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recensione di Lorenzo Salzano
Sono entrambi convinti
che fu un improvviso sentimento ad unirli.
Com'è bella tanta certezza
ma l'incertezza è ancora più bella.
Pensano che non conoscendosi prima,
nulla sia mai avvenuto tra loro.
Ma che diranno mai le strade, le scale, i corridoi
nei quali da tempo han potuto incrociarsi?
...
Grande sarebbe la sorpresa,
a saper che ormai da tempo
li ha presi in giro il caso,
Pronto non era ancora
a mutar per loro in sorte,
li ha tenuti vicini e poi lontani,
gli ha sbarrato la strada e
soffocando il riso
con un salto si è fatto da parte.

"Amore a prima vista" da "Fine e inizio" di Wislawa Szymborska, Wydawnictwo a5, Poznàn 1993.

L'apparizione di un mistero, affascinante, coinvolgente: questa era stata la sensazione provata dal pubblico europeo fin dalla prima rivelazione del talento del polacco Krzyisztof Kiéslowski con "Il Decalogo", nel 1989. Tra il 1992 e il 1994 escono tre film di Kiéslowski e dello sceneggiatore Krzyisztof Piesiewicz dedicati ai tre colori della bandiera francese e ai tre principi della Rivoluzione del 1789: libertà, uguaglianza, fraternità. Il "Film Rosso", l'ultimo, rappresenta quindi la summa dell'intero progetto artistico e, purtroppo, fatalmente, dell'intera opera del regista. Questi infatti è morto appena due anni dopo.

La trama del "Film Rosso" sembra, a parole, apparentemente semplice. Una modella in cerca di se stessa, un giovane giudice imprigionato in una relazione sentimentale poco soddisfacente incrociano le proprie esistenze secondo una serie di infiniti capricci del caso, finché il caso stesso non muta in destino e i due, scampati all'affondamento del traghetto sulla Manica sul quale viaggiavano separatamente, si incontrano e si innamorano. Chi si aspettava una elucubrazione su concetti filosofici si trova di fronte, nella trilogia, come già nel caso del "Decalogo", a storie che seguono le vicende di personaggi comuni, immersi nella quotidianità dell'Europa post guerra fredda. La stessa rappresentatività dei casi scelti sembra essere messa in dubbio da Kiéslowski quando il regista, nel finale del "Film rosso", ci rivela che i personaggi dei tre film corrispondono a sei superstiti del naufragio del traghetto sulla Manica. Forse sarebbero state ugualmente significative altre vicende e l'atto arbitrario di restringere il campo (simile a quello secondo cui nel "Decalogo"ci si occupava degli inquilini di uno stesso palazzo popolare di Varsavia) non può negare la verità che ogni uomo nasconde una storia degna d'essere raccontata.

Il fascino di questa vicenda sta nel senso di mistero di cui, ancora una volta, Kiéslowski riesce a caricare la propria opera, facendo presagire anche allo spettatore più distratto che il film presenti diversi piani di lettura. Uno, piuttosto evidente, è suggerito dal terzo personaggio della vicenda, il giudice in pensione interpretato da Jean-Louis Trintignant, ed è di natura etica. Kiéslowski si rifiuta, come nel "Decalogo", di interpretare l'argomento secondo una facile chiave politica (pensate a quanto sarebbe stato facile segnalare le violazioni dei Comandamenti o dei principi democratici da parte della classe dirigente), ma si propone invece problematiche di natura morale. In questo caso il giudice, incontrato per caso dalla giovane Valentine (che ha investito il suo cane con l'auto) e sorpreso da lei nell'attività di intercettare le conversazioni telefoniche dei vicini, pone subito lo spettatore di fronte a un dilemma molto amaro. L'intrusione voyeuristica nelle vite degli altri è certo riprovevole (e la reazione di Valentine è di profondo sdegno), ma non lo è anche il ritegno della ragazza nell'avvisare i vicini stessi? Peggio ancora: l'uomo, profondamente amareggiato dalla vanità della sua passata professione ("il solo pensare che si possa decidere cosa è vero e cosa non lo è oggi mi sembra un atto di presunzione"), dall'inutile tentativo di stabilire i confini del bene e del male in un mondo che gli si rivela sempre più opaco, sembra sfruttare le intercettazioni come una costante conferma della propria disaffezione nei confronti della gente, investendo anche la giovane con la forza della propria filosofia negativa. Da un punto di vista etico si propone quindi un interrogativo durissimo sulla stessa possibilità non solo di esercitare la giustizia ma anche di commettere un semplice atto di bene nei confronti del prossimo, che non sia vanificato dalla complessità delle cose. Di fronte allo sgomento di questa manifestazione di esperienza delusa si pone lo sdegno della donna, la sua convinzione che "la gente non è cattiva" e che la vita sia di fatto un campo aperto alle infinite possibilità dell'azione umana. Un dilemma che è anche un confronto tra due atteggiamenti verso la vita, quello di un uomo maturo e quello di un giovane. Questo livello di lettura non fa però che sfiorare un'angoscia che pervade il film e che caratterizzava tutto il film "Blu": l'ossessione dei dialoghi telefonici (spesso deludenti e vacui) tra i personaggi, e peggio ancora delle intercettazioni, il ripetersi dei raccordi di suono e dei rumori diegetici come inquietanti elementi narrativi rimanda all'incubo ben più vasto della solitudine, della separazione dagli altri che è l'unico elemento ad accomunare veramente le tre figure principali. Questa era la problematica"libertà" che Kiéslowski aveva analizzato nel primo film della trilogia, confrontandosi per la prima volta con una società occidentale dove sembrava emergere sempre di più l'impossibilità del contatto col prossimo, l'isolamento accentuato dai mezzi tecnologici (basti pensare all'onnipresenza, in quel film, della televisione), il solipsismo. Allo stesso modo l'"uguaglianza" si trasformava, nel "Film Bianco"della Polonia post comunista, in una situazione dove "tutto può essere comprato", l'uomo è dominato dalle cose e trasformato anch'egli in oggetto . Kiéslowski non risparmia all'Europa della trilogia critiche meno feroci di quelle riservate al regime polacco in opere come "Destino cieco" e "Senza fine" negli anni Ottanta, solo in relazione alla forte negatività dei primi due film il "Rosso" può essere considerato una luce di speranza. In "Film Blu" l'apertura agli altri della protagonista avveniva con un estremo atto di generosità, qui invece la dolcezza e l'innocenza del personaggio interpretato da Irene Jacob sono un elemento presente fin da subito, in grado di far da contraltare rispetto al dubbio doloroso del personaggio maturo. Il giudice, di fronte all'accusa della ragazza ("per lei si può solo provare pietà"), si auto-denuncia, spezzando così il muro della non interazione con il prossimo. Il rapporto tra i due si intensifica, lui la attrae a sé, ed ognuno dei due sembra trovare qualcosa di necessario, mancante o perduto. Il tema del voyeurismo ci rimanda quindi ad un ulteriore livello di lettura, quello suggerito dal confronto con un'altra opera di Kiéslowski, "Non desiderare la donna d'altri"(titolo italiano della versione estesa, per il cinema, di "Decalogo 6 - Non commettere atti impuri"). In quel film un ragazzo si innamorava di una donna spiandola con un cannocchiale. Costretto a rivelarsi, sembrava quasi essere distrutto nella sua illusione romantica dal cinismo della donna, la quale però, nel finale, andava a trovarlo a casa e , guardando dal cannocchiale verso la propria finestra, vedeva l'immaginaria sequenza di un possibile futuro insieme. L'uscita dall'isolamento per Kiéslowski non vuol solo significare un problema etico, ma una questione d'amore, inteso come condivisione della propria vita con gli altri. Dalla condivisione nasce la rivelazione di se stessi: il giudice confessa a Valentine che la sua amarezza nasce in realtà da un tradimento amoroso subito in gioventù, la ragazza sembra prendere coscienza di sé e del suo ruolo nel mondo, risolvendosi a tornare da Ginevra (dove il film è ambientato) in Inghilterra, per aiutare il fratello tossicodipendente. Il motivo voyeuristico muta in sguardo appassionato, d'amore: i raccordi di sguardo (che riguardano anche una foto immensa in cui Valentine è ritratta su sfondo rosso per una pubblicità) sono quelli che collegano la ragazza al giovane giudice nel gioco infinito di intrecci a vuoto che i loro due destini subiscono. Il personaggio del ragazzo, Auguste, andando incontro alla scoperta del tradimento da parte della fidanzata, si rivela una figura parallela a quella del vecchio giudice: un alter ego, o un'altra possibilità della stessa storia. Quando Valentine chiede al giudice che cosa possa fare lei per aiutare veramente il fratello, questi le risponde "può fare una cosa. Esserci": è possibile quindi, in questo film, esserci per gli altri, predisporsi a condividere parte delle nostre vite con essi. Più di questo non è dato: nel caso di Auguste l'amore troverà il modo di mutarsi da possibilità in destino, con l'incontro tra lui e Valentine sul traghetto. Nel caso del giudice l'amore sentimentale non si è mutato in atto ("Sì, smisi di credere. O forse semplicemente non incontrai...non incontrai lei?"dice alla giovane), e il meccanismo consolatorio funziona solo in apparenza. Per lui è venuto però, attraverso l'incontro tardivo con l'"innocente" Valentine, il richiamo a un amore più vasto e duraturo di quello sentimentale: la fraternità col prossimo. L'ultimo livello dell'interpretazione riguarda Kiéslowski stesso: se la dimensione dell'amore è lo sguardo, allora il primo a condividere le vite di tutti questi personaggi è proprio il regista - voyeur che ne segue le esistenze passo passo, con partecipazione commossa, facendo del cinema stesso un atto d'amore e fraternità. Il mistero del destino che ci unisce e ci divide, della rete infinita di legami che uniscono ogni destino agli altri, è resa dal regista attraverso i mezzi del cinema: il montaggio, la luce, il colore (basti seguire la rete di rimandi del colore rosso), a creare un senso di infiniti deja vu, di corrispondenze quasi subliminali. E' necessaria infatti una fitta rete di rimandi visivi per rendere quel senso di fatalità che è l'anima del film: si noti il ritorno puntuale di una serie di immagini di cose e luoghi come l'auto rossa di Auguste, la strada che porta alla casa del giudice, il manifesto che ritrae Valentine. Allo stesso modo, per trasmettere l'idea di due esistenze (quella di Valentine e quella di Auguste) che si svolgono quasi in parallelo, vicine ma senza piani di tangenza, è necessario un uso mirato del piano sequenza, per cui le vicende del ragazzo si svolgono spesso in secondo piano rispetto alla presenza della protagonista nella stessa immagine, oppure attraverso il filtro di una finestra. Ampi movimenti di macchina, sempre all'interno del piano sequenza, sottolineano invece il rapporto di attrazione e repulsione tra la ragazza e il giudice nei confronti più drammatici che si svolgono all'interno della casa di lui. L'idea del doppio è resa anche dal ripetersi della vicenda del giudice - amante tradito, raccontata a parole nel caso di Trintignant e invece vissuta dallo spettatore insieme ad Auguste grazie ad un altro lungo movimento della macchina montata sulla gru Technocrane. Ma duplici sono anche i rimandi interni all'opera di Kiéslowski, dai più evidenti come l'uso della stessa attrice di "La doppia vita di Veronica"(Irene Jacob) alle cose più marginali, come la vecchina che cerca di gettare la bottiglia di vetro, già presente, non aiutata da nessuno, in"Non desiderare la donna d'altri", e qui soccorsa da Valentine. Tutto l'intreccio del "Film Rosso" si svolge attraverso la figura del giudice: la decisione di Valentine di salvare il cane e riportarglielo innesca infatti una catena di conseguenze decisive. La fidanzata di Auguste conosce l'uomo con cui lo tradirà proprio al processo per le intercettazioni seguito all'auto-denuncia di Trintignant, la decisione di prendere il traghetto (su cui conoscerà Auguste) viene suggerita alla ragazza sempre dal vecchio giudice, come se questi presentisse l'occasione di veder realizzato finalmente, attraverso i due giovani, il suo amore mancato. La figura del giudice è quasi demiurgica, simile a quella, analoga, del marionettista ne "La doppia vita di Veronica", tanto che la ragazza gli si rivolge chiedendo "Ma chi è lei veramente? Come fa a sapere tutte queste cose?": è una sorta di regista interno al film.

Ma Kiéslowski non è un demiurgo che instaura l'ordine nell'universo dei suoi personaggi, anzi: lui si abbandona, come loro, al mistero stesso dell'esistenza, rappresentandolo nel modo più naturale, attraverso una rete di "segni, segnali/ ben poco importa se oscuri". Queste parole sono tratte da una poesia, "Amore a prima vista" di Wislawa Szymborska, che viene letta per caso da Kiéslowski dopo l'uscita del film e che è da lui commentata così: "E' una poesia che parla esattamente di "Film Rosso". Ed è la prova che due persone che non si conoscono, non hanno nulla a che fare l'una con l'altra...sentono come importante nello stesso tempo una stessa cosa, pensano che la stessa cosa possa costituire l'oggetto di una poesia o di un film. Come questo succeda, non lo so."Complementare al motivo esistenziale di Kiéslowski è quello etico dello sceneggiatore e sodale Piesiewicz: "La fraternità è quel terzo elemento a cui ci avviciniamo in fondo con ottimismo, che diamo come possibilità, forse un po' idealisticamente, ma che cosa si può fare oggi, se non farsi carico di un sentimento come questo e portarlo avanti?". Chissà cosa direbbe Kiéslowski del 2009. Poco dopo l'uscita del "Film Rosso" si è invece ritirato a vita privata, dichiarando di non aver altro da dire come regista. Come in uno scherzo tragico del destino in uno dei suoi film, subito dopo un primo attacco di cuore lo ha costretto a una degenza casalinga, poi un secondo l'ha portato via, il 13 marzo del 1996. Se tutto quel che si può fare è "esserci" si può dire che Kiéslowski c'è stato, che i suoi film ci sono ancora. Nessuno che li abbia amati veramente può accettare fatalisticamente di non vederne più uno nuovo o credere sul serio che egli avesse concluso, come diceva, la sua opera. Il significato profondo di questa si può racchiudere nelle frasi di San Paolo che egli fa cantare nel "Concerto per l'Europa Unita" sul finale del "Film Blu":"E quando avessi il dono della profezia/ e conoscessi tutti i misteri/ avessi tutta la fede/ per trasportare le montagne/ se non ho amore/ non sono nulla".

Le dichiarazioni e la traduzione della poesia sono riprese dall'intervista del 1994 concessa da Krzyisztof Kiéslowski e Krzyisztof Piesiewicz a Marina Fabbri, riportata dal volume "Tre colori: blu bianco rosso" di Krzyisztof Kiéslowski e Krzyisztof Piesiewicz, traduzione a cura di Marina Fabbri, Bompiani, Milano, 1994.
02/09/2009

Cast e credits

cast:
Zbigniew Zamachowski, Benoit Regent, Julie Delpy, Juliette Binoche, Samuel Le Bihan, Jean-Pierre Lorit, Frederique Feder, Jean-Louis Trintignant, Irene Jacob


regia:
Krzystof Kieslowski


titolo originale:
Trois Couleurs: Rouge


durata:
99'


sceneggiatura:
Krzystof Piesiewicz, Krzystof Kieslowski


fotografia:
Piotr Sobocinski


scenografie:
Claude Lenoir


montaggio:
Jaques Witta


costumi:
Corinne Jorry


musiche:
Zbigniev Presner


Trama
A Ginevra, l'incontro tra un anziano giudice in pensione che intercetta le conversazioni dei vicini e una giovane modella finisce per cambiare le vite di entrambi. Intanto la vita di Auguste scorre parallela a quella della ragazza, senza che i due riescano a incontrarsi. Nell' 'imprevedibile finale trionfano i meccanismi ciclici del caso e della premonizione