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Speciale - La guerra è dichiarata

“Sapete la differenza tra un chirurgo e Dio? Che Dio non crede di essere un chirurgo”. Aspettano questo Dio-chirurgo i genitori del piccolo Adam che a 18 mesi è travolto dalla malattia. E' un tumore al cervello, è maligno, può ucciderlo in un pugno di mesi ma può anche batterlo. Questa è la storia di una speranza sempre esplosivamente necessaria prima ancora che sempre possibile ed è la storia di due genitori, che si chiamano Romeo e Giulietta e che possono farcela. Che devono farcela.

“Perché è capitato a noi?” chiede Romeo. E Giulietta:”Perché noi siamo in grado di superarla”. Non perdete questa frase e portatela sempre in tasca con voi, potrebbe risultare utilissima. Come questo piccolo grande film “La guerra è dichiarata”, rivelazione alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2011, candidato della Francia per l'Oscar 2012, sei nomination nelle maggiori categorie dei César, il secondo lungometraggio di Valérie Donzelli è un’opera vitale, esplosiva, pop ed intensa, anche se parte dalla vicenda personale traumatica dei due protagonisti, lei stessa e l'ex compagno Jérémie Elkaïm, protagonista accanto a lei anche del film, nei panni di se stesso e accanto al loro vero figlio, Gabriel, protagonista di questa odissea anche nella vita reale.
 
Che cosa voleva raccontare, Valerie, prima di tutto in questo film che è un inno alla vita e una dichiarazione di guerra alla morte e alla malattia?
“Che la vita è un susseguirsi di prove più o meno gravi, più o meno dolorose, da superare. E, poco a poco, si scala la montagna. Tutto ciò che non ci uccide ci rende più forti. E non vale solo per casi estremi e disperati come quello he noi abbiamo vissuto e che somiglia ma non è esattamente la storia raccontata dal film. Di certo volevo fare un film pieno di ideali e di speranza e che non fosse affatto melodrammatico”.

Ma anche parlare della sua generazione e dei nostri figli?
“Diciamo che volevo mostrare una coppia di oggi, molto contemporanea. Mi piaceva che fosse lui a fare le pulizie di casa e a tenere il bambino mentre lei andava al lavoro. Sono una coppia in piena costruzione, che aspira a un ideale ma costretta a fare dei lavoretti “alimentari”. Volevo rimanere collegata alla mia generazione, parlare di ciò che conosco, di quello che vivo. Avevo anche voglia di raccontare come si viene sopraffatti dai propri figli. Adamo ha un tumore al cervello, cosa che i suoi genitori non hanno vissuto. Sono totalmente smarriti di fronte a una cosa del genere, possono solo accompagnarlo. E i genitori di Giulietta e Romeo sono a loro volta sopraffatti da ciò che vivono i propri figli, è un ingranaggio, una logica da matrioska. I nostri figli non sono un’estensione di noi stessi, sono degli individui, con il proprio vissuto. La coppia del film parte spensierata poi per la battaglia,per salvare il figlio, deve rinunciare al proprio essere coppia. E' unita ma dopo si divide”.
 
Per questo il film è per tutti, può parlare a tutti e tutti possono identificarsi al di là di ciò che si è vissuto?
“Per me l’essenza del cinema sta nel partire dal mio ombelico e fare uno zoom indietro per raccontare qualcosa di più universale: il rapporto con l’educazione, il fatto di essere genitori e di trovarsi confrontati a quanto di peggio possa succedere come avere un figlio tra la vita e la morte. Raccontare il proprio rapporto con la vita! Jérémie descrive il fatto che siamo riusciti a trasformare questa storia personale in un film, con una formula molto bella: “Ci siamo liberati della parte brutta per tenerci solo il bello”. Il film usa qualcosa che ho vissuto con tristezza per farne una cosa positiva, per questo ha avuto una lunga gestazione dentro di me, finché a un certo punto, ho capito che era giunto il momento di farlo”.




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