar al-Assad, medici e paramedici, agli ordini della dottoressa Amani, provano a curare i feriti che vengono portati costantemente a seguito degli attacchi aerei russo-siriani...
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