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Conversazioni sul cinema - Incontro con Emiliano Morreale

Proseguiamo il dialogo sulla critica cinematografica con una conversazione con Emiliano Morreale, professore a La Sapienza, critico (collabora con La Repubblica, Espresso e altri), divulgatore, in passato conservatore della Cineteca Nazionale

Ciao Emiliano, non farei troppi preamboli o riassunti delle puntate precedenti... se qualcuno è interessato al discorso iniziato tempo fa si può recuperare le conversazioni con Federico Gironi e Roberto ManasseroFaccio queste conversazioni e vago con le parole per trovare non tanto delle risposte quanto delle altre domande per cercare di inquadrare il mestiere del critico. Io mi dilungo sempre, fai lo stesso se vuoi. Tu di lavoro sei un critico cinematografico ma sei anche docente alla Sapienza. Immagino la sovrapposizione perfetta fra fare critica e insegnare, perché hai uno ruolo davvero importante, nel senso, vedrai molti giovani che in qualche modo sono interessati al cinema e puoi (nei limiti ovviamente) formarli, dargli gli strumenti per capire le immagini. Mi racconti qualcosa in proposito? Partendo magari dal fatto, ho letto in alcune interviste, che spesso ti trovi di fronte a persone che hanno una cultura cinematografica che parte dagli anni Novanta...

Sì, difficilmente qualcuno ha una cultura cinematografica che vada a prima di "Pulp Fiction", e che superi i confini degli Stati Uniti. Poi, in realtà, con le serie tv gli ambiti di interesse si sono ristretti ancora di più. La cosa curiosa è che proprio mentre i ragazzi hanno potenzialmente davanti tutto il cinema passato e presente da guardare legalmente o no, non hanno delle bussole per orientarsi. Non sanno cosa cercare, perché non hanno un filo per orientarsi, forse nemmeno su YouTube (dove già ci sono dei materiali per farsi una conoscenza più che bastevole della storia del cinema). Bisognerebbe fare dei corsi propedeutici di orienteering storico, forse, come quelli che si perdono nella foresta. Anche perché sennò si rischia una generazione di spettatori (e di critici) cinematograficamente analfabeti, che si bevono a bocca aperta, come novità, delle robette riscaldate di cinquant'anni fa spacciate per nuove.

Bella l'espressione "corsi propedeutici di orienteering storico", potrebbe essere il titolo di un racconto di Vonnegut, che però mi getta lievemente nello sconforto. All'università come ti approcci tu per formare i tuoi studenti? Io a Pisa studiavo con il professor Lorenzo Cuccu (del quale come tutti i suoi studenti avrei un centinaio di aneddoti divertenti da raccontare) e ricordo bene quanto fosse importante capire la Storia del cinema e delle teoriche del cinema. Io arrivavo già formato dalle notti insonni a guardare Raitre nei fine settimana ma fu all'università che riuscii a costruire il quadro generale, e soprattutto ad andare indietro nel tempo. Perché non mi stupisce troppo che oggi si parta da Tarantino. Io ero concentrato sui Cronenberg o i Carpenter, ma solo per questioni anagrafiche. Oggi cosa consigli a chi, al di fuori dell'università, vuole dare un inquadramento alle proprie conoscenze? Io per esempio ultimamente ho consigliato il documentario "The Story of Film: an Odissey", che credo abbia tradotto tu con Federico Pedroni, perché m'è sembrato un buon punto di partenza...

Quello è forse l'inizio migliore, ce l'avessi avuto io trent'anni fa (o anche venti).... Un tempo c'era un'enciclopedia inglese a dispense che si chiamava "Il Cinema", della De Agostini. Formidabile. Gli anglosassoni quanto a divulgazione non si battono. Tieni conto che sono un autodidatta, il cinema l'ho imparato fuori dall'università, non ho mai seguito un corso di cinema nella mia vita. Per cominciare, consiglio una guida ai capolavori del cinema fatta da Gianni Volpi, recentemente ristampata da Baldini e Castoldi col titolo "I Mille Film". Basta cercare i film che incuriosiscono di più e guardarli. Purtroppo la tv non ha più quei meravigliosi cicli di film(doppiati, ma a volte no). Io su telemontecarlo ho visto tutto il Bunuel messicano, su Rai 1 un ciclo curato credo da Mario Sesti con i Minnelli e i Sirk degli anni 50 (una folgorazione), e poi Kurosawa, Mizoguchi, BergmanTruffaut.... Negli anni 80, addirittura Richard Brooks, Matarazzo, Cottafavi eccetera. Bisogna crearsi i percorsi da sé, e il rischio è quello di non incontrare mai nulla di nuovo ma di fare delle ricerche sempre un po' "profilate", nella logica di "chi compra questo compra anche quest'altro...". Credo comunque che ci sia una fame di riscoperta, nei giovani più curiosi. Basti vedere il pubblico del Cinema Ritrovato di Bologna, composto da tantissimi studenti. E anche a Venezia, a vedere la sezione dei classici restaurati c'erano un sacco di giovani.

Con Gironi si diceva che gli spazi per scrivere di cinema sono molto limitati al di fuori delle riviste specializzate, e che molto spesso la parte dedicata al cinema è in realtà lasciata al gossip del cinema. Tu che hai comunque degli spazi su testate come Repubblica o L'Espresso riesci a gestire quelle (non molte) battute che ti sono concesse come meglio credi? Ma soprattutto come è possibile che ti siano concesse così poche battute? Intendo a te, come a chiunque altro abbia la tua visibilità... Non è una cosa personale ovviamente. Però è palese che sia impossibile gestire un discorso sul film in un migliaio di battute, e quindi il rischio è quello di rimanere in superficie.

Allora: intanto, col fatto che forse il cinema non conta più molto, c'è una libertà assoluta di scrivere quello che ti pare su un film, in termini di giudizio. Perfino sul cinema italiano, non mi è mai capitato che mi suggerissero una correzione di un aggettivo o di una virgola. Semmai, la cosa difficile è, al di là dell'attività di recensore, scegliere di cosa parlare. Per dire, a Cannes un anno che il concorso è modesto si potrebbe parlare della Quinzaine, ma vorrebbe dire far saltare le logiche, spiazzare troppo il lettore (e soprattutto, se a Cannes vedi il concorso non vedi la Quinzaine, e il critico è uno solo). Insomma, dare una paginata a film piccoli e non protetti, cose così, sarebbero utili. Ogni tanto ci si riesce. Però, per quanto riguarda la lunghezza, io non mi lamento. Certo, 300 battute sono poche e soprattutto è un po' spietato liquidare un film in così poco spazio, sia che se ne parli bene sia che se ne parli male. Ma le 2000 battute che ho sull'Espresso, ad esempio, vanno più che bene. Parliamoci chiaro: non c'è film, per complesso che sia, di cui non si possa dar conto tranquillamente in uno spazio simile. Gran parte delle recensioni che leggo mancano proprio di concisione, si sbrodolano magari in divagazioni egotiche di cui non interessa niente a nessuno ("Quando ho visto il primo film di questo regista..."). Sarà che io di solito "vado corto": quando scrivevo su "Cineforum" cartaceo mi chiedevo come facessero gli altri a scrivere 10mila battute su film dei quali, francamente, dopo 2000 era finito quel che c'era da dire.

Beh, la sintesi molte volte aiuta a dire in 2000 battute quello che altri dicono in 10000, e meno male. Di questa cosa che dici però mi interessa e mi colpisce la tua prima affermazione "il cinema non conta più molto". Mi spieghi cosa intendi?

Che ormai non ha un ruolo guida nel sistema dei media. Io mi riferivo al fatto che in Italia il cinema è un luogo di prestigio residuale, sempre più limitato, e quindi gli interessi in gioco sono pochi e in fondo puoi anche parlar male del regista o dell'attore famoso perché sia il cinema che i giornali contano meno. Forse vent'anni fa sarebbe stato più difficile. Infatti nessuno parlava mai male di nessuno. Però l'affermazione che facevo prima vale più in generale: il cinema, rispetto alle serie o ai videogiochi, non è, ormai da un bel po', il centro dell'immaginario. Se in fondo la televisione gli aveva succhiato via spettatori ma non aveva intaccato il suo ruolo, adesso è proprio questo a essere incrinato.

Come vedi tu invece il contraltare dei pochi spazi della critica, e cioè che gli spazi offerti dal web sono pressoché infiniti. Si può trovare qualità critica al di fuori del "circuito ufficiale"?

Certo. Anche perché non è che il "circuito ufficiale" sia garanzia di qualità. E' una questione di proporzioni: diciamo che i critici di giornali, riviste ecc., quelli bravi, saranno una dozzina, su 200 che scrivono. Tanto per dire, eh. E nel web ce ne sarà un'altra dozzina, su 20 mila che scrivono (in Italia). La distinzione oggi mi pare più trasversale. Anzi, per esempio mi piacerebbe che nelle pagelle di Venezia l'anno prossimo, al posto delle pagelle del "pubblico" (che inevitabilmente è scelto un po' a caso) ci fossero una decina di critici dei siti più influenti, quelli diversissimi tra loro: che ne so, da Comingsoon a Dagospia, da Cineforum a Mymovies, oppure Quinlan, Filmidee, Cineforum.it ecc. (sto citando a casaccio alcuni di quelli che consulto o che fanno più opinione).

E pure Ondacinema mannaggia... La critica non dovrebbe, oggi più che mai, unirsi con forza anche per dare una mano al cinema (siamo in Italia e parlo di cinema Italiano, ma potrebbe valere lo stesso discorso per altri Stati)? Mi spiego facendoti un esempio, e scusami se sarò un po' tranchant ma mi piace esserlo: da tutte le parti (stampa e televisione generalista, e pure specializzata) ormai da venti anni raccontano della rinascita del cinema italiano. Basta un buon film, o anche solo un film che esca minimamente dagli standard nostrani, e subito è rinascita. Ora ti dico il mio punto di vista: il cinema italiano è morto e sepolto, e nemmeno c'è un briciolo di speranza per il futuro perché è stata smantellata l'industria del cinema, il sistema produttivo organizzato. Certamente ci son ottimi autori, giovani e meno giovani. Ma non bastano per rendere il cinema vivo. Tantissimi anni fa, in un incontro al Lumiere di Pisa ricordo Benvenuti (Alessandro non Paolo) dire che il cinema italiano era stato ammazzato dai comici degli anni 70-80 e che nessuno poi si era più preoccupato di rimetterlo in vita... In questo scenario semicatastrofico io credo che la critica dovrebbe tracciare delle linee per far crescere gli autori. Servire da catalizzatore teorico-intelletuale. Sto farneticando?

In un periodo in cui il cinema italiano era molto più banale, fiacco, la gente andava a vederlo. C'è stato un momento in cui Muccino, Cristina Comencini, Ozpetek, Castellitto ecc. riempivano le sale. E a noi spettatori o critici di trent'anni quei film facevano orrore, perché ci sembrava che distruggessero lo spazio del cinema d'autore trasformando tutto in una pappa midcult. Adesso non esiste un cinema medio che la gente voglia andare a vedere, e spesso non capisco perché. Certo, sono uscite venti commedie con gli stessi attori e ovviamente sono tutte andate male. Ma, ad esempio, non è che "Smetto quando voglio" sia peggio delle commedie americane correnti; secondo me è pure meglio. C'è da dire però che in Italia ho l'impressione che la gente abbia smesso di andare al cinema. Anche i blockbuster vanno male. E bisognerebbe indagare su quanto il cinema d'autore sia stato sostituito dalle serie tv, che sono pur sempre un prodotto d'élite (semplificando: la serie "Gomorra" non fa concorrenza al pubblico di "Don Matteo", ma a quello di "Gomorra" film). Secondo me il discorso sull'industria e quello sui film andrebbe separato. L'industria del cinema se non è morta diciamo che rantola, e però contemporaneamente si fanno molti più bei film di 10 o 15 anni fa. Specie film di giovani registi, film piccoli. Film, ovviamente, senza pubblico. Questo è il problema. Però, devo dire, a me interessa comunque che si continuino a fare bei film, anche con due lire, e che magari incassano due lire. E credo che la fusione tra il discorso dell'industria e quello dell'arte (ecco, chiamiamolo così) crei solo confusione. Bisogna tener conto dei due piani, ma tenendoli separati, dicendo che ci sono bei film che non hanno successo e bei film che hanno successo, film che nessuno va a vedere perché sono brutti e altri che magari la gente va a vedere proprio perché sono brutti. Coi tempi che corrono, dire delle ovvietà rischia di sembrare controcorrente. Rispetto agli isterismi che sento in giro, da critici o da gente che il lunedì delira sui Cinetel del weekend senza avere un'idea, il mio pensatore di riferimento è diventato Massimo Catalano, il compianto opinionista televisivo di "Quelli della notte".

Beh, non so se è una riflessione che deve fare la critica, ma forse sì. Capire perché in Italia il cinema non funzioni (più). È una faccenda molto grossa, che mette in mezzo la politica certamente. Prima di tutto la gente non va al cinema. E quindi da lì in giù tutti si possono lamentare (meno soldi che girano, meno investimenti etc) anche perché gli esercenti mi pare che dallo Stato non siano affatto aiutati. Ma non va al cinema anche perché il cinema è invecchiato male da noi, venti anni fa si poteva far uscire un film con un paio di mesi di ritardo, oggi no. Prima di essere un fatto dannoso è proprio stupido, cioè il 95% del pianeta ad agosto parlava di "Dunkirk" e noi avevamo l'embargo (e non è un discorso di qualità, il film in fondo per molti versi era trascurabile). Poi se vado a vedere un film io, come credo buona parte degli appassionati (almeno quelli sotto i 50 anni), non voglio sentire il doppiaggio. Questa cosa va detta, devono dirlo tutti. Il doppiaggio fa schifo, anche quello fatto bene. E da molti anni ormai, vuoi la fretta, vuoi i pochi soldi, il doppiaggio è intollerabile. Come è impossibile giudicare il lavoro di un attore se doppiato (è stato molto sincero e duro Vincent Cassel in diretta a "Hollywood Party" un po' di tempo fa, parlando del doppiaggio italiano)? E così via, credo che a far le pulci a ogni passaggio non finirei più. Ma sappiamo che si deve cercare di capire meglio le cose e magari provare a migliorarle. Questo per quanto riguarda l'industria. A proposito dei film invece credo davvero vadano tracciati dei sentieri da seguire più che fare classifiche di fine secolo, di fine decennio di fine anno, di fine settimana... A te Muccino, Comencini, Ozpetek facevano orrore quando avevi trent'anni? E adesso cosa ti fa orrore nel cinema? E di contro che tipo di cinema ti senti di difendere?

Credo che una delle poche cose positive del consumo delle serie tv americane sia il fatto che il suo pubblico, che è un'élite ma molto giovane, le scarica illegalmente e quindi deve vederle in lingua originale. Forse tra un po' il pubblico apprezzerà in maggioranza i film in lingua originale. Ma al momento anche persone insospettabili, frequentatori continui di sale, non vanno a vedere i film sottotitolati perché si affaticano. Cosa mi dà fastidio, dici? I maniaci delle serie che stanno tutto il tempo a commentarle sui network settimana dopo settimana e secondo i quali escono 10 capolavori al mese (poi se li risenti il mese dopo le serie del mese scorso erano delle scemenze mentre niente è più bello di quella uscita questa settimana; però, ti dicono, devi avere la pazienza di guardare prima una trentina di ore per arrivare alla terza serie perché la prima e la seconda sono così così. Ma io piuttosto mi faccio un binge watching di Béla Tarr, che ci metto un quarto del tempo!). Oggi, più che dei film, mi fanno antipatia molte categorie di spettatori, critici e paracritici. Ora trionfa l'ideologia del "popolare", l'idea che ci voglia il "pop" sempre e comunque, che l'Italia sottovaluti il comico, che la vittoria ai David di "Perfetti sconosciuti" o "Lo chiamavano Jeeg Robot" sia una cosa rivoluzionaria e liberatoria, che il cinema americano (stramorto come capacità inventiva coniugata all'industria: ormai incassano quasi solo supereroi o film d'animazione) quello è un modello; che le serie tv quelle sì ecc. ecc.  L'impressione è che un'élite di spettatori colti, fra i 35 e i 45 anni, abbia deciso, in una micidiale alleanza tra snobismo e pigrizia intellettuale, che il cinema, molto semplicemente, non deve rompere le palle ma deve "emozionare" (cioè, tradotto: consolare, farti pat pat). Io credo che il cinema sia qualcosa di straordinario, che possa metterti in crisi, sfidarti, travolgerti e romperti anche le palle, talvolta perfino cambiarti la vita. Ma sono nato nel '900. E forse questo il cinema lo faceva nel '900. Comunque, qualche sorpresa arriva ancora, ogni tanto. Due, tre volte l'anno, forse quattro, forse cinque? Comunque, sono bei momenti.

Due, tre, quattro forse cinque? Mi fa piacere leggere un tale ottimismo! 




Conversazioni sul cinema - Incontro con Emiliano Morreale