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Intervista a Emiliano Corapi

Il resoconto dell'incontro con Emiliano Corapi, nelle sale con "Sulla strada di casa", biglietto da visita di un giovane regista ma anche l'occasione per fare il punto sullo stato delle cose del cinema italiano

L'intervista è una questione di fiducia e di generosità. Complicato da fattori che gli sono estranei, il confronto verbale ha bisogno di un accordo sotterraneo, di un'alleanza stipulata all'insaputa del mondo in grado di unire gli interlocutori in un patto di reciproco scambio. Una danza tribale di idee, ragionamenti ed interpretazioni che ha bisogno del cuore per poter arrivare. Nell'incontro con Emiliano Corapi, regista esordiente in questi giorni nelle sale con "Sulla strada di casa", quest'occasione si è verificata per una serie di circostanze organizzate dal caso. La genesi del film, le difficoltà nel realizzarlo si accompagnano alla consapevolezza di aver raggiunto le proprie aspettative.

Sulle note biografiche ho letto che sei laureato in giurisprudenza. Mi viene quindi da pensare che il cinema è stato nella tua vita una specie di rivoluzione, un cortocircuito capace di cambiare il corso delle cose. Mi potresti raccontare com'è avvenuto questo incontro?

Provengo da una famiglia di avvocati e questo spiega quegli studi. Dopo la laurea ho realizzato il mio primo cortometraggio, autoprodotto utilizzando una troupe di non professionisti. Il risultato è stato così apprezzato da spingermi a realizzarne un secondo che è stato invitato al Sacher Festival di Moretti del 1997. Il cortometraggio è stata la misura del mio cinema anche per quanto riguarda le successive produzioni. Uno di questi, l'ultimo della serie, vincitore di molti premi, si intitolava "La porta chiusa" e tra gli attori annoverava Fabrizio Rongione, già attivo con fratelli Dardenne ed ora presente con una piccola parte anche nel mio ultimo film. Al termine delle riprese Fabrizio fu così soddisfatto della nostra collaborazione da incitarmi a continuare in quella direzione. A seguire ho realizzato la puntata pilota di "Raffinati"(2009), una serie mai realizzata nonostante le buona accoglienza ricevuta al Roma Fiction Festival del 2009.
Mi sono avvicinato al cinema da autodidatta, caratteristica non rara nel nostro cinema, basti pensare a Matteo Garrone, ma ciò non toglie che prima di girare ho studiato tanto, mi sono documentato, ho parlato con tecnici ed addetti ai lavori. Stanley Kubrick diceva che per imparare a fare un film bisogna farne uno: penso che questa frase riassuma perfettamente la mia esperienza.

Riagganciandomi al tuo film e prendendo spunto dalle difficoltà economiche affrontate da Alberto, un imprenditore che diventa corriere della malavita organizzata per ripianare un bilancio della sua azienda, ti chiedo quali sono state le problematiche che hai affrontato come regista di una produzione indipendente.

Le difficoltà che ho incontrato sono connaturate alla condizione del panorama distributivo italiano, monopolizzato da un numero ristretto di interlocutori che dimostrano scarso interesse nei riguardi delle opere prime. Medusa per esempio realizza quasi esclusivamente commedie o film di grandi autori, mentre si mantiene lontana da investimenti su prodotti non collaudati. Questo vuol dire che se anche trovi i fondi, rischi di non realizzare il tuo film perché la mancanza di un distributore gli impedirebbe di arrivare nel circuito. Ho finito di scrivere "Sulla strada di casa" nel 2006 poi dopo aver cercato di ottenere i finanziamenti pubblici per circa due anni ho trovato dei produttori giovani (la Marvin film di Andrea Petrozzi) che credevano nel film ed avevano voglia di farlo. Così è nato il film.

"Sulla strada di casa" il tuo lungometraggio d'esordio è innanzitutto un film di genere che nella sua tensione drammatica si sviluppa come un vero e proprio thriller, tanto nelle logiche di causa ed effetto quanto nella presenza della componente irrazionale che nel film produce più di una sorpresa. Ti posso chiedere cosa ti ha portato alla scelta di questa forma cinematografica e quali sono state le sfide per realizzarla, anche in termini di scrittura?

La storia è partita dalla suggestione di un articolo di giornale che spiegava come la malavita organizzata facesse ricorso a persone incensurate per realizzare i propri traffici. I corrieri erano persone del tutto estranee a quella cerchia ma decisi a compromettersi per ripianare una situazione finanziaria fallimentare. Quello che mi aveva colpito in una notizia non certo originale era il tentativo di capire come una persona normale potesse assumersi un rischio così grande per far fronte a difficoltà di tipo economico. A quel punto il film ha iniziato a svilupparsi utilizzando le forme del thriller, a cui poi ho cercato di dare uno spessore drammatico che andasse oltre gli stereotipi del film di genere, che riuscisse ad evaderne gli stilemi classici. La mia storia parla di come sia difficile rimanere integri, restare ancorati ai propri valori in un mondo dove le sollecitazioni spingono nella direzione opposta. Viviamo in un periodo dove è sempre più complicato distinguere tra bene e male, e dove la parte più debole è quella maggiormente sollecitata. I due personaggi della mia storia sono uomini che imboccano una strada che non gli appartiene, e che li porta lontano dalla loro essenza. L'evolversi degli eventi costituirà per loro una presa di coscienza sulle conseguenze di quella scelta. La struttura doveva essere necessariamente legata al genere ma da sola non sarebbe bastata a dare senso al film che volevo fare. Per quello era necessario argomentare i personaggi ed i loro drammi. In questo senso "Sulla strada di casa" assomiglia in termini di operazione al film di Paul Haggis "Nella valle di Elah" (2007): anche quello parte da una struttura di genere, con l'indagine del padre per ritrovare il figlio misteriosamente scomparso per poi trasformarsi in un dramma sulla realtà di un paese che deve fare i conti con le conseguenze delle sue scelte politiche. La scrittura diventa fondamentale ma per me non è una novità. Io mi considero da sempre uno sceneggiatore e poi un regista. Sono due espressioni del mio lavoro che convivono sullo stesso piano d'importanza. Se poi sia possibile individuare una matrice autoriale in quello che faccio lo lascio giudicare a voi.

Nel film il reale è la caratteristica fondante dal quale deriva tutto il resto. I personaggi e le loro azioni partono sempre da un principio che prende spunto dagli aspetti della nostra quotidianità. Eppure la storia riesce a superarla restituendoci soprattutto la progressione emotiva e la paura che attanaglia tutti i protagonisti del tuo film. Ti voglio chiedere come hai fatto, anche dal punto di vista tecnico a far convivere il paesaggio geografico con quello interiore, a non far scontare al secondo la presenza del primo.

Effettivamente il reale è l'impasto del film. Da quello sono partito per rendere i personaggi dal punto di vista emotivo. Da ciò deriva per esempio la scelta di utilizzare spazi poco battuti e non convenzionali, adatti nella loro eccezionalità a materializzare lo stato di solitudine dei personaggi. Oppure luoghi che potessero commentare un determinato momento del film: così la discesa del garage che la macchina di Alberto percorre per raggiungere il bunker del boss diventa la rappresentazione dell'abisso in cui si sta per calare. Ed anche il resoconto del G8 di Roma trasmesso dall'autoradio mi serviva per significare come il mondo continui a scorrere rispetto ai nostri drammi personali, di come tutto diventi secondario, rispetto a ciò che stiamo vivendo. Dal punto di vista tecnico ho utilizzato macchina mano e digitale, con una messinscena realistica, fatta di fotografia senza effetti, uso di luci naturali, recitazione naturalistica.

Su queste scelte, peraltro efficaci, quanto hannoluci influito le ristrettezze del budget?


Di certo avere più soldi aiuta, soprattutto perché ti consente di avere più tempo per girare. Tieni conto che io non avevo nessun budget da dedicare alla scenografia. Ed anche il digitale che ho usato non era di primissima scelta quindi certamente avere più risorse mi avrebbe fatto comodo, ma il film che ho fatto è esattamente quello che volevo io. In più ho trovato il supporto di attori magnifici che insieme ai tecnici hanno accettato di collaborare non dico a costa zero ma quasi. Sono stato fortunato rispetto a molti colleghi che non riescono ad emergere nonostante il talento e la preparazione.

In un panorama cinematografico scarsamente emotivo "Sulla strada di casa" rappresenta un caso più unico che raro per la verità delle emozioni che riesce a trasmettere.

Quello che mi dici mi fa molto piacere perché la resa emotiva era uno degli scopi che mi prefiggevo. Devo dire che ci sono riuscito grazie alla bravura ed alla generosità dei miei attori, i quali tutti quanti, anche quelli che hanno lavorato in ruoli di seconda fila hanno saputo infondere questo spirito al film. Certamente è importante anche che il regista abbia voglia di raffrontarsi con la sfera emotiva, che si senta a suo agio nel trattarla. In questo senso io non ho avuto alcun problema.

Gli attori sono stati fondamentali, e si vede che hai lavorato sia nel senso della resa interpretativa che in quella estetica, mi riferisco ai dettagli con cui hai curato il personaggio di Alberto, per esempio, gli occhiali, i capelli ben ordinati, la sobrietà dei vestiti. Dettagli che contribuiscono ad inquadrare il carattere dei vari personaggi. Nel constatare la pregevolezza del tuo lavoro mi viene da pensare che una delle tue qualità come regista sia quella della direzione attoriale: è così? E poi avendo diverse prime donne mi puoi dire in che maniera ti sei rapportato con loro: hai proposto loro un metodo, li hai lasciati improvvisare, oppure un insieme delle due cose, a secondo con chi avevi a a che fare.

Vinicio Marchioni veniva dalla serie televisiva di "Romanzo Criminale" dove aveva interpretato il freddo, uno dei leader della banda della magliana. Il ruolo del mio film rappresentava per lui una scelta completamente diversa. Una sfida ed un rischio al tempo stesso. Per far uscire il personaggio abbiamo lavorato molto sui particolari. E' vero quello che dici quando ti riferisci al taglio di capelli, alla foggia dei vestiti ma soprattutto agli occhiali che contribuiscono molto a definire il personaggio. Ne abbiamo scartati un infinità prima di trovare quelli giusti. In questo senso nulla è stato lasciato al caso.

Per quanto riguarda la direzione attoriale mi fa piacere rispondere a questa domanda perché ritengo che non ci sia un unico modo. Ogni attore è un mondo a parte, non solo dal punto di vista caratteriale ma anche di metodo. Inoltre ci sono delle distanze che l'attore stabilisce ed alle quali ti devi avvicinare con rispetto ed in maniera graduale. Il regista ha in mente il punto di arrivo ed il suo compito consiste nell'armonizzare le diversità in un unicum capace di rispondere alle sue intenzioni. In questo senso ti posso dire che lavorare con questi artisti è stato coinvolgente ed anche impegnativo. Grazie a loro penso di essere riuscito ad ottenere ciò che mi prefissavo

Hai un regista di riferimento?

Innanzitutto è giusto affermare che io vedo di tutto. Dopo di che non ho un regista preferito ma una lista di film che amo e di cui non saprei dire qual è quello che preferisco. Nel rispondere a questo tipo di domanda mi accorgo di dimenticarne sempre qualcuno quindi preferisco evitare di fare dei nomi. Posso dirti però che Martin Scorsese è l'autore che ho guardato di più. Mia moglie dice che sono ossessivo perché ci sono film che torno spesso a guardare e su cui ogni volta mi soffermo ad analizzare le singole scene.

Puoi dirmi qualcosa dei tuo progetti futuri ?

Sto partecipando alla stesura di diverse sceneggiature tra cui anche quella di un regista esordiente. Per quanto mi riguarda sono un vulcano di idee. Ne accumulo sempre tante ed ogni occasione è buona per mettere giù un idea od un soggetto. Tra queste troverò sicuramente quella più adatta per il mio prossimo film. L'attualità è pero ancora interamente occupata dalla promozione del film che la prossima settimana uscirà tra l'altro a Napoli ed a Milano, al cinema Mexico che portò fortuna a "Il vento fa il suo giro" di Giorgio Diritti. Spero che succeda altrettanto con il mio film.





Intervista a Emiliano Corapi