Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
5.5/10
Riprendere dopo tre lustri una saga come quella di "Tomb Raider", forse non fallimentare ma di certo non memorabile, e rovesciarne molti dei tratti più emblematici può apparire una scelta non totalmente prevedibile, addirittura coraggiosa, anche in quest'epoca di reboot, retcon e via dicendo. Laddove molte delle più grandi case di produzione producono oramai solo opere che abbiano una qualche evidente filiazione e legittimazione da realizzazioni preesistenti, come il trattamento da parte della Disney della nuova trilogia di Star Wars ben esemplifica, questo riavvio si pone come un nuovo inizio a tutto tondo per la serie dell'archeologa. Questo nelle intenzioni e ancor più nelle opinioni di certi critica e pubblico, mentre il film in questione si rivela fin da subito come un palese adattamento del reebot videoludico della saga, datato 2013, da cui prende sinossi (ma non tutti gli sviluppi), personaggi principali e tematiche.

Il riferimento diretto del film di Roar Uthuag non è pertanto l'omonimo dittico con protagonista Angelina Jolie quanto il videogioco sviluppato da Crystal Dynamics e il suo diretto successore del 2015, da cui importa alcuni topoi complottisti e un'identità precisa per tali arcinemici che tramano nelle tenebre. Conseguenza più evidente di questa relazione è la figura stessa della protagonista, qui post-adolescente ancora incapace di accettare la morte del padre e distante dalle capacità e bellezza oltreumane di Angelina Jolie e perciò ottimamente interpretata da Alicia Vikander, a differenza della maggior parte dei comprimari, privi di motivazioni (Kristin Scott Thomas), privi di profondità (Walton Goggins), privi di spazio (Daniel Wu). Ma questo lo si poteva dedurre già dalle locandine, differentemente dalla constatazione dell'abilità con cui il regista norvegese ha diretto la pellicola, evitando la noia che ormai sempre più di sovente invade i momenti di tranquillità nei blockbuster e al contempo girando alcune scene d'azione considerabili facilmente superiori alla media contemporanea.

L'ambientazione esotica, e ruffiana a livello di immaginario (isola sperduta in area subtropicale di cultura giapponese), permette di recuperare alcune suggestione scenografiche dal cinema di avventura del passato, soprattutto da "Indiana Jones e il tempio maledetto" di Spielberg (d'altronde Lara Croft doveva essere una stuzzicante risposta femminile a Jones per i nerd anni 90), e di riversare nella fotografia e nella regia una cura ammirevole per quanto spesso ingenua (le differenti gradazioni di grigio che connotano i flashback) o futile (long take che seguono la nostra eroina in mezzo a sequenze prevedibilmente molto ritmate in sede di montaggio). Per queste ragioni "Tomb Raider", come l'omonimo modello videoludico, si pone all'interno del cinema mainstream dell'empowerment femminile, mostrando un'immagine del secondo sesso ben lontana da quella del precursore del 1996 e dei suoi adattamenti cinematografici, una femminilità forte e indipendente che non rinuncia alle sue connotazioni emotive e potente in quanto capace di avvantaggiarsene, perfettamente in linea con il cinema (non solo) dell'ultimo lustro.

Per fare ciò e ancor più per allontanarsi dall'ombra dell'ottimo videogioco cui si ispira la pellicola di Uthuag lavora sulla fisicità della protagonista, costantemente stressata, colpita, martoriata (e quasi mai desiderata, se non nella quotidianità iniziale), così come tenta di inserire una timida riflessione sull'immagine, probabilmente neanche del tutto consapevole, a partire dalla vecchia, sgranata, ripresa del padre che da una svolta alla fabula fino alle foto che non catturano mai il dettaglio fondamentale, cosa che invece può fare l'acume (ciò si inserisce anche nella mistica dei sentimenti da cui "Tomb Raider", come quasi ogni blockbuster, non può astenersi). Il film pertanto si mostra come un emblema di tutto ciò che, mutatis mutandis, ha sempre caratterizzato il mainstream hollywoodiano, cioè l'adattamento, l'alto profilo delle manovalanze, il divismo (per quanto la Vikander sia una star atipica), la chiarezza espositiva, i buoni sentimenti, che si tenta di aggiornare con tematiche molto calde e le ormai immancabili riflessioni metanarrative (Lara che si interroga sull'inverosimiglianza delle sventure che piomano su di lei).

La realtà è che però "Tomb Raider" non solo non aggiorna in alcun modo la formula del blockbuster ma finisce per evidenziare la sudditanza nei confronti del videogioco del 2013 e la crisi di un'intera concezione del cinema. Quello difatti proponeva già a suo tempo una rifondazione dalle origini del personaggio di Lara Croft e al contempo dell'intera saga, optando per un gameplay molto meno arcade, le cui componenti survival comportavano già una maggiore attenzione alla fisicità e alla totalità della "persona" dell'eroina (cosa che molti fan all'epoca criticarono), con esiti probabilmente meno superficiali in virtù della consistenza del focus sulla sola ragazza, non disperdendosi in divagazioni (pur cariche di significato sotto il profilo ideologico) come la ricerca del padre e le sue banali conseguenze. Sottolineando la sua cinematograficità per distanziarsi dall'opera di Crystal Dynamics e in egual misura dai predecessori filmici, molto vicini a quell'estetica fra il videoclip e il videogame in auge in quegli anni, il "Tomb Raider" dell'era post-Weinstein, di per sé non un blockbuster disprezzabile, fallisce nei suoi propositi, proponendo un personaggio femminile che appare parodistico definire femminista (eppur c'è chi l'ha fatto) e ribadendo la sudditanza alla matrice videoludica. L'intera, anodina, macrosequenza finale che prelude a uno sviluppo seriale sta come un sigillo a quanto appena scritto: questa forma narrativa è in difficoltà e il miglior mainstream sta già abbandonando la casa in rovina da un po'.

17/03/2018

Cast e credits

cast:
Alicia Vikander, Dominic West, Walton Goggins, Daniel Wu, Kristin Scott Thomas, Derek Jacobi


regia:
Roar Uthuag


distribuzione:
Warner Bros.


durata:
118'


produzione:
Warner Bros., Metro-Goldwyn-Mayer, Square Enix, GK Films


sceneggiatura:
Geneva Robertson-Dworet, Alastair Siddons


fotografia:
George Richmond


scenografie:
Gary Freeman


montaggio:
Stuart Baird


costumi:
Colleen Atwood, Tim Wonsik


musiche:
Junkie XL


Trama
La giovane Lara Croft vive alla giornata rifiutando l'immensa eredità del padre e l'ammissione della sua morte in una spedizione di sette anni prima che essa comporterebbe. Quando è sul punto di accettare l'onore per evitare la svendita viene a conoscenza dell'"hobby" del padre, la ricerca di prove del soprannaturale e l'esplorazione di antichi segreti, e della direzione del suo remoto viaggio, l'rraggiungibile isola di Yamatai, ove sarebbe sepolta viva un'antica e diabolica imperatrice giapponese. L'indagine si rivela più complessa del previsto e molte cose non sono quel che appaiono.
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