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La donna che visse due volte: intervista a Laura Bispuri

In occasione dell'uscita del suo primo lungometraggio abbiamo parlato di "Vergine giurata" con la sua regista, Laura Bispuri

Per il suo primo lungometraggio Laura Bispuri ha scelto di raccontare una storia che esplora i concetti di identità razziale e sessuale, rielaborandoli alla luce di un nuovo senso di libertà. Ne abbiamo parlato con la regista del film.

In generale: come sei arrivata al cinema? E ancora: volevo chiederti se il romanzo di Elvira Dones cui è tratto "Vergine Giurata" corrispondeva a posteriori all'idea di ciò che volevi esprimere con il tuo primo film, o in qualche modo ti ha aiutato a trovare quell'ispirazione?
Dopo la Laurea in Lettere e filosofia con indirizzo cinematografico, ho fatto un viaggio in Spagna portandomi dietro una piccola telecamera con la quale sono entrata in simbiosi, filmando tutto il possibile. Tornata in Italia ho iniziato a girare piccoli corti e un documentario. Successivamente, ho vinto una selezione presso la Fandango di Procacci per frequentare un corso di regia e produzione della durata di due anni. Quell'esperienza mi è servita per girare quello che considero il mio vero esordio nel mondo del cinema, e cioè "Passing Time", cortometraggio che vinse il David di Donatello, e subito dopo "Salve Regina" e "Biondina". "Vergine giurata" è stata la naturale conseguenza di questo percorso. Stavo cercando una storia adatta alle mie corde e un amico mi disse che leggendo il libro di Elvira avrei scoperto qualcosa che mi apparteneva e che in parte avevo già espresso attraverso i miei primi lavori, caratterizzati da un forte interesse per la corporalità dei personaggi.

Il film è ambientato per una parte in Albania esplorata nei suoi retaggi più ancestrali e direi tribali. Hai fatto delle ricerche sul posto, e come ti sei rapportata a quel mondo.
Non conoscevo L'Albania nè la legge del Kanun, per la quale una donna acquisisce gli stessi diritti di un uomo a patto di rinunciare alle prerogative del proprio sesso. Dopo aver letto il libro ho iniziato a incuriosirmi e poi ad appassionarmi a quella terra e in particolare al discorso delle Vergini giurate, leggendo tutto quello che esisteva in fatto di letteratura e saggi riguardanti la cultura albanese. Mentre scrivevo la sceneggiatura con Francesca Manieri con cui collaboro da sempre, per circa due anni ho fatto avanti e indietro tra Italia e Albania per conoscere meglio i luoghi e la gente e per cercare le location del film. La casa in cui avrei ambientato la storia doveva rispettare ciò che avevo in mente, e così, mentre mi davo da fare per trovare la soluzione più adatta, ho iniziato a parlare con gli abitanti del posto. In questa maniera mi sono gradualmente integrata, condividendo con loro dettagli e punti di vista sulla sceneggiatura che stavo elaborando.
Da subito ho stabilito un legame fortissimo con quella terra. Tutto il mio film, per come è strutturata la storia, è un continuo ritornarvi, e anche nella scena finale, con le due protagoniste riprese mentre cantano una melodia albanese, esiste questo sentimento di malinconia derivato dal ricordo di un luogo in cui non si può ritornare ma che non si riesce a non amare.

La narrazione del film è diacronica, composta dall'intersezione di due movimenti opposti. Nel primo, ambientato in Albania, assistiamo alla scelta di Hana di diventare Mark, rinunciando alla sua femminilità, nel secondo - che si svolge in Italia -, al recupero di quella perdita. Una parte è indispensabile all'altra anche dal punto di vista drammaturgico. Me ne vuoi parlare?
Nonostante il lavoro di scrittura sia stato molto complesso, la scelta di integrare le due parti, quella girata in Albania con quella ambientata in nord Italia è venuta spontanea e naturale, perché erano due percorsi destinati a incrociarsi per arrivare a esprimere quell'armonia finale che si vede nell'ultima scena del film.
Nel libro Mark lascia il suo paese per andare a Washington. Per ragioni di budget e dopo aver parlato con la scrittrice, ho deciso di ambientare la parte italiana a Bolzano. Pur partendo da un tema arcaico come quello delle vergini giurate, volevo che la storia entrasse nel mondo contemporaneo per parlare delle creature di oggi, che ancora non capiscono se sono uomini o donne.
C'è una riflessione nel sottotesto del film che si interroga sul grado di libertà della donna, non solo in Albania ma anche in Italia. In questo senso, Mark e la figlia italiana di sua sorella Lila, si aiutano una con l'altra nel tentativo di uscire fuori dalle proprie gabbie. La storia risente di alcune problematiche che ancora ci appartengono e che riguardano principalmente il grado di libertà che abbiamo oggi come esseri umani e come donne. Nella scena finale riassumo questa ricerca di libertà nella felicità di Hana e Lila, contente di essere finalmente se stesse.

Contrariamente all'ultimo cinema italiano - penso all'ultimo film di Giorgio Diritti, ma anche a quello di Mario Bechis - nel tuo film il nostro paese diventa "Lamerica", e mi ricorda di un'altra immigrazione al contrario, filmata da Gianni Amelio.
Si è vero. Gianni Amelio e "L'america" è un film che ho amato moltissimo e che, a detta delle persone che ho incontrato in Albania, è ancora quello che meglio di altri li rappresenta e in cui si riconoscono totalmente.

"Vergine giurata" è un film di padri putativi e figlie acquisite. Chi sono, se ne hai, i tuoi padri cinematografici?
Amo tanti autori e molti film. La caratteristica che li unisce è il fatto di avere dietro di sé un regista che si fa sentire e che esprime una visione sul mondo. Te ne dico due per ogni categoria: per quanto riguarda la prima direi i Dardenne, Pasolini, mentre per i film mi vengono in mente "Sister" di Ursula Meier e "La gabbia dorata" di Diego Quemada-Diez di cui sono letteralmente innamorata.

Nel film non risparmi nulla della durezza di quella società e anche del ruolo subordinato della condizione femminile. Nonostante ciò, non emerge alcun disprezzo ma al contrario mi sembra che guardi alla figura del padre della due ragazze con una sorta di rispetto.
Quello che dici mi fa piacere perché volevo che questa cosa si sentisse. Porsi in contrasto con quel mondo sarebbe stata la cosa più facile e anche remunerativa in termini di empatia ma ovviamente non era questo il fine ultimo della mia ricerca. Al di là dei sentimenti di cui prima ti parlavo, fin dall'inizio mi sono avvicinata a quel mondo senza giudicarlo e rispettandone le tradizioni.

Il tuo è un film di opposti : maschio femmina, modernità e tradizione, città e territorio extraurbano, ambienti chiusi e aperti, sono contrari che finiscono per coincidere, e mi riferisco per esempio al rapporto tra Mark e il bagnino della piscina, ma anche al paesaggio italiano, popolato da volti provenienti da diverse geografie. Quasi a sottointendere la fluidità della realtà contemporanea e l'impossibilità di creare barriere tra i popoli.
Sì, è un film di opposti che però, attraverso il lavoro sulla fotografia, ho voluto cercare di rendere armonici, utilizzando stile e colori uguali tanto nella parte Albanese che in quella italiana. La stessa impostazione del film, con le due parti presenti alla pari e non subordinata una all'altra, lo dimostra. D'altronde, per i motivi che in parte abbiamo già detto, in "Vergine giurata" la diversità è un'occasione di confronto. E come tu dici, la relazione tra Mark e il ragazzo incontrato nella piscina potrebbe essere un esempio di quel senso di ricomposizione, nella cui direzione va la storia del film.

Il tuo è un cinema che racconta una storia, quindi in questo senso si colloca nella tradizione più classica del nostro cinema. Per farlo, però, usi una tecnica mista, che deve molto al cinema del reale nell'uso della mdp, nell'autenticità delle location, nel rispetto delle differenze linguistiche e nel pedinamento dei personaggi ma che non manca di suggestioni liriche, derivate da un lavoro sulle soluzioni cromatiche della fotografia.
La mia idea di cinema nasce da un'impronta totalmente reale, con una capacità però di avere momenti più lirici, che potevano esistere solo se il reale fosse stato assolutamente veritiero. Cercavo un equilibrio tra una realtà concreta e uno sguardo molto discreto. Per esempio, ho girato tutti piani sequenza senza che per questo impedire alla mdp di muoversi interrompendo la linearità di quel movimento. Tutto ciò che vediamo si rispecchia su Mark e in qualche modo è la rappresentazione del suo mondo interiore.

Cosa per esempio che si nota nella scelta della figura maschile con cui Mark si relaziona.
Per rendere credibile quel rapporto era importante creare un personaggio che anche dal punto di vista estetico si facesse portatore di quella stessa ambiguità che lo spinge verso Mark, e in questo senso credo che la scelta di Lars Eidinger mi abbia premiato. Così come la rappresentazione ferina dei loro contatti fisici corrisponde al fatto che quelle scene costituiscono per entrambi il momento in cui per la prima volta ogni barriera cessa di esistere.

Mi è piaciuto lo straniamento che riesci a far percepire, filmando una città, Bolzano, priva di punti di riferimento e di orizzonti.
A proposito di questa mancanza d'orizzonti e di riconoscibilità, molto è dipeso da ragioni pratiche legate da una parte al fatto che, girando a Bolzano, volevo eliminare la presenza delle montagne che in qualche modo contraddiceva il senso di libertà che quel luogo mi doveva dare. Ho fatto un lavoro al millimetro, respirando la città attraverso le sue presenze umane o filtrandola mediante una visuale parziale, come può esserlo la cornice di una finestra, e anche adesso quello spazio allargato continua a non mancarmi. In più, durante il montaggio abbiamo fatto di tutto per non allontanarci dal personaggio di Mark, rimanendogli sempre addosso. Una scelta a cui ho sacrificato inquadrature belle ed evocative.

In "Vergine giurata" le immagini riescono a parlare allo spettatore. Tra le più significative, quella della piscina affollata di gente, in cui Mark si ritrova dopo aver compiuto in parte il suo percorso di liberazione, e in cui ho trovato echi del Garrone di "Reality". E poi la scena di Mark che si asciuga i capelli con il fon, in cui la ritrovata femminilità è annunciata dal corpo della protagonista che si gira gradatamente verso la macchina da presa, rivelando per la prima volta i segni della sua inequivocabile sessualità.
Di Garrone mi ero dimenticata e ti prego di aggiungerlo alla lista dei miei registi preferiti perchè i suoi film hanno una marcià in più. Però non sono consapevole di questa somiglianza. In quel caso mi pare che i colori fossero diversi, più vivi. Nel mio film, la scena mi serviva per far passare Mark attraverso le diversità dei corpi delle persone che si ritrovano a frequentare la piscina, sottolineando il momento di esperienza e di confronto con tutte quelle diversità. Nella scena del fon invece mi piaceva legare il momento in cui Mark si trova finalmente a suo agio con il proprio corpo ai gesti di una semplicità quotidiana. Volevo essere profonda senza essere intellettuale.

Parliamo di Alba Rorhwacher. La sua è un'immedesimazione totale, a partire dal linguaggio che rispetta l'etnia albanese del personaggio. Mi dici come avete lavorato insieme e come siete arrivate a creare il personaggio di Mark?
Con Alba il legame si è andato consolidando mentre scrivevo la sceneggiatura. Fin dal principio è stata attratta dal personaggio e si è molto interessata ai lavori che avevo fatto. Non sono mancati momenti di paura e di dubbio ma io mi sono lanciata nel progetto ed è stata questa convinzione a rassicurarla sul fatto di poter interpretare al meglio il suo personaggio. Nel girare il film siamo entrate in simbiosi, con momenti di divertimento e insieme di riflessione rispetto a ciò che stavamo facendo. In realtà Alba, il personaggio se l'è trovato addosso quasi subito. Sul mio modo di lavorare con gli attori, devo dire che arrivo sul set convinta di ciò che voglio ottenere, però mi piace fare le cose insieme. Per cui agisco su queste idee con molta morbidezza. Quindi comunico agli attori questi pensieri e cerco di capire se ci sono degli ostacoli per realizzarle, perché non è vietato cambiare qualcosa rispetto a quelle premesse. Per me è necessario che gli attori siano convinti di quello che fanno, anche rispetto a ciò che dicono e agli abiti che indossano. Così ho fatto anche con Emily Ferratello, atleta di nuoto sincronizzato prestata al film nel ruolo di Ionida, la flglia di Lili, e con le due ragazzine albanesi, attrici non professioniste pescate proprio nel villaggio dove abbiamo girato il film.




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