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La tecnica e l'esperienza - Incontro con Harvey Keitel

LOCARNO 69 - Abbiamo partecipato all'incontro pubblico con l'attore Harvey Keitel. Oltre alla cronaca dell'evento e a raccogliere una testimonianza diretta inusuale, un'occasione per un ripasso dei suoi ruoli più significativi

speciale_keitel_01"Imparare la tecnica è facile. Difficile è usarla in modo giusto". Forse in questa affermazione estrapolata dal lungo incontro pubblico con Harvey Keitel, attore iconico, avvenuto a Locarno nello Spazio Forum, c'è la chiave della sua arte recitativa. Incontro che inizia in modo informale e intimo, con Keitel che si rivolge calorosamente alle persone salutandole e poi regala la bottiglia della bibita del tavolo a una spettatrice. L'attore è rilassato e a suo agio e invita l'intervistatore a fare domande, dicendo sibillino: "Un'occasione del genere non l'avrete più", sorridendo sardonico.

Il lungo discorso sulla sua esperienza di attore inizia dalle origini e con il giovane Martin Scorsese alle prime armi.

"Il primo incontro con Martin Scorsese è stato divertente" racconta Harvey Keitel. "Martin mi invitò alla New York University perché voleva parlarmi di un progetto e mi diede un appuntamento. Andai al terzo piano e tutto era buio, in centro c'erano alcune persone che non conoscevo. Mi dissero: siediti, un paio di volte in modo brusco. Poi mi dissero: vedi quel corridoio? Percorrilo fino in fondo ed entra nella stanza. Io mi alzai, lo percorsi ed entrai in una stanza buia e c'era una persona dietro una scrivania, con una luce come in una stazione di polizia. Anche questo mi disse siediti, ma chiesi perché. Sapete, ero giovane e avevo fatto il militare (nei marines, ndr) e cominciavo a essere nervoso per questa situazione e mi misi a urlare e insultare l'uomo che continuava a dirmi di sedermi sempre con un tono più deciso e perentorio. Alla fine, quando lo stavo per prendere a pugni, entrò trafelato nella stanza un uomo che disse di fermarmi. Era Martin. Mi disse che era un provino. Era un'improvvisazione. Io gli dissi Martin, caspita, ma mi devi avvertire prima!" (ride, ndr).

Keitel inizia a lavorare con lui al primo film "Chi sta bussando alla mia porta?". "Usavamo l'appartamento di Martin per lavorare e girare alcune scene in interni a Little Italy" continua nel raccontare l'esperienza con Scorsese. "E c'erano i suoi genitori. Il padre, mentre torna a casa una sera per cena, cominciò a urlare: Che cazzo succede qui?, perché stavamo ancora girando e Martin che lo cacciava fuori dalla stanza perché dovevamo finire di lavorare" (sorride, ndr). Continua: "Poi lavorai ancora anni dopo in "Mean Streets" e in altri film con Martin ("Alice non abita più qui", "Taxi Driver", "L'ultima tentazione di Cristo", ndr).  Martin ha fatto lo stesso film per tutta la sua carriera, sempre con un'inclinazione spirituale, morale".

speciale_keitel_02Alle domande sulla differenza tra cinema americano ed europeo, Harvey Keitel si dice fortunato di aver "lavorato con grandi registi e talenti europei, specialmente quello Italiano e francese che hanno influenzato tutto il cinema mondiale. Mi è sempre piaciuto scoprire nuove realtà, fare nuove esperienze. M'interessava molto il cinema europeo e ad esempio avevo visto "L'orologiaio di Saint Paul" di Bertrand Tavernier e mi dicevo che questo era il tipo di regista con cui mi sarebbe piaciuto lavorare. E infatti, quando ebbi l'occasione, feci con lui "La morte in diretta". Ma ci sono tanti altri registi con cui ho lavorato e tra gli italiani Ettore Scola, Lina Wertmuller, Dario Argento, Paolo Sorrentino".

Keitel racconta come conobbe Quentin Tarantino. "Mi fu data una sceneggiatura da una mia amica ed era una delle più insolite che avessi mai letto: era una sorta di melodramma (Le Iene, ndr). Volli conoscere l'autore. Arrivò questo ragazzone a casa mia. Aveva una fame da morire, perché all'epoca non aveva da mangiare. Gli dissi di servirsi dal frigorifero e lo feci per due o tre volte. Poi smisi. Me lo svuotava regolarmente (ride, ndr). Comunque Tarantino è un uomo di una grande cultura, sa tutto e scrive benissimo".

Il periodo migliore e più prolifico per l'attore resta quello tra la fine degli anni 80 e gli anni 90.  Ha l'occasione della parte della vita che gli offre Abel Ferrara che vuole girare con lui "Il cattivo tenente". Keitel racconta: "Abel Ferrara aveva visto quello che avevo fatto e mi mandò una sceneggiatura di un film che voleva girare con me. Era sottilissima, saranno state dieci-quindici pagine in corpo 23, una roba illeggibile e la buttai nel cestino. Ero arrabbiato, poi ci pensai su per un po'. La andai a recuperare e la lessi con molta attenzione e mi accorsi che la mia parte era tutta da sviluppare, era tutta da scrivere su di me. Ne rimasi sconvolto. Sul set de "Il cattivo tenente" c'era molta improvvisazione. Nel film sono andato oltre me stesso, è stata un'esperienza totalizzante, dove c'è stata moltissima improvvisazione sul momento. Abel scriveva le scene con una ragazza di nome Zoe, molto brava, che conosceva il mondo descritto nel film. Morì poi per overdose, purtroppo".
Parlare del film è un momento per affrontare il metodo recitativo di Harvey Keitel.
"Ogni esperienza conta nella vita. Ho studiato all'Actors Studio e lì ho imparato molto da Elia Kazan. Charlie Chaplin è un modello. Ma all'epoca per noi giovani attori (anni 60, ndr) i modelli a cui ispirarsi per la recitazione erano James Dean, Marlon Brando e John Cassavetes". Poi, continua: "Il Metodo Stanislavskij mi è servito, ma la tecnica si può imparare e rimane sempre la stessa. Quello che fa veramente la differenza quando reciti è la tua esperienza personale. Quanto ci metti di tuo nel personaggio che interpreti. Nessun metodo può supplire quello che sei. Non è importante conoscere la tecnica ma come utilizzarla. E per questo ci vuole molto tempo e molta esperienza". 

speciale_keitel_03Sulla violenza nei film da lui interpretati e del film di Ferrara in particolare, Keitel dice: "La violenza è una cosa reale e fa male. È distruttiva, ma dobbiamo conoscere la violenza, perché esiste. Devi conoscerla in modo autentico. Appunto devi rendere questo nelle storie che si narrano con la loro autenticità, perché solo conoscendola si può evitarla."

Dalla brevità della sceneggiatura de "Il cattivo tenente" si arriva a "Smoke" di Wayne Wang (che ha vinto il premio del pubblico in una passata edizione del festival di Locarno, ndr) con questo particolare aneddoto che la dice lunga sulle scelte intuitive di Keitel: "Mi mandano questa sceneggiatura scritta da Paul Auster. La sceneggiatura più lunga che avessi mai letto e non capivo di cosa parlasse, vado avanti e non si capiva niente. Dopo averla letta tutta non mi era piaciuta, ma decisi lo stesso di fare il film. E ne venne fuori qualcosa di eccezionale".

L'incontro è terminato. C'è tempo per un'ultima domanda. E gli viene chiesto quale sia stato il momento più bello della sua vita. Keitel risponde serafico: "Il momento più bello? La nascita di mia figlia e il secondo quando è nato mio figlio".
E a noi restano le sue magnifiche interpretazioni di attore e grande caratterista. Qui sotto un breve e ideale percorso filmografico con, a parere di chi scrive, le sue migliori interpretazioni.


I duellanti
(The Duellists), regia di Ridley Scott (1977)

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Harvey Keitel intrepreta il primo ruolo che gli dà risonanza internazionale nell'opera prima di Ridley Scott, in questo dramma storico tra il duello infinito di due ufficiali napoleonici, tratto da un lungo racconto dello scrittore Joseph Conrad. Sguardo ferino, calato nella parte perfettamente nell'ottusa convinzione di difesa dell'onore da parte di Feraud, Keitel dà un saggio di quello che è la sua tecnica recitativa e della sua corporalità, fatta di gesti precisi, movimenti scattanti e all'interno di una messa in scena geometrica. Un'interpretazione che a distanza di anni resta memorabile.


L'ultima tentazione di Cristo
(The Last Temptation of Christ), regia di Martin Scorsese (1988)

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Prendiamo come esempio di collaborazione con Martin Scorsese l'ultima avuta con il regista italoamericano. Nel ruolo di un Giuda dal pelo rosso luciferino, Keitel esprime tutto il dolore e il tormento del personaggio che tradirà il Cristo. Destino ineluttabile il suo e interpretazione al di sopra del gruppo da parte di Keitel che usa intensamente lo sguardo e gli occhi, le espressioni rugose e scavate, e duetta con gli altri attori in grande sintonia e forza. Una prova sottovalutata la sua, ma al contrario che buca lo schermo.


Le iene (Reservoir Dogs), regia di Quentin Tarantino (1992)

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L'incontro con Quentin Tarantino regala a Harvey Keitel la possibilità di far parte in uno dei migliori film degli anni 90 e di un gruppo di attori in stato di grazia. Il suo Mister White/Larry Dimmick è entrato nell'immaginario del cinema post noir e il duetto insanguinato con Tim Roth, Mister Orange/Freddy Newandyke, è un saggio di recitazione drammatica di altissimo livello. Di nuovo l'attore americano usa la tecnica in modo originale e la sua esperienza attoriale viene a galla nei movimenti precisi delle mani e delle braccia, nell'intercalare della parlata e delle smorfie, nei movimenti controllatissimi all'interno dello spazio scenico allestito da Tarantino per questo dramma moderno dal sapore shakespeariano.


Il cattivo tenente (Bad Lieutenant), regia di Abel Ferrara (1992)

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Il ruolo della vita. L'arte dell'improvvisazione. La recitazione totale e totalizzante. Tutto questo è il tenente di Keitel, cattivo fino al midollo, internamente ed esternamente, in una caduta senza fine verso un abisso in cui s'intravede appena il fondo. Keitel dona tutto se stesso: la sua è un'interpretazione dove il corpo attoriale si fa carne, si trasfigura e tracima la stessa immagine bidimensionale. Il corpo è il tempio della recitazione oltre ogni limite, nudo, scoperto, senza pudori, senza remore nel mostrare la bravura recitativa di un Harvey Keitel nella sua interpretazione migliore, di un personaggio assoluto costruito su di (e per) lui da quel geniaccio di Abel Ferrara, in questo dramma noir che più noir non si può.


Lezioni di piano (The Piano), regia di Jane Campion (1993)

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Nel film da Oscar della regista neozelandese, Harvey Keitel interpreta il maori di sangue misto George Baines che diventerà l'amante di Ada McGrath (Holly Hunter), muta e musicista, mutilata da un marito ottuso e geloso. Sembra un ruolo fuori dal contesto della storia dell'attore, ma in realtà, ancora una volta, Keitel recita con il corpo, con le mani nodose, con gli sguardi, dando un'altra prova della sua grande capacità di immedesimazione nel personaggio e insufflandogli vita propria. Di nuovo Keitel utilizza il proprio corpo come uno strumento da suonare, così come la Hunter usa il mutismo, in duetti con l'attrice che rasentano la sublimazione recitativa e scandalosamente (e nuovamente) dimenticato dall'Academy.


Pulp Fiction, regia di Quentin Tarantino (1994)

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"Sono il signor Wolf, risolvo problemi" battuta iconica per un personaggio, seppure secondario nell'opera collettiva di Tarantino, che entra di prepotenza nell'immaginario collettivo proprio alla grazia felina di Harvey Keitel che crea tensione con poche battute, con movimenti lenti e accurati. Esprime la calma della forza Wolf e l'attore americano dà prova di cosa vuol dire caratterizzare un personaggio per renderlo immortale agli occhi dello spettatore. A distanza di più di vent'anni Mister Wolf è diventato un personaggio comune uscito dalla frontiera dello schermo e la sua battuta riecheggia nei discorsi della quotidianità.


Smoke, regia di Wayne Wang (1995)

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Del copione più corposo che abbia mai letto e che non gli era piaciuto, Keitel intuisce le potenzialità del personaggio che deve interpretare. Il suo Auggie Wren proprietario di una tabaccheria in un angolo di Brooklyn, New York, è un nocchiero che crea un porto sicuro per varia umanità. Narratore per immagini, ascoltatore di storie altrui, Auggie Wren è tra i personaggi più complessi e profondi di Keitel. Di nuovo riesce a duettare con un William Hurt (nel ruolo dello scrittore Paul Benjamin), così come ha fatto in passato in tante altre pellicole, donando nuove sfumature recitative, con quella tecnica che utilizza in modo così personale e originale.


Lo sguardo di Ulisse (Το Βλέμμα του Οδυσσέα), regia di Theodoros Angelopoulos (1995)

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Prendiamo ad esempio il film dell'autore greco per rappresentare le innumerevoli collaborazioni con registi europei. Nel ruolo del regista A., Keitel lavora sullo sguardo, sulle pause, sui silenzi, ma anche stavolta mette a nudo il proprio corpo e lo fa recitare, lo utilizza in molte scene clou del capolavoro di Angelopoulos, premiato al Festival di Cannes nel 1995 con il Gran Premio Speciale della Giuria. L'attore americano regala forse l'ultima grande prova da protagonista in un periodo fecondo per la sua arte recitativa, con un personaggio di regista tormentato e solitario, esiliato dalla propria terra e da se stesso, in una figura decadente e decaduta.





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