Ondacinema

Roma VIII: Cinechat con Jonathan Demme

ROMA VIII - Il fiore all'occhiello del Festival di Roma è stato il ciclo di masterclass che negli anni ha visto avvicendarsi David Cronenberg, Michael Mann, i fratelli Coen e, persino, registi più schivi come il paria di Hollywood Michael Cimino e l'invisibile Terrence Malick

Il fiore all'occhiello del Festival di Roma è stato il ciclo di masterclass che negli anni ha visto avvicendarsi David Cronenberg, Michael Mann, i fratelli Coen e, persino, registi più schivi come il paria di Hollywood Michael Cimino e l'invisibile Terrence Malick (il colpo gobbo di Mario Sesti e Antonio Monda). Giunti alla nona edizione della manifestazione capitolina, la Masteclass è stata ribattezzata Cinechat e nell'uggiosa domenica del primo weekend festivaliero, gli anfitrioni Mario Sesti e Giona A. Nazzaro salgono sul palco della Sala Petrassi per i convenevoli di rito. Dopodiché si presenta lui, un sorridente Jonathan Demme, salutato dai sinceri applausi del nutrito pubblico che si è assiepato per assistere a una chiacchierata a ruota libera che si protrarrà per una buona ora. Sullo schermo alle loro spalle viene proiettato un montage con alcuni brani tratti dalla filmografia del regista americano: scorrono, sul sottofondo di "Streets of Philadelphia" di Bruce Springsteen, "Qualcosa di travolgente" e "Il silenzio degli innocenti", "Una vedova allegra...ma non troppo" e "Il segno degli Hannan", ma anche "Rachel sta per sposarsi", "The Agronomist", "The Manchurian Candidate" e "Philadelphia", grandi e piccoli film della lunga e brillante carriera di un cineasta la cui importanza viene spesso dimenticata. Un uomo di cinema che si dimostra anche un vulcanico e appassionato conversatore.

Per un autore della sua esperienza è più importante raccontare una storia dai temi forti oppure trasmettere la tua passione per il cinema attraverso le immagini?
Quando fai cinema racconti per immagini: ormai ho la convinzione che se non hai una storia forte sei nei guai. Credo che tutti coloro i quali partecipino alla realizzazione del film siano in qualche modo dei narratori. Gli attori innanzitutto, che raccontano la storia dei propri personaggi, il direttore della fotografia, ma anche il tecnico delle luci e quello del suono. Tutti ne fanno parte e ciascuno narra coi propri mezzi. Collaboriamo ai fini di un unico processo...Personalmente, poi, posso interessarmi anche alla tematica, ma la storia è il principio di tutto.

Ricollegandoci alle origini di Jonathan Demme, al suo periodo di cineasta indipendente, ricordiamo Roger Corman, il regista con il quale ha iniziato, maestro del cinema a basso costo ma che era al contempo schierato politicamente. Ch cosa ci può raccontare di quell'incontro?
Se mi piace così tanto fare cinema e se sono riuscito per tanti anni a sopravvivere come filmmaker, l'incontro con Roger Corman e con la sua factory è stato sicuramente fondamentale, ha segnato la mia vita. Corman doveva realizzare "Il barone rosso" per la United Artists e mi presentai per dimostrargli quello che sapevo fare e, magari, lavorare con lui. Roger per me era un mito, avevo visto tutti i suoi film...che, lo saprete, sono tantissimi. Dopo averci parlato, lesse qualcosa che avevo scritto tempo prima e mi ha detto "Ok, ti do il lavoro...però scrivi molto bene, perché non lo scrivi tu il film?". Allora mi sono messo subito all'opera con un mio amico, con John Viola, e poi abbiamo portato il copione a Roger. Eravamo insieme quando Corman, dopo averlo letto, ha detto che andava bene. E senza tanti giri di parole ci ha chiesto se volevamo esserne produttori: John era interdetto, ma l'ho zittito e ho accettato. Certo, il produttore non era veramente il mio obiettivo, ma pur di entrare in questo mondo avrei fatto qualsiasi cosa. La collaborazione con Roger è iniziata così, un po' per caso...e ho finito per produrre tre delle sue pellicole.

Parliamo ora del suo ultimo lavoro, che vedremo qui a Roma. Si tratta di un film teatrale, sul teatro e su un'opera molto particolare, che Wallace Shawn e la sua compagnia perfeziona da molti anni.
Sì, questa sarà la prima mondiale di "Fear of Falling". All'inizio non potevo sapere che sarebbe stata l'esperienza più complicata ma anche quella più gratificante come regista. Shawn ha tratto la sua pièce da Ibsen, da "Il costruttore Solness" che era la reazione ibseniana al successo del teatro di Strindberg. L'intuizione di Shawn è stato di cominciare la storia nello stesso luogo, la casa del costruttore, ma col protagonista sul suo letto di morte. E la storia di Ibsen è stata trasformata da Shawn in una fantasia di Solness che rimugina, discute, ripensa alla sua vita. Comunque è andata così: un giorno ho ricevuto la telefonata di Andre Gregory che, non so, forse qui non è molto famoso, ma è uno delle personalità più importanti del teatro americano (spero che abbiate visto "La mia cena con André"!); non conoscevo Andre, ma lui mi chiede se mi andava di vedere la pièce e magari, successivamente, di filmarla: sono andato a vederla e, anche se non credo di averla compresa interamente, l'ho amata subito e mi sono immerso nell'atmosfera dell'opera grazie alle interpretazioni di questi incredibili attori. Pensavo sarebbe stato facile lavorarci, ma quello che abbiamo scoperto il primo giorno di lavorazione è che queste performance eccezionali non andavano bene per il cinema, e se ne dovevamo fare un film il cast si sarebbe dovuto adattare. Il risultato è un film audace, vero cinema che celebra il teatro.

"Fear of Falling" ha al suo interno un'anima gotica, c'è quest'intreccio di personaggi, ma anche di spettri del passato...
Nel cinema a basso costo da dove provengo io, sappiamo che, se c'è un film che si può realizzare facilmente e con pochi soldi, è quello ambientato in una casa, ad esempio il filone horror della casa infestata. Uno degli insegnamenti di Corman era di scegliere interni con lunghi e stretti corridoi, perché mettono più inquietudine allo spettatore. Quindi ho pensato che quest'elemento poteva essere inserito anche in "Fear of Falling" e ne ho discusso sia con Andre che con Wallace che hanno accettato senza problemi.

Il film è dedicato alla memoria di un fantasma buono, a Louis Malle....
Sì...ho conosciuto Malle, anche se non bene come Adre e Wallace che vi hanno lavorato. Malle è un cineasta particolare, tutti sanno che è un grande autore francese, però per un certo periodo della sua vita si è trasferito negli Stati Uniti perché voleva lavorare diversamente e ha fatto alcuni importanti film. "My dinner with Andre" rappresentò un'operazione originale ed ebbe uno straordinario successo: la peculiarità è che si trattava di un film realizzato in America da un regista francese e segnava il passo per quel cinema indipendente al quale molti registi della mia generazione hanno contribuito a partire da Martin Scorsese, seguendo le orme di Cassavetes. Ero in debito con lui, con la sua idea di filmare il teatro e, pertanto, ho dedicato alla sua memoria "Fear of Falling".

Un aspetto particolare di Demme è di aver voltato le spalle al grande successo hollywoodiano per tornare a questo cinema ferocemente indipendente. Come mai questa scelta?
Non direi che ho voltato le spalle a qualcuno. Nel 2005 ho ricevuto una telefonata dal produttore Scott Rudin e mi ha detto che si preparava il remake di "Manchurian Candidate" con 85 milioni di budget, con Denzel Washington e Meryl Streep protagonisti. Attendo ancora telefonate analoghe... Poi per quel progetto sforammo anche il preventivo e cominciai a domandarmi se volevo tutta quella pressione, perché il problema di lavorare ad alto budget è che devi permettere ai tuoi produttori di andare in pari con gli incassi. In quel periodo vidi "Napoleon Dynamite", un film fatto con 100 mila dollari che ne guadagnò tantissimi. E mi chiesi: ho imparato così bene come regista per realizzare un'opera così bella e originale, utilizzando poco denaro? Così mi sono riavvicinato al nuovo cinema indipendente: avevo amato molto il movimento Dogma95, e stavo riscoprendo il Neorealismo e la Nouvelle Vague. I documentari sono diventati pian piano una droga e non sono riuscito più a smettere. E mi piace lavorare così, anche in tv, ad esempio, girando ogni giorno il più possibile, non solo 3-4 pagine di sceneggiatura: per "Fear of Falling" siamo arrivati a girare 27 pagine in un giorno. Sono corso a dirlo a Roger Corman, persino lui è rimasto sbalordito!

Sappiamo bene che un'altra sua passione è la musica. Qual è il suo punto di vista sull'uso della musica in un film?
Sì, ho una collezione immensa di album, laser-disc, vinili, oltre ovviamente ai dvd. Sono così tanti che mia moglie è preoccupata per il tempo che vi dedico...sapete, succhiano una gran quantità di ossigeno in casa...e anche in un rapporto...
Su musica e cinema non ho dubbi, si amano: una musica può migliorare una scena e quel brano inserito in un dato contesto visivo può trovare un nuovo senso. Ad esempio, in "Qualcosa di travolgente" ho lavorato con una donna fantastica, Susan Perich; quando abbiamo iniziato il montaggio della musica, abbiamo deciso che dovevamo utilizzare solo musica di repertorio. Però alla fine c'era un paio di sequenza che richiedevano musica originale, così ho chiamato a collaborare John Cale e Laurie Anderson. Per "Fear of falling" Susan Perich ha trovato degli spartiti di musica da camera dell'epoca di Ibsen e l'ha riarrangiata. Ho lavorato anche con Enzo Avitabile e sono stato con lui a Napoli per una settimana. Abbiamo parlato di lui, della sua storia, dei suoi anni al conservatorio. E poi di cosa fa ogni giorno, di come lavora alla sua musica, dei concerti eccetera. Un'esperienza straordinaria! Di base si tratta di un documentario su Enzo Avitabile, rivedendolo, però, ho capito che "Enzo Avitabile Music Life" si focalizza sugli strumenti musicali, perché sono loro i veri protagonisti, sono loro a essere suonati e da loro proviene la musica che avvolge il film e la vita di Enzo, che svolge un lavoro molto simile all'antropologo nella sua inarrestabile ricerca di nuovi suoni e di nuova musica e, pertanto, di particolari strumenti per produrla.

Visto che abbiamo intrapreso quest'argomento, non possiamo non sottolineare il suo rapporto con Neil Young, un grande musicista che applica quasi le regole del "low budget" al rock...
Neil è un perfezionista, ma è anche uno a cui piace sperimentare. Una volta ha invitato Willie Nelson a sentire il suo ultimo disco prima dell'uscita. Dopo averlo ascoltato, Willie ha detto: "È molto buono, quando avrai ultimato il missaggio sarà perfetto". E Neil ha risposto: "E' già pronto". È bellissimo lavorare con lui perché ha una visione personale delle cose che fa. Tra l'altro, sta lavorando a un documentario che vuole dirigere da cinque anni. Voglio raccontarvi un aneddoto: ha acquistato una Lincoln gigantesca che consuma un sacco di benzina. Lui desiderava una classica macchina americana, ma è un ambientalista e quindi per anni ha lavorato con tecnici per trovare una soluzione, trasportando l'auto da una costa all'altra degli Stati Uniti. E' bellissimo lavorare con lui perché si appassiona alle cose che fa...

E la collaborazione con David Byrne, come si è sviluppata?
Ero appena stato cacciato dal set di "Tempo di Swing". Perché per le politiche degli Studios, il film che doveva realizzare si era trasformato seguendo le volontà di Goldie Hawn e io mi opposi. Fu un brutto periodo, è dura risollevarsi da un'esperienza di questo tipo, incominci a chiederti se sei adatto per fare il filmmaker...e una sera andai a un concerto di David Byrne e mi ritrovai davanti a un ottimo soggetto per un film: le luci, il suo modo di cantare, di stare sul palco...sono riuscito a incontrarlo, gliene ho parlato e così è nato "Stop Making Sense". Byrne, come Neil Young ed Enzo, è già un soggetto cinematico: è semplice collaborare con gente come loro.

Verrà finalmente realizzato "Zaytoun"?
Lo script si basa sul libro di Dave Eggars con protagonista una coppia musulmana negli Stati Uniti che ha sofferto molto a causa degli interventi della Homeland Security. Zaytoun aveva una canoa durante l'uragano Katrina, a New Orleans, e ha salvato molte persone. Però poi è stato risucchiato dal sistema penale perché è di aspetto orientale, poteva essere pericoloso: è sparito nel nulla per mesi, rilasciato solo grazie alla combattività della moglie e a un'associazione per i diritti umani. Come potete immaginare, è difficile trovare finanziamenti per realizzare un film in cui il musulmano fa parte dei "buoni", ma ci dovremmo quasi essere...