Ondacinema

recensione di Simone Pecetta
4.0/10

Wei Te-Sheng, regista pressoché ignoto in Occidente, presenta alla 68esima edizione del festival del cinema di Venezia una pellicola a tratti ridicola tanto che nemmeno l'umidità lagunare è sufficiente a incollare tutti gli spettatori alle poltrone, la scena in cui il protagonista Mouna inizia un canto a cappela con il fantasma del padre deceduto oscilla tra il patetico ed il demente e da il via alle prime fughe dalla sala.

Il film narra di un episodio dimenticato di una guerra lontana: Taiwan 1930, le tribù indigene Seediq si uniscono sotto la guida del capo Mouna Rudo, superando le ostilità che le dividevano, per combattere l'invasore giapponese. È chiaro sin dal principio che la rivolta non potrà condurre ad una vittoria, ma i guerrieri indigeni lottano per qualcosa che ritengono superiore agli allori del trionfo. Infatti uno dei nodi tematici che il regista/sceneggiatore Wei avrebbe voluto inserire al fondo della pellicola è la differenza tra un colonizzatore votato alla conquista ed il guadagno ed una resistenza portata avanti attraverso il potere del mito, grazie alla capacità di una credenza mitologica di risvegliare un animo battagliero. Ma l'idea, fondamentalmente interessante, è sviluppata in modo tanto retorico da risultare nauseabondo nel suo tentativo di far leva su sentimenti spiccioli e nel ricordare i peggiori blockbuster hollywoodiani.

Anaforicamente ritorna spesso nel corso del film l'immagine dell'arcobaleno. Al di là di esso i ribelli taiwanesi situano il loro mondo dei morti, il mondo degli "spiriti ancestrali", degli antichi guerrieri fieri ed orgogliosi nell'appartenenza ad una stirpe indomita ed indominabile. Il sottometterli sarà impresa ardua pure per i giapponesi che oppongono gli aerei ed il gas nervino alle frecce e alle lance. Il sanguinario spirito di Mouna Rudo e dei suoi seguaci apre la scena a sequenze di una violenza bruta e rara sullo schermo. A ben vedere sono proprio queste le parti di maggiore impatto di "Seediq Bale": ben dirette e crude nell'esibizione di una insolita ferocia da far venire in mente il più estremo Miike, la sequenza che descrive un eccidio di soldati giapponesi all'interno di una piccola cittadina ne richiama proprio i "13 assassini". Così tra infantici, decapitazioni e suicidi di massa scorre tutta la parte centrale del film.

Questo mastodonte in celluloide (2 ore e 30 di lunghezza che superano abbondantemente l'umana tolleranza all'esibizione dello scempio) ha ben poco da offrire ad uno spettatore accorto se non le più proprie tipicità cinematografiche orientali come scene musicali che animano e coloriscono una pellicola monocorde. Prodotta da un ricco e annoiato John Woo, "Seediq Bale" ricorda spesso "Il gladiatore", pellicola opaca di uno Scott ricco e annoiato: un destino di morte già scritto con una patetica musica di sottofondo per muovere le corde di tanti animi poco avvezzi alle sottigliezze. Di sottile troviamo infatti ben poco in questo film: mai viene mossa una vera critica all'imperialismo giapponese e alle sue strategie del terrore, rare sono le indefinizioni dell'animo, nulli gli spunti di riflessioni.

Un vero peccato che l'eccessiva lunghezza impedisca di trovare in "Warriors of Rainbow: Seediq Bale" anche un semplice intrattenimento. Questa selezione veneziana ci offre subito, con una chiarezza degna di monsieur de La Palice, un esempio di pietra miliare dell'orrido cinematografico.


02/09/2011

Cast e credits

cast:
Vivian Hsu, Masanobu Ando, Ma Ju-Lung, Landy Wen, Umin Boya, Lin Ching-Tai


regia:
Wei Te-Sheng


titolo originale:
Seediq Bale


distribuzione:
Optimum Releasing


durata:
150'


produzione:
John Woo, Jimmy Huang, Terence Chang


sceneggiatura:
Te-Sheng Wei


Trama
Taiwan 1930: la rivolta degli indomiti guerrieri Seediq sfida l'esercito giapponese in una sanguinaria pellicola in concorso alla 68.ma Mostra del Cinema di Venezia.