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Incontro con Michael Mann

L'incontro con uno dei maestri del cinema contemporaneo ci consegna il ritratto di un uomo concreto, disponibile ma determinato a portare avanti un discorso cinematografico che non può prescindere dal reale

Tra gli eventi speciali della Mostra del cinema internazionale del film di Roma il fiore all'occhiello è stato sicuramente la lezione di cinema di Michael Mann, curata e presieduta da Mario Sesti ed Antonio Monda, amanti prima che esperti di cinema americano. L'occasione è stata un modo per conoscere un cineasta che anche sul palco dell'Auditorium ha confermato la sua fama di uomo concreto, disponibile ma determinato a non lasciarsi coinvolgere troppo da interpretazioni che negli anni hanno esaltato i suoi film come oggetti di avanguardia dal punto di vista tecnico e metacinematografico. Alla pari di qualsiasi altro lavoro anche quello del regista, dice Mann, è un mestiere che non può sottrarsi al rigore delle sue regole. Ed essendo, in questo caso, il risultato di una speculazione strettamente legata agli elementi del reale ne consegue una riproduzione trasfigurata quel tanto che basta per fare spettacolo senza tradire l'origine della sua natura. Va sicuramente in questa direzione la scena della guerriglia urbana di "Heat - La sfida" (1995), generalmente esaltata per la sua iperbolica rappresentazione, ed invece frutto, secondo Mann, di un'abitudine violata dall'arsenale militare utilizzato dalla banda di Neil McCauley, a cui i poliziotti, anche quelli reali, non sarebbero abituati. E' l'addestramento quotidiano, le tattiche di combattimento diventate oggetto di studio nelle aule universitarie, la costruzione di un set organizzato come fosse un campo militare a renderlo orgoglioso. Un lavoro certosino, quasi monacale che Mann afferma nella scelta del brano che apre l'evento, un sequenza tratta dal suo film d'esordio "Strade violente" ("The Thief", 1981), in cui lo spettatore è chiamato a seguire il pulviscolo impazzito di fiamme e di metallo provocato dalla fiamma ossidrica di Frank (James Caan) impegnato a forzare la cassaforte della banca che sta svaligiando. Un'esaltazione del gesto minuziosa ed insistente, anche in termini di minutaggio, tesa a prosciugare nella monotona descrizione della procedura le istanze più romanzesche del genere (l'heist movie) ed insieme a delineare, nell'accostamento tra la manualità dell'azione e la figura del protagonista, ripresa nello stacco successivo, la natura pragmatica di quella storia. Una propensione al reale doppiata dalla sequenza tratta da "Miami Vice" (2006), la rivisitazione del suo lavoro televisivo, ancora una volta imperniata sulla ripetizione del segno: in questo caso l'inquadratura dall'alto del natante che cavalca le onde per portare a compimento il destino di una relazione impossibile, quello tra l'agente della narcotici Sonny Crockett e di Isabella, la donna che sta sorvegliando e di cui si innamorerà. Anche qui la manifestazione dell'umano non può fare a meno di ricordarci le sue implicazioni materiali, con le scene della coppia ad aprire e chiudere lo spezzone, in un rapporto di dipendenza con la panoramica marina che esprime in un totale, fatto di acqua e motori, la fluida irruenza di quel legame.


E' impossibile ricavare il minimo compiacimento da un regista sempre pronto a rintuzzare i suoi interlocutori, come avviene quando Mario Sesti lo vorrebbe in qualche modo debitore di John Ford ("My Darling Clementine" è uno dei film preferiti dall'artista) ammirato ma non imitato dal regista americano, che risponde negativamente ad eventuali eredità provenienti da quella direzione, oppure nel rifiutare lo stile quale categoria adatta a riassumere le sue forme cinematografiche. Per Mann tutto si riduce ad una questione di sostanza: dalla scelta degli attori, spesso determinata dalla ricerca di un interpretazione che fosse frutto di una reazione ad un ruolo differente da quelli interpretati in precedenza - fu così per il Russel Crowe appena uscito da "Il gladiatore" e chiamato ad interpretare "Insider" (1999), Daniel Day Lewis, che gli studios ritenevano troppo gracile ed intellettuale per il ruolo di Hawkeye in "L'ultimo dei mohicani" (1992) e per Tom Cruise, il ragazzo della porta accanto trasformato in un killer freddo e spietato in "Collateral" (2004) all'uso del digitale, praticato per le possibilità di allungare la durata delle singole riprese, o per cogliere la profondità della notte losangeliana. E ancora, quando rispondendo a proposito del suo rapporto con i produttori afferma che quelli preferiti sono coloro che mettono a disposizione il budget e poi si tolgono dai piedi. Insomma, prima del regista, la lezione ci consegna un uomo che sa cosa vuole, e se lo prende, anche a costo di diradare la produzione filmica ("oggigiorno realizzare film richiede molto più tempo che nel passato"). E nel profluvio di applausi e di parole, la chiusa con il nuovo lascito del regista, il teaser dell'episodio che farà da apripista per una nuova serie televisiva targata Hbo, "Luck", una specie di "The Sopranos" ambientato nel mondo delle corse, dominato dalla presenza attoriale di due mostri sacri come Dustin Hoffman e Nick Nolte, ed una serie di progetti da realizzare per il cinema, tra cui una storia ambientata in un Medioevo ricostruito secondo una prospettiva interna a quel periodo. La consacrazione è ancora lungi dall'essere un commiato.