Ondacinema

recensione di Pietro S. Calò
7.0/10

Profonda Puglia, scorso millennio.
Pinuccio (Riccardo Scamarcio) è un giovane gagà di provincia di quelli che, a parole, le punisce tutte con lo sguardo. Il più delle volte solo con quello.
Manda avanti il suo negozietto da pizzicagnolo e si fa stirare le mutande bianche dalla sorella poiché, come dice lui stesso: “Con una sorella così che mi sposo a fare?”.

Profonda Puglia, oggi. Gabriele Rossetti (Fabrizio Gifuni) è un uomo affermato che torna a casa per rendere l’estremo omaggio al padre, un uomo che odia, problematico ma di buon cuore, dotato di ingegno e senso dell’arte che aveva dovuto accantonare per non impazzire.
Tra il passato e il presente scorre la storia, ma solo in parte. Solo in parte perché c’è un sentimento che al cinema non funziona, impossibile da rappresentare, di sicuro poco attraente.
È la rassegnazione, appena mitigata dalla sicurezza di aver avuto ragione troppo tardi, quando i giochi erano fatti e i ruoli ormai assegnati a fuoco, indelebili, impossibile da mettere in discussione, un’eccezione buona solo per un happy end che tutti, in sala, abbiamo reclamato. E siamo stati accontentati.

Ernesto Rossetti (Sergio Rubini) è un capostazione di provincia col pallino della pittura. Sicuramente naif nel tratto grossolano che imprime alle sue opere (per lo più paesaggi), decide di copiare un autoritratto di Cézanne esposto alla pinacoteca di Bari che sarà il fiore all’occhiello della sua mostra personale, incoraggiato dai notabili del paese: il professore di francese che presta la sua penna alle pagine culturali della Gazzetta del Mezzogiorno, l’avvocato (un bravissimo Maurizio Micheli) e la Peggy Guggenheim “de noantri”, una convincente Anna Falchi a suo agio nel ruolo di ape regina di provincia.
I risultati finali dell’opera scoraggiano il nostro eroe che, apparentemente, si “rassegna” alle benevoli osservazioni del critico: “Nel tuo dipinto manca l’aria!”. “L’uomo nero” è un piccolo film decisamente riuscito.

Gli occhi del piccolo Gabriele (Guido Giacquinto) ce lo rendono più tollerabile di quanto meriterebbe e più reale, per esempio, di “Baaria” di Giuseppe Tornatore. Forse perché Rubini, in questo film bravo sia come regista che come attore, vive la sua Puglia nel presente, con le sue contraddizioni, i suoi nodi irrisolti, e Tornatore no, è andato via, lontano, e della sua Sicilia coltiva il mito del tempo che fu, qualcosa che, effettivamente, non c’era e non c’è.

A Rubini piace farsi adottare, sul set, dai giganti dell’arte. “La terra” aveva trovato le sue accelerazioni sulla falsariga dei Fratelli Karamazov; “La stazione” (1990) si rifà, almeno nella prima parte, alle inquietudini passive di Kafka (anche se poi il gran finale s’ispira al “Cane di paglia” di Sam Peckinpah).
Qui dominano i temi dell’impressionismo.
Non solo Cézanne (che impressionista lo fu solo in parte) ma soprattutto Degas e Renoir. Il primo per il mondo dei “monelli” in calzoncini corti, sempre pronti allo sberleffo e al marameo, fidanzatini ideali delle celebri ballerine; il secondo per la sensualità delle sue donne, colte dallo sguardo arrapato di zio Pinuccio (Scamarcio) e da quello appena svezzato di Gabriele.
Il nume tutelare di questo piccolo mondo è Franca, Valeria Golino, che si conferma a proprio agio in questa temperatura della storia, torrida, e in queste location, ènclave della “terra di dove finisce la terra” come lo era la Lampedusa di “Respiro” (Emanuele Crialese, 2002).
Un solo piccolo appunto va a Piovani: ogni volta che inizia la musica, sembra di essere in un set di Benigni (làlalalà); una sensazione già provata con Morricone, ovunque (papàpapà).

Il film è bello perché non si concede al facile lazzo, allo sberleffo gratuito, alla scena madre di pugni in faccia e falò purificatori. Ci fa una bella figura Riccardo Scamarcio, sex-symbol di provincia e persino Fabrizio Gifuni, perfetto nel ruolo di quello che non aveva capito niente, per il quale contende l’Oscar alla protagonista, inarrivabile, di “Segreti di famiglia”, la bella Miranda (Maribel Verdù).
Diciamo che se “Baaria” non è un grande film ma è cinema, “l’uomo nero” probabilmente non è cinema ma è un film veramente bello. Da vedere.


04/12/2009

Cast e credits

cast:
Riccardo Scamarcio, Fabrizio Gifuni, Sergio Rubini, Valeria Golino


regia:
Sergio Rubini


distribuzione:
01 Distribution


durata:
116'


produzione:
Bianca Film - Rai Cinema


sceneggiatura:
Carla Cavalluzzi, Sergio Rubini, Domenico Starnone


fotografia:
Fabio Cianchetti


scenografie:
Luca Gobbi


montaggio:
Esmeralda Calabria


costumi:
Maurizio Millenotti


musiche:
Nicola Piovani


Trama
Gabriele torna in un paesino della Puglia per l’estremo saluto al padre morente,
Ernesto. Le ultime parole dell’anziano risvegliano in lui il ricordo di un episodio lontano
nel tempo