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In occasione della messa in onda su Rai Movie della nuova versione restaurata, ripercorriamo l'infernale vicenda produttiva del capolavoro maledetto di Michael Cimino, il film che ha indelebilmente cambiato l'industria cinematografica americana.


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C'era una volta Erich von Stroheim, l'uomo che amavamo odiare. E c'erano una volta i suoi capolavori perduti, "Greed" su tutti, mutilati da produttori spaventati. Ci piace pensare che fossero crudeli e votati al solo profitto, che non seppero vedere la grandezza al di là del proprio naso e che cacciarono l'Autore dal Giardino dell'Eden degli studios, creando, all'interno del dorato solco del cinema statunitense, la figura mitica dell'Artista iconoclasta soggiogato dall'Industria ignorante e avida. C'era un'altra volta Orson Welles, il wonder-boy  del teatro, della radio e del cinema americano degli anni Trenta e Quaranta, rinnegato dalla RKO dopo il successo di "Quarto potere" e da allora perso tra l'Europa e gli Stati Uniti, umiliato da tagli a sua insaputa, budget ridicoli e costretto a sforzi sovrumani per poter portare a termine i propri progetti.
 
C'era una volta, poi, Michael Cimino. E c'era una volta, e c'è ancora, "I cancelli del cielo" ("Heaven's Gate"), "il film che ha fatto fallire la United Artists", "il più grande flop della storia del cinema", "il film che ha chiuso con uno schianto l'esperienza della new wave del cinema americano degli anni Settanta". Di queste tre affermazioni, divenute proverbiali, probabilmente è solo l'ultima ad avvicinarsi davvero alla verità: le altre sono poco più che leggende, semplificazioni nate e sfruttate per giustificare l'irrazionale vicenda di un sistema andato completamente fuori controllo. Forse parlare di Michael Cimino e de "I cancelli del cielo" partendo da Erich von Stroheim e Orson Welles è altrettanto improprio e semplicistico: ma confrontare i destini dei due con quello di Cimino è utile anche a evidenziare i punti discordanti esistenti nelle rispettive vicende professionali. La storia de "I cancelli del cielo" non è la storia di un capolavoro martoriato da un'industria incapace di riconoscere il Genio: è una semplice storia di umana hybris, di decisioni sbagliate prese nel momento sbagliato, di perfezionismo portato all'eccesso.
 
Una storia da ripercorrere alla vigilia di un piccolo evento televisivo: sabato 6 settembre 2014, nel giorno di chiusura della 71° Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, il canale Rai Movie trasmetterà "I cancelli del cielo" nella versione definitiva restaurata nel 2012 (e presentata, due anni or sono, in prima mondiale dalla Mostra veneziana in presenza del regista). Per la prima volta, però, questa versione integrale di circa 220 minuti sarà presentata con il doppiaggio italiano realizzato nel 1981 sulla base di un rimontaggio più breve del film, grazie al certosino lavoro di edizione curato da Alberto Farina, consulente alla programmazione del canale, che andremo a intervistare. 



I cancelli dell'inferno

I have had enough rejection for 33 years, I don't need more. Being infamous is not fun.
(Michael Cimino - Venezia, 30/8/2012)


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È il 26 giugno 1980. Michael Cimino è ancora il regista pluripremiato de "Il cacciatore", eppure i ritardi nella realizzazione del suo nuovo film, per il quale la United Artists ha concesso completa carta bianca nel tentativo di bissare, se non superare, gli esiti artistici e commerciali del predecessore, hanno gettato su di lui una luce sinistra che lo vorrebbe un uomo capriccioso e intrattabile e un regista succube della propria visione artistica, incapace di gestire il cospicuo budget affidatogli. È il giorno in cui, dopo otto mesi in sala di montaggio, Cimino mostra agli executives della United Artists il primo montaggio del suo nuovo film, "Heaven's Gate": 5 ore e 25 minuti di durata complessiva, a fronte di un impegno contrattuale che limita la durata della pellicola entro le tre ore. È evidente che qualcosa è andato storto: la stampa americana, di settore e non, ha già i coltelli affilati, pronti a colpire un capro espiatorio, bersaglio facile a causa di un successo personale (quello de "Il cacciatore") sperperato in eccessi smisurati difficili da giustificare - le incontrollate voci dal set hanno raccontato di scene girate oltre 50 volte, di set abbattuti e ricostruiti a grandezza naturale, di crudeltà sugli animali coinvolti e di chilometri di pellicola di girato.  
Steven Bach, delegato alla produzione della United Artists ricorda: "Gli ho chiesto: 'Quanto siamo vicini a un final cut?' Mi rispose: 'Sì, è un po' troppo lunga, potrei accorciarla di una quindicina di minuti.' [...] La sequenza della battaglia, da sola, raggiungeva la lunghezza di un intero film. Ero arrabbiato. La società era in completo subbuglio; [...] per questo film si era esposta, agli occhi dell'intera industria, come mai nessun'altra. La segreta speranza che il film si rivelasse un capolavoro, e che giustificasse tutto quanto era accaduto fino a quel momento, era svanita di colpo." Cimino rientra in sala di montaggio venendone fuori, a ottobre, con una versione dalla durata di circa 220 minuti. Incredibilmente, nessun membro della United Artists riterrà necessario visionare il nuovo montaggio del film.

La settimana che segnerà indelebilmente la vita e la carriera di Michael Cimino, del suo film, e dello studio che l'ha finanziato, comincia martedì 18 novembre 1980: il giorno in cui il già famigerato "Heaven's Gate" viene mostrato in anteprima a New York, il giorno prima di un'uscita nelle sale in limited release propedeutica alla possibilità di concorrere agli Oscar dell'anno successivo. Il disastro atteso e preannunciato finalmente ha luogo: la reazione della stampa è talmente violenta da essere senza appello. Tra tutte, resta celebre la recensione di Vincent Canby, pubblicata sul "New York Times" del giorno dopo: "'I cancelli del cielo', che esordisce oggi al Cinema One, è un fallimento così totale che si potrebbe sospettare che  Cimino abbia venduto l'anima al diavolo per ottenere il successo de "Il cacciatore" e che ora il diavolo sia passato a riscuotere"; "la visione del film è paragonabile a una camminata forzata e lunga quattro ore all'interno di un salotto"; "un disastro inqualificabile". Gli incassi sono desolanti: è la fine commerciale del film. 

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Cimino non si dichiara sconfitto. In uno scatto di orgoglio scrive una lettera (pubblicata il 24 novembre da "Hollywood Reporter") al capo dello studio, Andy Albeck, chiedendo la possibilità di ritirare il film dalle sale per dargli una nuova opportunità grazie a un nuovo montaggio: "Tanta energia, tempo e denaro sono stati spesi nella realizzazione de 'I cancelli del cielo', perciò ti chiedo di ritarare temporaneamente il film dalla distribuzione, in modo che possa presentare al pubblico un film realizzato con la stessa cura e impegno con i quali l'abbiamo cominciato. Sono consapevole delle difficoltà emotive e delle numerose complicazioni di un gesto così anomalo, ma credo che tutti abbiamo imparato una preziosissima lezione dalla prima proiezione pubblica del film. Sono motivato a fare il possibile, per far sì che 'I cancelli del cielo' possa esser visto dal più vasto pubblico nel mondo." La stampa, ancora una volta, si scatena. Ammesso il fallimento, dichiarata la disponibilità a compiere un ennesimo tentativo pur di salvare il film dal baratro, il suicidio artistico di Michael Cimino è compiuto: è una neanche troppo implicita ammissione che la stampa ha ragione. A shock ancora fresco, Albeck viene prevedibilmente silurato dal ruolo di Presidente della UA: è il dicembre 1980 e Cimino ha appena rimesso piede in sala di montaggio. 
 
Serve, a questo punto, una breve descrizione di cosa fosse e di cosa fosse diventata la United Artists in quegli anni, per capire anche gli avvenimenti immediatamente successivi al crollo di Cimino e de "I cancelli del cielo". Fondata come noto nel 1919 da star come Mary Pickford, D.W. GriffithCharlie Chaplin e Douglas Fairbanks, la United Artists nel 1951 era stata salvata dalla chiusura da due avvocati già attivi nel mondo cinematografico, Arthur Krim e Robert Benjamin. Sotto la loro guida, lo studio vive il periodo più luminoso della propria storia, culminato, nel trienno 1975-77, con la vittoria consecutiva di tre Oscar come Miglior film (con "Qualcuno volò sul nido del cuculo", "Rocky" e "Io e Annie"). Nel 1967 la società era stata venduta alla Transamerica Corporation, una compagnia assicurativa: è l'epoca in cui si formano grandi conglomerati, e gli studios cinematografici diventano facili prede di compagnie lontanissime dal loro business. Krim e Benjamin andranno via nel 1978 sbattendo la porta, in aperta polemica con la proprietà dalla quale avrebbero voluto riacquistare lo studio: fonderanno la Orion Pictures; la UA verrà affidata a Albeck, un uomo scelto, ironia della sorte, per la sua capacità di razionalizzare i costi (Steven Bach: "Andy Albeck non era un tipo da show business: questo era chiaro.") È in questo contesto che cresce e divampa il disastro de "I cancelli del cielo", con un nuovo management appena insediato (responsabile, a onor del vero, anche di "Toro scatenato", "Rocky II" e "Rocky III", "Manhattan", i due Bond "Moonraker" e "Solo per i tuoi occhi" e della sola distribuzione dell'altrettanto pericoloso "Apocalypse Now") desideroso di fare il colpo grosso con il regista più quotato del momento, ed è qui che va inscritta la via d'uscita di Transamerica dalla UA, dopo l'infamante eco, non c'è dubbio, generata dal film.

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Aprile 1981. Il nuovo presidente della United Artists, Norbert Auerbach, mostra un ottimismo di facciata: "Non siamo preoccupati. Le nostre ricerche ci dicono che gli spettatori abituali hanno reale interesse per 'I cancelli del cielo'. Conoscono il film senza ricordarne tutti gli aspetti negativi che lo hanno riguardato." ("The Schenectady Gazette", 2 aprile 1981) A Los Angeles, a fine mese, viene presentato in una nuova premiere, il nuovo "I cancelli del cielo" rimontato da Cimino. Due ore e mezza che non cancellano né risolvono i problemi della precedente versione, semmai li amplificano. Questa volta il film finisce per essere troppo compresso, perdendo il respiro epico della precedente versione, in un goffo tentativo che, pur alterando fortemente il montaggio delle scene (che vengono anticipate o posticipate) non mutano il ritmo del film, ma finiscono con l'appesantirlo con improvvise e isolate narrazioni fuori campo (come accade nel momento di transizione dal 1870 al 1890), o trasformando il tragico destino di Ella in un inatteso e "appiccicato" ricordo di James Averill in chiusura di film, venti anni dopo gli scontri di Johnson County. Impossibile salvare un pasticciato rimedio nato nel caos e figlio del tentativo disperato di salvare il film dal fallimento: il pubblico può finalmente disertare le sale su tutto il territorio nazionale, e i critici non faranno altro che registrare il totale insuccesso dell'operazione di salvataggio.
 
Un mese dopo, al Festival di Cannes, Auerbach, Cimino e il cast del film vengono gelati dalla notizia della vendita della compagnia, da parte di Transamerica, a una già traballante MGM. 320 milioni di dollari in tasca per salutare per sempre il mondo dello show business (nel 1967, Transamerica ne aveva spesi 185): il flop di "Heaven's Gate", in fondo, si è quasi trasformato in un affare! È proprio a Cannes che, però, comincia la lenta rimonta del film: in Europa, seppur in una versione che sarà presto disconosciuta dal proprio autore (alimentando il falso mito che prevede che la versione rimontata da circa 150 minuti non sia altro che una becera devastazione del film a opera dei "produttori"), "I cancelli del cielo" ottiene apprezzamenti e consensi, per lo sguardo non conciliante di Cimino nei confronti della storia del suo paese; per il ritmo ondivago, sognante, che avviluppa i quattro protagonisti, in particolare Averill, in una spirale di ricordi e ideali infranti; per l'indubbia bellezza delle scene fotografate da Vilmos Zsigmond.
 
In uno strano disegno del destino, l'affondamento della United Artists coincide con la timida rinascita del film dalle proprie ceneri. Agli atti restano i 44 milioni di dollari spesi tra costi di produzione e di promozione (recuperati in borsa dal gigante Transamerica nel giro di pochi giorni) e i 3 milioni di incasso complessivo nel mondo.


Il paradiso riconquistato

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La rinascita del film comincia nel 1982, a due anni di distanza dal crollo newyorkese di Cimino e del film, e a un solo anno da quello della UA: la rete via cavo Z Channel, tra gli anni Settanta e Ottanta vero baluardo televisivo per cinefili, recupera e propone la famigerata versione da 220 minuti, consentendo al pubblico americano di riscoprire il film, o meglio, quasi di scoprirlo per la prima volta, vista la limitata circolazione prima dell'affrettato ritiro dalle sale. Nasce (erroneamente, come abbiamo visto) il concetto di director's cut. A pochi mesi di distanza dalla messa in onda, la versione lunga sbarca al Lido di Venezia per essere proiettata nella sezione "Mezzogiorno-Mezzanotte" della Mostra di quell'anno. Tre anni dopo è ancora l'Italia a interessarsi al film: i telespettatori italiani saranno i primi in Europa ad assistere all'"inqualificabile disastro" lungo quattro ore di Michael Cimino: merito di Enrico Ghezzi, di Raitre e di una "Magnifica ossessione" nata per celebrare i novant'anni dalla nascita del cinema.
Da allora, Cimino raramente ha commentato le vicende produttive e distributive del suo film maledetto: nel 1990, in occasione dell'uscita del suo remake di "Ore disperate", dichiarò: "Mi assumo la completa responsabilità per tutto. A ogni altra domanda è il film stesso a rispondere. [...] Sono convinto che se sei un pugile, e sali sul ring, non puoi lamentarti se poi vieni colpito."
Il 2012 vede finalmente la necessaria e attesa realizzazione di un nuovo restauro digitale del film. Per l'occasione, Cimino corregge dei problemi di mix audio, apportando due sostanziali modifiche alla versione originaria: qualche piccolo accorciamento (in particolare poco prima dell'intermission originario, che viene eliminato) e una nuova colorimetria, più naturalistica e capace di esaltare la bellezza del girato, ma che smussa i toni seppiati e sfumati tipici della fotografia di Vilmos Zsigmond di quegli anni. 
 
 
Nota: Tranne dove diversamente indicato, le citazioni riportate sono tratte dal documentario "Final Cut: The Making and Unmaking of Heaven's Gate" (2004) di Michael Epstein.



Fare di tutto per proporre i film nella miglior versione possibile. - Intervista ad Alberto Farina

Alberto Farina, critico cinematografico, storico del cinema, spesso traduttore, è consulente per il palinsesto di Rai Movie, e ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande riguardo il lavoro svolto sull'opera di Cimino.


Ciao Alberto, ci racconti qual è stata la genesi del progetto?
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Dunque, tutto parte dalla necessità per Rai Movie, il canale per cui lavoro come consulente per il palinsesto, di alimentare l'appuntamento del lunedì con il cinema western che abbiamo inaugurato a settembre 2011 e che prosegue ancora oggi con notevole successo. Nella periodica valutazione dei listini delle major, alla ricerca di titoli che giudichiamo utili alla programmazione, un bel giorno scopriamo che nel catalogo MGM è disponibile "Heaven's Gate". Un titolo del genere non potevamo farcelo sfuggire, però mi è stato subito chiaro che occorreva prestargli particolare attenzione, perché era impensabile - soprattutto per un canale come il nostro - programmare la versione corta quando ormai da anni ne circolava una più completa e vicina al progetto originario. Sono andato da Enzo Sallustro, da sempre l'anima creativa del canale, e gli ho detto più o meno: "Se compriamo il film di Cimino dobbiamo essere pronti a fare un lavoro certosino di ricostruzione per assicurarci di trasmettere la migliore versione disponibile." Enzo non ha esitato a darmi il via libera e così abbiamo inserito "Heaven's Gate" nella lista dei desiderata del successivo acquisto dalla MGM.
I tempi di queste cose sono sempre abbastanza lunghi, e solo molti mesi dopo la nostra richiesta l'acquisto è stato perfezionato e ci è stato comunicato che il film era disponibile per la messa in onda. A quel punto ho chiesto di vedere la copia e ho scoperto quello che mi aspettavo: ossia che la MGM ci vendeva i diritti del film ma si aspettava che utilizzassimo la copia già presente nell'archivio della Rai. Che non solo era una copia della versione theatrical da 149 minuti, ma era anche stata realizzata col famigerato pan&scan, ossia riquadrando il rapporto 1:2,35 del Panavision originario (ancora più ampio del 16/9 cui oggi siamo abitati) a quel 4/3 che per anni ha costituito lo standard delle trasmissioni televisive, troncando quasi il 50% dell'immagine ai lati dell'inquadratura. 
Impensabile riproporre oggi quella roba, così a questo punto è partita la crociata vera e propria. Alla MGM abbiamo detto che volevamo trasmettere la versione da 219 minuti, insistendo anzi per ottenere quella presentata l'anno scorso alla Mostra di Venezia, leggermente ritoccata da Cimino nel montaggio e restaurata per restituirne la ricchezza visiva originaria eliminando quel tono leggermente seppiato che si era visto anche nelle precedenti ricostruzioni. 

Com'è nata l'esigenza di risincronizzazione della traccia italiana sulla nuova versione restaurata?
Alla MGM ci hanno inizialmente detto che erano desolati ma che quel materiale non lo avevano. Noi abbiamo continuato a tempestare fino a quando abbiamo scoperto che in realtà quella copia era disponibile eccome... solo che non ce l'avevano in italiano e, sapendo che in Italia il pubblico televisivo ancora non accetta di buon grado i film sottotitolati, davano per scontato che non ci interessasse. Chiarito l'equivoco, gli abbiamo spiegato che avremmo provveduto noi a utilizzare il doppiato italiano del 1981 là dove fosse possibile sovrapporlo alla director's cut, e che per le scene non presenti in quella versione avremmo fatto ricorso ai sottotitoli.

Non avreste potuto semplicemente trasmetterla in lingua originale sottotitolata?
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Impensabile. Un paio d'anni fa provammo a lanciare in prima serata un ciclo di una decina di film americani in versione originale con sottotitoli. Fu un disastro: in media gli ascolti erano meno di un terzo di quelli abituali. Il problema è che a parole sembra che tutti vogliano la versione originale ma poi, nell'intimità della propria casa, la stragrande maggioranza del pubblico non ha alcuna voglia di fare quel minimo sforzo necessario a seguire un film nella lingua in cui è stato girato. Solo che anche un canale come Rai Movie, che può vantare un discreto seguito di cinefili dai gusti anche abbastanza sofisticati rispetto alla media, non può scendere sotto determinati e ben precisi livelli di share - perché l'alternativa, semplicemente, sarebbe la chiusura. Se avessimo dovuto trasmettere "Heaven's Gate" in versione originale saremmo stati costretti a collocarlo non dico in seconda serata ma, addirittura, in terza... cosa che, peraltro, aveva fatto per primo anni fa Enrico Ghezzi a "Fuori Orario". Però "Fuori Orario" è uno spazio destinato solo a cinefili accaniti e disposti a fare le ore piccole - o quantomeno a registrare i film per vederseli con calma. A me sembrava necessario proporre un film così importante anche agli spettatori sempre più numerosi che, in questi ultimi tre anni, hanno dimostrato di apprezzare il grande cinema western in prima serata.

Cos'hai scoperto confrontando le due edizioni, il theatrical cut e il director's cut definitivo?
Guarda, quando ho scoperto quanto complesso fosse davvero il lavoro che mi ero sobbarcato mi sono venute le vertigini. Ero convinto che le differenze fra una versione e l'altra si limitassero alla presenza di un certo quantitativo di scene in più. Pensavo: "E che ci vuole, se una scena della director's cut sta nella versione theatrical prendo il doppiato dalla theatrical e lo accoppio alla director... se non c'è vado di sottotitoli e ciao". Poi la MGM finalmente mi ha mandato la director's cut e io mi sono messo lì a guardarla simultaneamente alla theatrical... e mi ha quasi preso un colpo! Stavo lì in ufficio, con due copie dello stesso film su due schermi affiancati di due diversi computer e ho scoperto che le cose stavano molto peggio del previsto. Sì, è vero, qualche scena presente nella versione theatrical era quasi uguale alla stessa scena nella director's cut... ma "quasi uguale" non vuol dire "uguale": in moltissimi casi, ogni "stacco" della versione corta era leggermente più breve che nell'originale, per cui l'unico modo di mettere a sincrono il dialogo doppiato era lavorare frase per frase.
E questo era solo l'inizio: all'interno della stessa scena, da una versione all'altra cambiava spesso proprio il montaggio. A una battuta seguiva un controcampo diverso. Altre scene erano state ricollocate all'interno del film e, in almeno un caso, smembrate in due scene diverse. Per esempio la scena in cui Christopher Walken risparmia la vita a un giovane ladro di bestiame e poi ha un alterco con un collega: nella theatrical cut compare a circa 15 minuti di film... ma nella director's cut arriva a un'ora e 53 minuti... e poi viene interrotta, e la parte del litigio col collega la ritroviamo quasi un'ora dopo! [1] 

Era già prevista la collocazione nel periodo legato al Festival di Venezia, a seguito del restauro presentato nel 2012?
In realtà no, inizialmente l'idea era di proporre il film all'interno dell'appuntamento western del lunedì: solo attorno allo scorso luglio, nel preparare il palinsesto per i giorni della Mostra, si è deciso di realizzare una selezione composta esclusivamente da film presentati nel corso di una delle edizioni passate del Festival. A questo punto ci è piaciuta l'idea di aprire e chiudere la rassegna veneziana con due film maledetti recentemente restaurati e proposti dalla Mostra nelle sezioni retrospettive: "Heaven's Gate" e "Sorcerer" di Friedkin, di cui abbiamo trasmesso, in apertura Festival, una copia spettacolosa che ha avuto risultati di ascolto al di là delle aspettative.

Ci spieghi più nel dettaglio qual è stato il processo di sincronizzazione e montaggio?
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Per essere sicuro di trovare la posizione giusta per ogni battuta italiana disponibile, ho deciso di partire dalla director's cut, ossia della copia che avevo intenzione di trasmettere. Ho stampato tutto il dialogo su un fascicolone di quasi ottanta pagine che ho usato come un vero e proprio shooting script. Con questo librone in mano mi sono riguardato tutta la versione breve (theatrical) in italiano, annotando via via il timecode di ogni singola battuta italiana e trascrivendola, sulla sceneggiatura, accanto alla posizione corrispondente - annotando anche il timecode che la battuta avrebbe dovuto avere nella director's cut. Questo lavoro me lo sono fatto a casa mia.
 
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Nel frattempo cercavo di capire dove si potesse poi fare l'accoppiamento vero fra immagini e suono e, dopo qualche tentativo, ho capito che la cosa migliore era farlo presso la sede Rai di via Asiago, quella che chiamano "Radiofonia" perché ospita principalmente le strutture della radio, ma che in realtà si occupa anche di moltissimo materiale televisivo, fra cui i doppiaggi in italiano delle serie straniere. Li avevo conosciuti proprio seguendo l'edizione italiana della serie western "Hell on Wheels", che Rai Movie sta trasmettendo in prima assoluta per l'Italia e mi sono reso conto che erano gli unici che potevano aiutarmi a completare il lavoro in tempi che, dai e dai, erano divenuti abbastanza stretti, anche perché incombevano agosto e le ferie. Grazie a Gaetano Di Buono sono riuscito ad avere i turni necessari con un preavviso di una sola settimana e abbiamo finalmente affrontato un lavoro che si è articolato in tre fasi.

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La prima, in sala montaggio, consisteva nel risincronizzare tutte le battute italiane della theatrical sulle immagini della director's cut. Partivamo dal mio malloppone di appunti ma ci sono voluti due o tre giorni, anche perché la persona con cui lavoravo, Mariangela Gabrielli, era pignola quanto me se non peggio. Non hai idea delle volte che abbiamo dovuto spostare una battuta di tre, due e magari anche solo di un fotogramma perché il labiale non era perfetto.
Completata questa prima versione, mi sono spostato al mix dove, con Alessia Colletta, abbiamo cercato di dare alla versione finale un bilanciamento acustico adatto alla trasmissione televisiva. Per fare questo, abbiamo combinato il mix italiano originale con il mix della colonna "musica/effetti" fornitoci dalla MGM, che include tutto l'audio del film con l'eccezione dei dialoghi. 

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Il problema è che del doppiaggio italiano avevamo solo una versione mixata e che, da una versione all'altra, ad alcune scene Cimino aveva deciso di togliere la musica. Ad esempio, tutto il dialogo fra Kristofferson e la Huppert in riva al lago aveva come sottofondo, nella versione italiana theatrical, il suono di una chitarra, che nella versione director's cut era stato del tutto eliminato. Nel montaggio della scena nel director's cut, però, ogni singolo stacco era leggermente più lungo ed era quindi impossibile usare direttamente il mix italiano. Ci siamo resi conto, quindi, che ogni volta che un personaggio apre bocca si sente inevitabilmente anche il suono della chitarrina, che sparisce appena il personaggio smette di parlare. Ci siamo arrovellati non so quanto su questo problema e alla fine Alessia ha fatto di tutto per convincermi a rinunciare all'audio italiano per quella scene e sottotitolare tutto... Ma a me sembrava importante anche che questo lavoro potesse favorire gli appassionati di cinema che magari si chiedono quali battute fossero state doppiate e quali tagliate dalla versione theatrical. Ho deciso di prendermi io la responsabilità di una imperfezione nel mix, per cui nella versione del lago si sentirà ancora la chitarrina sotto le battute italiane e il silenzio sotto quelle in inglese. Ad Alessia ho promesso che mi prenderò sempre io la colpa se qualcuno avesse qualcosa da eccepire! 

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L'ultima fase del lavoro è stata quella dei sottotitoli. Qui la MGM non ci ha fornito alcun materiale in alcuna lingua e anche in questo caso ho dovuto occuparmene direttamente. Sempre partendo dalla "sceneggiatura" ho ritradotto una per una tutte le battute mai doppiate in italiano e poi, con Sergio Lai, li abbiamo collocati al loro posto. Penso che il lavoro abbia richiesto almeno una settimana di lavorazioni - ma sono orgoglioso di poter sottolineare che tutto è stato realizzato con risorse interne alla Rai.
 
 
Come mai la MGM non ti ha fornito direttamente un master già localizzato per il mercato italiano?
Questo lo ignoro. Posso solo immaginare che nessuno abbia ritenuto di poter giustificare economicamente lo sforzo necessario per creare una versione italiana. Mi piace pensare che il frutto di questi mesi di lavoro possa portare un seppur minuscolo contributo a dimostrare l'importanza che ha ancora senso parlare di servizio pubblico.

È la prima volta che ti occupi di un lavoro del genere?
A questi livelli di impegno sì... molti anni fa avevo aiutato un amico per certi adattamenti di "Law & Order" e in tempi più recenti avevo verificato io i sottotitoli italiani per quello sfortunato ciclo in versione originale di cui parlavamo prima e poi anche per un'altra impresa filologica di Rai Movie -  la ricostruzione di una versione italiana della versione integrale di "Vite vendute", il capolavoro di Clouzot di cui in Italia si era sempre vista solo un'edizione mutilata. Però in quel caso il lavoro era stato relativamente facile perché non c'erano stati ritocchi di montaggio: è bastato sottotitolare le parti mai doppiate in italiano.
 
Sei stato spinto in quest'ardua "impresa" dalla passione per Cimino o per questo film?
Curiosamente, il cinema di Cimino non è esattamente nelle mie corde. Penso che si sia trattato solo del bisogno di contribuire, nel mio piccolo, a offrire una nuova chance a un film che ha subito un destino veramente tragico. Se come me hai la passione del cinema, e il privilegio di averne fatto la tua professione, credo tu sia in dovere di fare di tutto per proporre i film nella miglior versione possibile. La storia di "Heaven's Gate" mi aveva colpito moltissimo fin da quando, agli inizi degli anni Ottanta, se ne era parlato con toni sensazionalistici su tutti i giornali prima e, poi, nel bel libro di Steven Bach "Final Cut", che ho finito di rileggere proprio di recente. Al di là dei suoi indubbi meriti, "Heaven's Gate" rimane un titolo spartiacque per la storia produttiva e artistica del cinema americano, un film che ha sancito la fine di quella libertà creativa che certi registi si erano conquistati fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta. È forse l'ultimo vero kolossal d'autore del cinema americano e meriterebbe di essere visto (o rivisto) anche solo per questo.
 
Sai se a seguito della messa in onda, la MGM intenda pubblicare questa inedita versione italiana dell'ultimo director's cut in BD/DVD anche in Italia, dove ancora oggi è disponibile un vecchio dvd spartano con la versione cinematografica?
Ad oggi, nonostante la collaborazione preziosa di alcune persone all'interno della MGM, non mi risulta che sia stato espresso alcun interesse per utilizzare il risultato del nostro lavoro. Per il momento sembrerebbe un'impresa destinata a restare un'esclusiva del pubblico di Rai Movie... oltre che di quel numero crescente di pirati che, poche ore dopo la prima trasmissione di qualsiasi cosa, provvedono a ridistribuirlo per canali più o meno legalmente reprensibili. 
 
Infine, una curiosità: conosci il butcher's cut realizzato amatorialmente da Steven Soderbergh pochi mesi fa? Se l'hai visto, cosa ne pensi?
Ne ho scoperto l'esistenza mentre facevo le ricerche preliminari per il lavoro di risincronizzazione, ma poi sono stato risucchiato dalla cosa e non ho ancora avuto il tempo né il coraggio di affrontarlo... penso che me lo sparerò volentieri dopo il 6 settembre! 
 
 
[1] Di seguito i link alla sequenza citata: 




I cancelli del cielo: il film che visse (almeno) tre volte