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Regista, attore, sceneggiatore, pornografo e scrittore, Ed Wood è stato a lungo l'emblema del cinema trash per via dei suoi originali quanto mal riusciti film. Ma dietro questi cult del cattivo gusto vi sono una storia e una poetica raccontate, forse troppe volte, e mai pienamente chiarite


Prologo: perché scrivere di Ed Wood?

Una cosa che legittimamente potrebbe balzare in mente al lettore del qui presente articolo è il chiedersi che senso abbia scrivere dell'unanimemente definito "peggior regista di tutti i tempi"1 e dei suoi discutibili b-movie che apparentemente hanno da offrire solo una buona dose di comicità involontaria e che per il resto sono annoverabili tra i meno riusciti frutti di una delle età più rosee dell'industria hollywoodiana. La ragione è presto detta: ogni cosa sopra riportata è retorica e il solo fatto che rimanga tuttora la base da cui parte quasi ogni discorso sul cinema di Edward D. Wood Jr. denota la bontà di un qualsiasi scritto che intenda ribaltare queste premesse.

I molti capolavori ed esordi di registi celebri avvenuti in quegli anni possono far sembrare gli anni 50 come una delle varie età dell'oro della cinematografia a stelle e strisce, ma la realtà è che quest'ultima allora si apriva a sperimentazioni e trasgressioni solamente per opporsi al crescente successo della pudica e conformista televisione. Quest'ultima divenne fin da subito il luogo privilegiato (in realtà l'unico possibile) per tutta una serie di produzioni a basso budget e ancor minore appetibilità commerciale, caratterizzate da una fedeltà (pigrizia) alle convenzioni hollywoodiane dei decenni precedenti e dal tentativo di imitare il sistema dei generi dell'età dell'Oro nonostante gli scarsi mezzi. I film di Ed Wood non si allontanano stilisticamente da questi definibili eufemisticamente b-movie e ne sarebbero anzi un'efficace esemplificazione, non fosse per la magmatica personalità del loro autore.

Difatti ciò che rende Wood distinguibile in questo ampio novero, al di fuori dell'indubbia efficacia trash, è la sua individuale sensibilità, forse trattata in passato in modo fin troppo bozzettistico (Burton docet) ma indubbiamente peculiare, capace di rendere un cinema normalmente tutt'altro che autoriale diretta espressione della propria personalità. Miti e barzellette hanno plasmato a sufficienza l'immaginario woodiano in questi decenni: forse è giunta l'ora di far parlare i film.


Capitolo I: Ed or Ann, diventando Ed Wood
 
"Transvestite, yes, in cold, hard, medical language that's the word."
Da "Glen or Glenda", il dottor Alton
 
Edward Davis Wood Jr. nasce a Poughkeepsie, New York, il 10 ottobre 1924 dal custode delle poste Edward Wood Sr. e dalla casalinga Lilian, i quali si muovono per gli Stati Uniti durante l'infanzia di Ed a causa del lavoro dell'uomo. Sono questi gli anni infantili in cui, come narra la leggenda, gli atteggiamenti della madre, non nascondente al bambino che avrebbe preferito una figlia, danno origine alle tendenze sessualmente ambigue del figlio, in primis il travestitismo e il correlato feticismo per la lana d'angora (da cui il regista trarrà il suo principale pseudonimo femminile, Ann Gora).

In questi anni di vagabondaggio nasce anche l'altra grande passione del giovane, quella per la cultura popolare in tutte le sue incarnazioni, con una certa predisposizione per i racconti pulp e i film western o d'orrore. 
ewyoungx Momento capitale in questa fase di formazione è il regalo di una macchina da presa amatoriale per il suo dodicesimo compleanno, col quale riprende il passaggio dello zeppelin Hindenburg nei cieli del New Jersey, poco prima del fatale schianto che lo fece entrare nella storia. Data la discrasia tra progetti e risultati che attraversa tutta la carriera di Ed Wood questo evento pare fin troppo paradossale e profetico per non metterne in dubbio l'attendibilità, considerando anche che di questo filmato, così come tutti quelli realizzati in gioventù, non rimane una singola copia. A soli 18 anni Edward decide di partecipare allo sforzo patrio nel secondo conflitto mondiale entrando nei Marine, ove ottiene il rango di caporale in seguito alla battaglia di Tarawa, assieme a numerose ferite di varia entità. Rientrato negli Stati Uniti il giovane si barcamena fra vari lavori saltuari fino al trasferimento a Hollywood nel 1947. Nella Mecca del cinema Wood inizia a industriarsi nel settore fin da subito, scrivendo e dirigendo numerosi pilot televisivi e cortometraggi nella speranza di venire notato da qualche grande produzione. All'interno di questa parte della sua carriera, composta, per la verità, quasi interamente da pellicole perdute o ritrovate mutile e in pessime condizioni, il regista si diverte a mescolare e modificare tutti i suoi modelli privilegiati, anticipando il modus operandi naïve che caratterizza tutta la sua produzione e che è fin dall'esordio un suo comprensibile tratto distintivo. Compreso ciò, risulta chiara l'ispirazione wellesiana dietro la costruzione delle sue sceneggiature e tutta una serie di tòpoi, evidenti fin dal western d'esordio Streets of Laredo (1948), iniziante guarda caso con la morte del presunto protagonista, interpretato ovviamente da Ed Wood. Se questo corto, narrativamente più intricato di quanto lo spunto da revenge movie lascerebbe presumere, risulta visibile ora nella versione rimontata col supporto di Dolores Fuller nel 2005, col nome di Crossroads of Laredo, lo stesso non si può dire delle opere successive. 
 
Se difatti il melodramma The Sun Was Setting (1951) e il mai completato Boots (1953) sono dei perduti e scarsamente appetibili tentativi di rielaborare i racconti pulp di cui il regista è grande appassionato, Crossroad Avenger (1953) rappresenta un ritorno al western nella forma di un pilot per una mai decollata serie televisiva ("The Adventures of Tucson Kid"). La trama stessa riprende Streets of Laredo e la vendetta della collettività ai danni di chi compromette l'equilibrio sociale, tema centrale nel corpus woodiano, con il caratterista Tom Keene a sostituire il regista nel ruolo centrale, non con risultati migliori, dato l'ennesimo insuccesso, che spinge il regista a rimontare l'episodio per farne un corto più consono alla sua produzione del periodo. 
 
Si è citato Welles ed è facile, sconfitta la noia o trattenute le risate in base alle proprie inclinazioni, vedere nella rapsodica e intricata sceneggiatura di Glen or Glenda (1953) un eco dell'opus magnum "Citizen Kane"2 e del noir che ne fu pesantemente influenzato, genere i cui cliché difatti affiorano nella storia biografica al centro del primo lungometraggio di Wood. Iniziante anch'esso con una morte, invero non del protagonista, il film si ispira a un noto caso di cronaca scandalistica di quegli anni, quello del cambio di sesso della transgender newyorkese Christine Jorgensen, il primo a ricevere grande attenzione mediatica nella storia, che il regista e sceneggiatore arricchisce con una serie di aneddoti di presunta matrice autobiografica e una detection che cerca di fare chiarezza sulle cause del suicidio che ha aperto la narrazione e che intanto ne lambisce gli sviluppi a mo' di cornice. Non pago di un intreccio notevolmente complesso per i 65 minuti della pellicola, l'autore vi inserisce, tramite l'excursus del medico interrogato dal detective, la vicenda di un altro travestito (chiamantesi prevedibilmente Ann) destinato al cambio di sesso e le farneticazioni dello Scienziato, aggiungenti ulteriore stratificazione a questa matrioska narrativa.
ewglenorglenda02x Questo personaggio, interpretato dalla star decaduta dell'horror Bela Lugosi, si dimostra, fin dalla celeberrima introduzione intervallata da immagini di repertorio di ogni genere, un oggetto completamente estraneo al resto della pellicola, dal ruolo indefinibile (come narratore risulta vago e ridondante, come deus ex machina pretestuoso) e pertanto giustificato solo da motivazioni extra-filmiche. Se difatti il nome di un attore un tempo piuttosto noto manteneva di certo una qualche forma di attrattiva, specialmente per il pubblico popolare, cui il film era rivolto, nelle intenzioni del produttore George Weiss la causa per cui Wood affida un simile ruolo al "fu Dracula" è la pura disponibilità nei confronti di un idolo d'infanzia ridotto sul lastrico dalla tossicodipendenza. A partire dall'incontro fra Wood e Lugosi nel 1952 grazie all'allora coinquilino del primo Alex Gordon (futuro fondatore dell'American International Pictures) il vecchio attore partecipa a quasi tutte le produzioni di Wood fino alla morte, il 16 agosto 1956.

L'unicità e l'incomprensibilità del ruolo di Lugosi hanno sicuramente contribuito alla fama del film come opera camp, ma permettono anche di chiarire quali fossero le ambizioni di Wood per il suo esordio e come egli lo concepisse come dramma psicologico in cui i moti della mente del protagonista sono messi in scena in maniera metaforica, similmente a come i propri crucci personali lo sono nella forma di una pellicola d'exploitation. Sebbene l'assoluta povertà dei mezzi e l'evidente incapacità di Wood nel gestire la stratificazione narrativa e simbolica di Glen or Glenda (che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi con un ancor più didascalico I Changed My Sex!) impediscano all'esordiente regista di dare credibilità a questa moral play3, la valenza al contempo didattica e allegorica (e didattica proprio perché allegorica) di questa storia apparentemente insensata e frammentaria (ma le sequenze composte da materiale di repertorio sono di certo le più affascinanti) evidenzia l'unicità della personalità del suo autore.


Capitolo II: Running in the 50s, il percorso woodiano fra i generi

"Tuttavia, persino nel caso in cui tale film riuscisse
a essere altrettanto fondamentalmente incoerente e
insoddisfacente quanto la realtà che tratta, esso
non sarà mai altro che una ricostruzione - pove-
ra e falsa come questa carrellata mal riuscita."
Da "Sur le passage de quelques personnes à
travers une assez courte unité de temps"
di Guy Debord4

Dopo aver realizzato una pellicola considerabile, perlomeno nelle intenzioni, fra le più innovative nell'ambito dei b-movie, sia per ragioni stilistiche che tematiche, Ed Wood torna alle sue principali fonti di guadagno, ovvero la realizzazione di pubblicità, frequentemente di contesto western, e la scrittura di sceneggiature per produttori specializzati in opere a basso budget, tra le quali merita un'annotazione "The Outlaw Marshall". Prodotto fra mille difficoltà proprio dal succitato Alex Gordon prima della fondazione di AIP insieme a Samuel Z. Arkoff, il film, uscito nel 1954 col nome di "The Lawless Rider" per la regia di Yakima Canutt, è un western dal protagonista guascone (John Carpenter) e dalla narrazione lineare, in cui la mano di Wood è percettibile solo retrospettivamente nella centralità attribuita alla natura societaria del mantenimento della giustizia, anche in virtù delle pesanti modifiche al copione fatte dall'attore protagonista.
E' proprio l'ex-coinquilino a proporre a Ed Wood di mettere in scena una sceneggiatura da lui stesso scritta, "The Hidden Face", ispirata a un vecchio noir della Edward Small Production, "Let'em Have It" (1935). Sentendosela affine il regista accetta a patto di poter effettuare alcune modifiche e chiama a sé la sua particolare troupe, composta dalla compagna di allora, la cantautrice Dolores Fuller, l'attore Timothy Farrell, il direttore della fotografia William C. Thompson, oltre al compositore di colonne sonore per cartoni animati Hoyt Curtin. Manca Bela Lugosi, impegnato in una tournée in cui mette in scena i numeri più classici del suo repertorio da divo dell'horror, e prontamente sostituito nell'immancabile ruolo di vecchio saggio da un altro decano del muto in rovina, Herbert Rawlinson (che morirà il medesimo giorno della conclusione delle riprese).

Con Jail Bait, il più suggestivo titolo affibbiato da Wood alla sceneggiatura, il regista americano si confronta con un altro dei generi fondamentali dell'industria hollywoodiana, l'urbano noir che già riecheggiava nella frammentazione di montaggio e narrazione di Glen or Glenda, di cui stavolta realizza un'interpretazione fin troppo fedele ai cliché del periodo. Il film del ‘54 viene difatti ricordato come il più controllato e lineare tra quelli woodiani, narrando una usuale trama di criminalità tragica e punita nella collettività devastata dall'agire egoistico dell'individuo che vive al di fuori della Legge. L'apparentemente equilibrata famiglia borghese al centro della pellicola si dimostra, in linea con la produzione del cineasta, disfunzionale e incapace di contenere la vocazione al male del più giovane dei suoi membri (Clancy Malone), nonostante la sua ewjailbait02xparticolarità rappresentata dal poco credibilmente ipercomprensivo padre (Rawlinson) e dalla decisionista sorella (Fuller).
Rispettando i tòpoi del genere l'intervento delle forze dell'ordine stavolta è poco risolutivo e si limita a sancire la tragicità degli sviluppi del finale, facendo anche una figura barbina che è difficile definire sia stata concepita come comica dapprincipio (ovvero un corpo che resta nascosto, per giorni, dietro la tenda dello sgabuzzino dell'unica persona nota legata all'indiziato principale e viene scoperto perché cade a terra da posizione perfettamente eretta). Jail Bait non è esente da alcune finezze, o presunte tali, come l'ambientazione completamente notturna o l'ipnotica chitarra spagnola che accompagna la quasi totalità della pellicola nel tentativo di fare il verso a "Il terzo uomo", ma esse appaiono ancora una volta fuori luogo in un film che, sebbene non raggiunga le vette di non sense di altri esponenti della filmografia woodiana, non si può certo definire frutto di una scrittura impeccabile. Tra poco credibili cambi d'identità e segmenti che falliscono nel conseguimento di un vero pathos melodrammatico (ma ciò accadeva già nell'esordio), l'opus n°2 del regista di Poughkeepsie si conferma non il peggiore dei suoi film ma neppure il più interessante.

Derivato anch'esso da una sceneggiatura di Alex Gordon è il terzo film di Ed Wood, l'horror fantascientifico Bride of the Monster, entrato in produzione già alla fine del ‘53 al termine delle riprese di Jail Bait, ma realizzato fra mille difficoltà nel corso dei due anni successivi. I lampi che normalmente l'autore adopera come cesura del montaggio introducono lo spettatore in un'opera che si presenta fin da subito come la quintessenza del cinema woodiano, merito anche del più corposo budget dell'intera carriera del regista (70.000 dollari, più del triplo del precedente). Ciononostante, a livello produttivo il film non si discosta molto dai precedenti né per quanto concerne la ormai fedele troupe né il cast, il quale si giova del ritornato Bela Lugosi (la cui interpretazione sarà l'ultima egli vedrà completata) e dell'ex-wrestler Tor Jonson, destinato a essere reso da Wood e altri realizzatori di film scult altrettanto iconico5.
Sebbene una certa retorica tenti di dipingere Wood come un cineasta non conscio dei limiti produttivi delle proprie opere e squalificato nei risultati proprio per questa ragione, i suoi primi due film sono in realtà frutto di una mente ben conscia della scarsità dei budget con cui ha a che fare e che anzi sa adoperarlo con arguzia, pur confidando forse troppo spesso nelle proprie capacità come regista (il fallimento di Glen or Glenda sta in primo luogo qui). Bride of the Monster, o meglio Bride of the Atom come ben più evocativamente chiamato all'inizio dal suo creatore, è invece una pellicola chiaramente ambiziosa, come si può evincere dalla decisione del regista di inserirvi tutte le tematiche care e di affrontare di petto il genere più rappresentativo del panorama low budget degli anni 50, la sci-fi, ovviamente dopo averlo arricchito con tutta una serie di convenzioni orrorifiche, noir e melodrammatiche.
La sconclusionata indagine che porta alla luce i piani dello scienziato pazzo Eric Vornoff (Lugosi), intenzionato a creare una razza di übermensch sfruttando l'energia nucleare, sembra quasi provenire da Jail Bait, così come l'ambientazione quasi completamente notturna e tempestosa, mentre le (mal riuscite) parentesi melò rinnovano il topos della famiglia disfunzionale che è per Wood rappresentazione della collettività dilaniata dall'ostilità che cova al suo interno. I più tipici cliché del genere sono quindi per il regista un mezzo per riflettere sulle sue ossessioni, fra le quali otterrà da questa pellicola in poi rilevanza assoluta il tema della tracotanza, l'hybris di classic(ist)a memoria, come caratteristica eminentemente umana e causa prima della sua rovina.
Se questo tema viene quindi recuperato dalle tragiche conseguenze della volontà di controllo sulla propria vita al di fuori delle capacità, accorse ai protagonisti dei film precedenti, una assoluta novità è l'elemento fantastico (non considerando quello puramente simbolico dell'esordio), il quale permette al cineasta di ideare tutta una serie di vicende tanto immaginifiche quanto involontariamente comiche per l'evidente ewbride01xpovertà realizzativa (la celebre piovra meccanica immobile è solo il più noto di questi momenti). La creatività del regista americano viene quindi ancora una volta frustrata dai limiti della produzione, per quanto siano forse le interpretazioni dei protagonisti e la assoluta mancanza di pathos dei loro dialoghi (in primis quelli dell'eroina interpretata dalla finanziatrice Loretta King a discapito della Fuller) a far entrare il film nell'Olimpo dello scult cinematografico. Questo non ferma Ed Wood, il quale proprio con Bride of the Atom da il via all'allegorico trittico horror/sci-fi che è il conseguimento più importante della sua carriera.

La metà degli anni 50 è un periodo molto intenso per Edward D. Wood, il quale nella fase che intercorre le riprese di Bride of the Monster e il completamento del montaggio si trova costretto a cercare ulteriore fonte di guadagno nella scrittura di sceneggiature per film d'exploitation, come l'horror "The Unearthly" (1957) di Boris Petroff, che pur non lo vede riconosciuto nei crediti, o il controverso "The Violent Years" (1956). Storia delle scorrerie di un gruppo di ragazze cadute vittime dell'influenza di una sediziosa criminale e della disfatta della funzione di controllo genitoriale (e quindi della società) che questa rappresenta, il film, diretto dal montatore William Morgan, dimostra un interessante aggiornamento delle tematiche care a Wood a un contesto pienamente realistico, evidenziando così gli sviluppi più moralistici della sua poetica (con tanto di allusione ad un'influenza comunisto-anarchica sulla giovane antagonista).
Nel corso del 1956 il regista neyworkese, forte dell'unico, relativo, successo commerciale della sua carriera inizia la ricerca di fondi per finanziare la sua prossima opera, che già concepisce come la più ambiziosa, per la quale, dietro il working title di "The Vampire's Night", inizia a girare sequenze isolate assieme a Lugosi e a una troupe ridotta all'osso. Abbandonato nei mesi precedenti dalla compagna Dolores Fuller, offesa per lo scorno di essere stata privata del ruolo di protagonista in Bride of the Atom e estenuata dal travestitismo e dall'alcolismo di Wood (nonostante la apotropaica sequenza di Glen or Glenda resa nota dal biopic di Tim Burton6), il regista incontra l'attrice Norma McCarthy e la sposa negli ultimi mesi del ‘55, mentre altri nuovi incontri, fra cui quello dell'indovino televisivo Criswell, sembrano proiettarlo, perlomeno nelle sue intenzioni, alla realizzazione del suo opus magnum.


Capitolo III: L'età dell'oro del Woodverse

"We're the Low Art Gloominati/
And we aim to depress/
The scarabet Sacrilegends/
This is the Golden Age of Grotesque."

La storia dell'invasione aliena (di tre individui) tramite la resurrezione dei morti (anch'essi tre) col fine di convincere l'umanità a desistere dai suoi intenti (auto)distruttivi e della resistenza da parte di un eterogeneo quanto inverosimile manipolo di eroi per caso è ormai comunemente nota e rappresenta in effetti al meglio la propensione di Wood per la complessazione di trame nei presupposti tanto semplici da essere banali. Ma non è la sola intricatezza narrativa a permettere di definire il quarto film del regista statunitense come l'apice di tutta la sua produzione, in quanto Plan 9 from Outer Space (1959) riprende ogni singolo tema e stilema da lui sfruttato precedentemente e lo inserisce in un apologo tanto formalmente discutibile quanto tutto sommato monumentale in virtù delle enormi ambizioni del suo autore in esso e della rilevanza che ricopre all'interno del cinema di serie b di quegli anni.
Realizzato nel corso del 1956 con un budget di poco inferiore a Bride of the Atom e proveniente quasi totalmente da una comunità di Battisti della California del Sud, Plan 9 gode di uno degli incipit più iconici della storia, in cui Criswell introduce lo spettatore, guardando dritto in camera, alla narrazione tramite un monologo vago ed enfatico, cui seguono i titoli di testa rappresentati da una serie di lapidi, sulle cui superfici appaiono i nomi della troupe. Dopo quest'inizio inusuale per un b-movie del periodo ma chiaramente influenzato dalle passate esperienze televisive di Wood e dal lavoro di presentatore a lungo svolto ewplan903xdall'indovino, la sequela di stranezze prosegue con l'apparizione subitanea e fuori contesto di Lugosi, troncata da uno sgraziato fuoricampo, il quale conduce la trama sul binario principale. Il susseguirsi di apparizioni di dischi volanti fatti in casa, resurrezioni di divi del genere decaduti (Lugosi e la presentatrice tv Maila Nurmi/Vampira, oltre a Jonson), pacate discussioni di alieni in calzamaglia e reazioni sconclusionate da parte degli esseri umani porta lo spettatore in una realtà che non è inappropriato definire surreale.
Giustamente lo studioso di b-movie Rob Craig parla di Plan 9 from Outer Space come di una "trasposizione dello spirito del Teatro dell'Assurdo in un melodramma sci-fi a basso costo"7, capace in effetti di produrre effetti, voluti o meno che siano, non distanti dallo straniamento tipico del teatro epico brechtiano. Pur giudicando il sottoscritto queste comparazioni iperboliche risulta difficile negare come l'accumulo di generi, tematiche, stili e addirittura materiali filmici (il ricorso da parte di Wood a materiali di repertorio è sicuramente meritevole di approfondimento8) finisca per generare un pastiche che condivide poco o nulla con le rigidità produttive del cinema di genere del periodo, anche nel caso di produzioni minuscole. L'effetto è a tratti indubbiamente scompisciante ma, senza attribuire a Wood qualifiche di avanguardista che probabilmente neppure avrebbe voluto, l'unicità della sua personalità autoriale (perché in fondo tale è) in un settore da sempre caratterizzato dall'omogenizzazione stilistica lo dimostra ancora una volta meritevole di analisi.
Innervato da un pacifismo polemico che rammenta "Ultimatum alla Terra" (1951) di Robert Wise e da uno spirito millenaristico che già si intravedeva in Bride of the Monster l'opus magnum di Ed Wood sconta il trasporto dei suoi soliti temi (hybris come peccato originale dell'umanità, famiglia come immagine della società e della sua crisi, autodeterminazione mediante accettazione, etc...) in un orizzonte fin troppo ampio per la modesta capacità del suo regista, a partire dalla mescolanza instabile di generi (sci-fi, horror gotico, melò urbano, poliziesco). Proiettato in alcune rare sale nel corso del 1957 con ancora il nome originale Graverobbers from Outer Space (pare fatto modificare dai finanziatori in quanto blasfemo), il film va infatti incontro a una sfortunata distribuzione nel corso del ‘59 per giungere due anni dopo in televisione, dove l'evidente povertà produttiva è forse meno appariscente, dando inizio al suo culto.

Il lasso di tempo che va tra il completamento di Plan 9 e la sua uscita nei cinema, corrispondente tra l'altro al ritorno alla regia, è per Wood ricco di difficoltà personali, cagionate in buona parte dal suo alcolismo e dalla progressiva perdita delle persone cui è più legato: Lugosi muore nell'agosto del 1956, la McCarthy chiede entro la fine dell'anno l'annullamento del matrimonio e il sodale William Thompson inizia a sviluppare la cecità che alla fine del decennio gli impedirà di continuare a lavorare. Inoltre il fallimento delle produzioni del pilot televisivo di fantascienza Final Curtain (1957), riadattato in forma di cortometraggio secondo un prassi consolidata, e dell'horror The Night the Banshee Cried (1957) costringe il cineasta a cercare fondi nella scrittura di script per pellicole d'exploitation. Meritano una citazione "Revenge of the Virgins" (1959), recuperante lo spunto di "Violent Years", e il torbido dramma borghese condito con regressioni psicanalitiche e attrazioni zoofile "The Bride of the Beast" (1958), prototipo per quasi tutte le sceneggiature di film erotici che l'autore americano realizzerà nel decennio successivo.
ewnight02xGirato fra ‘58 e ‘59 e mai distribuito su larga scala prima del recupero home video del 1984, dopo quasi vent'anni di smarrimento del master, Night of the Ghouls, all'inizio appellato con un ancora più esplicito Revenge of the Dead, si presenta quasi come una chiusura del cerchio del cinema woodiano. A differenza dei film precedenti, la cui appartenenza al medesimo mondo narrativo era arguibile solamente in virtù della comune assurdità mostrata, la quinta pellicola di Wood colloca mediante un dialogo del tenente Kelton (Paul Marco), d'altronde presente in tutti i suoi film da Bride in poi, le vicende narrate dopo la tentata invasione aliena di Plan 9 e i catastrofici esperimenti del predecessore. Se tale scelta serve in primo luogo a giustificare il ricorso al medesimo tipo di interni e addirittura al setting della casa abbandonata del film del ‘56 non si può negare quanto questa risulti un'ulteriore dimostrazione dell'ambizione narrativa e della definita personalità autoriale del regista in questione.
Questa resa dei conti di quello che non risulta insensato definire Woodverse prende la forma di un (ennesima) indagine delle forze dell'ordine su qualcosa al di fuori della comune comprensione: l'attività di un medium e presunto truffatore, tale Dr. Karl Acula (Kenne Duncan), il quale parrebbe in grado di controllare i morti, come lo spettro adibito al mettere in fuga i curiosi (Valda Hansen) e il redivivo Lobo. Laddove i film precedenti puntavano alla stratificazione di generi e sviluppi narrativi Night of the Ghouls si concentra quasi completamente sulla detection, tripartendola in filoni nettamente differenti come tono ed avvenimenti, e sulla progressiva demistificazione del soprannaturale. Nonostante un prevedibile plot twist finale inverta questo rinnegamento del fantastico presente negli altri film della seconda meta del decennio, Night dimostra un considerevole cambio di percezione da parte del suo autore, evidente anche nell'anti-enfatica punizione che gli antagonisti scontano al termine della pellicola, diversamente dal passato.
Il pessimismo pare essere quasi la chiave di lettura privilegiata della presente opera di Wood, venendo rimarcato sia nei dubbi espressi dal capo della polizia, sia nell'incipit della pellicola (successivo all'immancabile e vaga introduzione di Criswell), composto da una lunga sequenza di materiali di repertorio mostranti un mondo travolto dalla violenza, dall'abiezione e dall'alcolismo. Se il precedentemente citato Craig parla di questo disincantamento nei confronti del proprio mondo e anche del proprio mezzo espressivo (la suddetta sobrietà narrativa) come di un'ulteriore adesione alla weltanschauung del Teatro dell'Assurdo9 risulta forse più semplice e chiarificatore correrarlo alle ripetute delusioni come cineasta e uomo di Ed Wood e alla crescente convinzione di non essere più in grado di comprendere la realtà che vorrebbe narrare, come la sceneggiatura allude in più punti e il film successivo ribadirà.

Nei mesi successivi alle riprese di Night of the Ghouls Edward D. Wood Jr. scrive una nuova sceneggiatura per un film d'explotation che riporti il suo cinema nel contesto pienamente realistico degli esordi, quasi seguendo il filone di critica sociale sempre presente nelle sue pellicole e rimanifestatosi nelle prime sequenze del film del ‘59. The Racket Queen entra in produzione nella prima metà del 1960 ma la povertà del budget (circa 20.000 dollari) costringe il regista a posticipare le riprese, pare poi realizzate in soli cinque giorni nel mese di luglio, in seguito a consistenti modifiche della sceneggiatura. La storia di film pornografici clandestini diretti da un regista debole di carattere (Carl Anthony) e del collegato traffico di ragazze gestito da una dispotica matrona (Jean Fontaine) viene difatti arricchita con le vicende del killer seriale, il cui agire dissennato finisce per minare alle radici la suddetta attività criminosa, in una spudorata ripresa del grande successo del momento, "Psyco" di Hitchcock.
ewthesinisterurge01xSe fino a "Plan 9" gli eroi dei film di Wood erano sempre stati coppie giovani e intraprendenti già Night dava un'interpretazione negativa della gioventù, mostrata come agente del Male/crimine oppure (in una sequenza iniziale che anticipa quello che sarà il più abusato topos dello slasher) ingenua carne da macello, per concludere con la rappresentazione totalmente pessimistica del film del 1960. The Sinister Urge, nome che appunto la pellicola ottiene per l'uscita nel mese di dicembre, si configura come quindi il definitivo cambio di paradigma del cinema woodiano: un ritorno alle origini tematico e di ambientazione, passando attraverso la disillusione del fantastico e dell'eccentrico che erano stati il cui del trittico precedente. In definitiva, un film conservatore sotto ogni punto di vista e pertanto testimonianza definitiva dello scacco (perlomeno autoriale) di Wood.
Il film riecheggia Jail Bait e tutto il noir di serie b del periodo nella frammentazione narrativa e della meccanicità dei suoi poco credibili sviluppi ma la corposa presenza di parziali nudità femminili e di scene di violenza lo avvicina al sottogenere dei roughies, caratterizzato da un'ambientazione urbana intrisa di iniquità e brutalità, specialmente nei confronti delle donne. A questo scopo Wood recupera lacune sequenze girate un lustro prima per un mai realizzato progetto di ambientazione contemporanea ("Rock and Roll Hell"), mostranti con stile documentaristico alcuni ritrovi di giovani festanti, e vi inserisce la voice over esplicativa già (ab)usata in Glen or Glenda. Il moralismo che essa esprime (c'è pure un poliziotto che chiede a un personaggio se ha delle figlie), quasi contrapponentesi a ciò che si affermava nella pellicola d'esordio, si giustappone alla tediosa narrazione e conferma The Sinister Urge come il meno riuscito, pure per quanto concerne il punto di vista scult, film mainstream di Ed Wood.


Capitolo IV: Diminuendo II

"Oh, yeah, the resurrection of the Dead..."
Da "Plan 9 from Outer Space", The Ruler

Come già fatto in passato con "Revenge of the Virgins" Wood riprende esplicitamente uno spunto del passato e lo inserisce in un nuovo progetto, in questo caso il didascalico "Anatomy of a Psycho" (1960) di Boris Petroff, prima della lunga serie di sceneggiature per film d'exploitation che sarà la principale, quasi unica, possibilità lavorativa per il regista nel corso degli anni 60. Le pellicole derivate si distinguono per il moderato contenuto erotico e le trame piuttosto pretestuose, generalmente reputabili film nudie cutie, ovvero softcore in cui la presenza di donzelle più o meno spogliate si sviluppa a latere rispetto alla narrazione, di solito fedele agli stereotipi del cinema d'exploitation del decennio precedente. 
eworgy01xFra questi opere dai titoli piuttosto fantasiosi come "The Shotgun Wedding" (1963), "One Million AC/DC" (1969) e "Class Reunion" (1972), rielaboranti i drammi di coppie piccolo-borghesi tanto cari a Ed Wood in modi più o meno inverosimili, quella che meriti sicuramente la trattazione più ampia è "Orgy of the Dead" di Stephen C. Apostolof, esperto regista di nudie cutie e collaboratore di Wood in almeno un altro paio paio di pellicole del genere. Girato nel 1965 il film si distingue per la consistente mole di riferimenti e riprese tematiche alla produzione registica del nostro, fra i quali si possono annoverare la presenza di Criswell sia in chiave di narratore (replicando quasi perfettamente il monologo iniziale di Night of the Ghouls10) che di "antagonista", il tema della coppia problematica di giovani protagonisti (di cui l'uomo è uno scrittore d'orrore la cui ossessione per il macabro mette in pericolo ambedue) e la narrazione episodica e inframezzata di citazioni al cinema di genere della Hollywood classica.
I vari "numeri" tematici delle apparizioni delle ragazze sono difatti intervallati dalle apparizioni di Criswell, della sua assistente Ghoulita e di un sequela di mostri provenienti dai classici horror della Universal, probabilmente col fine di rappresentare la vera natura, mostruosa e iniqua, della realtà tentatrice in cui i due protagonisti Bob e Shirley sono precipitati. Questo stile narrativo eccessivo e frammentario è probabilmente all'epoca l'unico modo che Wood ha di esprimere il suo estro visionario, come difatti dimostra la copiosa produzione di racconti pulp in questo periodo. Nel corso degli anni 60 infatti il regista di Poughkeepsie volge molte delle sue sceneggiature mai concretizzatesi (o che l'hanno fatto in modo per lui non adeguato, come appunto "Orgy of the Dead") in brevi storie, alcune delle quali raccolte in antologie del genere o pubblicate in seguito, come la più nota di tutte, l'autobiografico romanzo "Hollywood Rat Race".

Storia delle vicissitudini di un ambizioso e povero regista e della sua compagnia di personaggi sopra le righe nella Città degli Angeli il libro (scritto nel ‘65 ma pubblicato solo nel 1998) conferma il sempre presente, seppur sotto traccia, elemento autobiografico nel percorso di Wood, il quale dopo essere stato centrale al tempo dell'esordio ritorna focale alla fine della strada. Non è un caso che in questa fase il regista accetti tutta una serie di ruoli secondari in film di colleghi e amici dell'industria softcore, interpretando ad esempio un fotografo di mezza età, probabilmente omosessuale, che si circonda di giovani bellezze per esorcizzare la propria sessualità problematica in "The Photographer" (1969) di Joseph F. Robertson, oppure un vecchio travestito rifiutato da tutti nel successivo film di questi, "Mrs. Stone's Thing" (1970).
Nel nuovo decennio Edward D. Wood Jr. riesce a tornare alla regia, per quanto realizzi solamente film pornografici di quasi nessun interesse durante quella che pure verrà ricordata come la "Golden Age of Porn". Nel primo di questi, Take It Out in Trade (1970), descrive i vagabondaggi, a tratti comici volutamente, a tratti no, di un detective Marlowe-sco alla ricerca di una giovane di buona famiglia, perduta fra bordelli e strade malfamate, ritagliandosi anche un cameo nel ruolo della transgender Alecia. Ritenuto a lungo smarrito e poi recuperato in una versione incompleta e molto danneggiata, da cui a quanto pare è stata molto recentemente ricavata una versione restaurata con alcuni out-take, il film non mostra quasi nessun merito cinematografico e dimostra solo la poca padronanza del colore da parte di Wood. Spinto dalla possibilità concessagli il cineasta risulta iperproduttivo in questa fase, realizzando in due anni i perduti ewnecromaniaxExcited e The Only House in Town e il più noto Necromania.
Solitamente sottotitolato "A Tale of Weird Love" il penultimo film di Ed Wood (che è accreditato con lo pseudonimo Don Miller) è un porno pre-Gerard Damiano piuttosto tedioso e girato con poca convinzione, dalla trama rimembrante fin troppo "Orgy of the Dead" e arricchito da tutta una sequela di citazioni con cui il regista omaggia per l'ultima volta i suoi modelli e la prima parte del suo percorso cinematografico11. La pretestuosità della trama è manifesta fin dallo spunto di curare la disfunzione erettile del protagonista Danny con un rituale occulto nella magione desolata di Madame Heles (ruolo per cui inizialmente pare Wood avesse contattato Maila Nurmi), la quale invece libera la giovane moglie Shirley tramite la scoperta del sesso saffico. Il ritorno delle tematiche abituali, una citazione a Lugosi e il setting spettrale contribuiscono a connotare in modo nettamente malinconico una pellicola pornografica ben poco eccitante.

Abbandonato da tutti a eccezione di un paio di amici fedeli e della moglie Kathy O'Hara, conosciuta nel 1959, e sempre più travolto dall'alcolismo Ed Wood continua a mantenersi per tutti gli anni 70 scrivendo sceneggiature per film diretti o prodotti da Apostolof, in cui si ritaglia spesso qualche ruolo di secondo piano, e racconti pulp, solitamente rielaborati in script cinematografici. Alcune di queste pellicole, come "Drop-Out Wife" (1972) o "The Fugitive Girls" (‘74), rappresentano un ritorno del cineasta ai suoi temi favoriti e alla critica alla famiglia tradizionale intesa come fenomeno sociale repressivo, allo stesso modo della sua ultima regia, The Young Marrieds. Girato tra ‘71 e ‘72 con un budget quasi inesistente, il film (irreperibile fino al 2014) conclude la carriera di Edward D. Wood Jr con una variazione sul tema della giovane coppia che viene messa in crisi dalla scoperta di sé (cioè della sessualità) in un contesto imprevisto.
Il 7 dicembre 1978 Ed e Kathy vengono sfrattati dal loro appartamento a Yucca Street, Hollywood, e trovano rifugio a casa dell'amico attore Peter Coe, decidendo di combattere la depressione con un weekend a base di alcol. Nel pomeriggio di domenica 10 Edward spossato si ritira in camera da letto, chiedendo poco dopo alla moglie di portargli ancora da bere: lei rifiuta, pur sentendolo lamentarsi alcuni minuti dopo. Non udendo più rumori per qualche tempo la donna decide di entrare nella stanza e trova Wood stroncato da un infarto all'età di soli 54 anni.
"Si era introdotto nel regno di Dio", per citare il finale di Bride of the Monster.


Epilogo: perché scrivere di Ed Wood


Dacché ha conosciuto la sua "rivalutazione" a partire dagli anni 80 il cinema di Ed Wood è sempre stato stretto dalla morsa di retoriche che sono proliferate sfruttando la sua controversa personalità e la sua testarda quanto debole idea di cinema, giungendo a conclusioni di segno opposto. Se per qualcuno Wood è stato soltanto un eccezionalmente incapace "artigiano" dell'industria, dalla condotta forse neppure così apprezzabile, dato il presunto sfruttamento del morente Lugosi, per altri si è dimostrato uno strenuo sognatore, araldo di una concezione del proprio mezzo espressivo originale quanto fallace e quindi precursore di ogni vero indipendente del cinema a stelle e strisce. Un'ulteriore interpretazione pare si stia affermando negli ultimi decenni: quella di un autore acuto e controcorrente ma sfortunato e troppo inesperto per concretizzare al meglio le proprie ambizioni.
Che si sostenga la versione dei fratelli Medved, quella di Burton e del biografo Rudolph Grey12 o quella di ewendingxRob Craig il percorso del regista di Poughkeepsie si è dimostrato molto difficile, se non impossibile, da descrivere in termini così netti. O perlomeno questa sarebbe stata l'intenzione del presente scritto: dimostrare che vi è stato un senso dietro dischi di alluminio usati a mo' di astronavi e una personalità tormentata dietro una vita che è stata fin troppo narrata come bigger than life. Perché in fin dei conti Edward D. Wood Jr. è stato un altro "Eliogabalo", un inattuale la cui arte è stata riflesso, conseguenza o forse solo eco di un'esistenza in contrasto col proprio mondo, tanto d'origine quanto d'elezione, rielaborando quindi in maniera unica la produzione culturale del periodo.
Questo è in fin dei conti il senso di guardare e discutere i film woodiani e scriverne. Opere così particolari, incostanti e interpretabili spingono necessariamente allo svilupparsi di opinioni diverse e quindi a contestare, volutamente o no, ogni retorica che rischi di soffocare la vera, intrinseca, unicità del cinema di Wood. 

 

 

Note 

1 Qualifica attribuitagli dai fratelli Michael e Harry Medved nel loro parodistico libro sulla storia dell'industria hollywoodiana "The Golden Turkey Awards".
2 L'ispirazione tematica e anche stilistica al grande regista americano da parte di Wood è ancora discussa ma il sottoscritto non può che far notare che le costruzioni narrative tortuose, il marcato autobiografismo e la propensione per l'eccesso e l'anticonformismo solo solo i principali punti di contatto fra i due cineasti.
3 Rob Craig, "Ed Wood, Mad Genius: A Critical Study of the Films", McFarland, Jefferson (NC), 2009, p. 66
4 Citazione presente anche nella raccolta "Opere Cinematografiche", Guy Debord, Bompiani, Milano, 2004, p. 32
5 Fra le altre sue partecipazioni in "capolavori" del trash si ricordano "The Unearthly" (1957) di Boris Petroff e "The Beast of Yucca Flats" (1961) di Coleman Francis. Si sottolinea però come egli avesse già avuto una lunga carriera come caratterista, iniziata già negli anni 30.
6 Il sottoscritto ci tiene a far notare la differenza rappresentativa tra questa scena nell'originale e la ricostruzione burtoniana, non attribuibile certamente ai soli differenti mezzi in campo. Vi sono numerosi altri raffronti interessanti: alcuni video su Youtube possono rendere l'attività più semplice.
7 Rob Craig, "Ed Wood, Mad Genius", p. 141
8 D'altronde non fu una vue animée di lumièriana memoria il primo film di Wood? Egli risulta anticipatore anche nella commistione tra fiction e documentario, non innovativa in termini assoluti all'epoca ma mai messa al centro di una produzione nel cinema low budget statunitense del tempo.
9 Rob Craig, "Ed Wood, Mad Genius", p. 179
10 Come riportano la maggior parte delle fonti, un probabile tentativo da parte del regista di vedere adoperato quello che riteneva una delle cose migliori che avesse mai scritto.
11 Divertente la citazione a "Psyco", e quindi a "The Sinister Urge", mediante l'allusione a dei dipinti di volatili i cui occhi cavi vengono usati per soddisfare il voyeurismo dei personaggi.
12 Autore della più nota biografia (in realtà una raccolta di interviste e memoriali) del regista americano, "Nightmare of Ecstasy: The Life and Art of Edward D. Wood Jr.", Feral House, Port Townsend (WA), 1994




Ed Wood