Ondacinema

recensione di Alessio Cossu
7.0/10

La parola coreana honjok, a sua volta formata dai termini hon (solo) e jok (tribù), che letteralmente varrebbe "tribù di una sola persona", indica una particolare e sempre più diffusa tendenza propria del paese asiatico per la quale i suoi giovani, rifuggendo dai canoni della società collettivista, scelgono di vivere da soli. Per le ragazze, tale stile di vita assume una connotazione più marcatamente femminista giacchè contrario al matrimonio, istituzione sociale che incarna tradizionalmente il senso della gerarchia androcratica.

È questo il tema al centro del film di Hong Sung-eun, regista coreana presente al TFF 39. L’autrice, con alle spalle un background economico-giuridico, mostrando di sapere il fatto suo mette in scena una pellicola girata con pochi mezzi, quasi esclusivamente in interni e ricorrendo soprattutto a inquadrature strette e fisse che esaltano ancor più la sensazione di isolamento e incomunicabilità sociale della protagonista. Quest’ultima, Jina, è una giovane addetta al call center di un’anonima società di carte di credito. Le sue giornate si susseguono monotone e improntate alla solitudine. Non ha un legame affettivo, non ha amici, i suoi dialoghi col padre, anche dopo la morte della madre, sono fugaci e superficiali, un po’ come quelli che imbastisce con i colleghi di lavoro. La protagonista in realtà detesta la solitudine, ma per evitare di farci i conti e scontrarsi con le proprie tare, preferisce isolarsi dal mondo. Ecco perché intorno a lei spuntano dei surrogati di socialità: gli auricolari e il cellulare perennemente in funzione durante il tragitto da e per il lavoro o durante la pausa pranzo, così come la televisione che rimane accesa per tutta la notte e che sembra darle il buongiorno al pari della sveglia.

Il titolo del film, "Aloners", è tuttavia un plurale, il che sottintende che a vivere da solitaria non è solo la protagonista, ma molti altri come lei. Ciò che la regista ci mostra è che la disintegrazione dei legami sociali è funzionale alle politiche sul lavoro che sacrificano al profitto ogni altro valore: quando il suo capo la elogia per la sua produttività lo fa apertamente evidenziando il fatto che, nonostante il lutto per la morte della madre, gli standard lavorativi di Jina sono sempre inarrivabili. Tuttavia, la freddezza con cui vengono accolti gli applausi di approvazione da parte delle colleghe fa capire il resto: Jina non mostra l’ombra di un sorriso neanche quando il riconoscimento del suo stakanovismo (che ha come altra faccia della medaglia la deprivazione sociale) dovrebbe solleticare la sua autostima. Ora, i topoi dell’efficientismo e del carrierismo sul posto di lavoro a discapito della salute e degli affetti sono largamente presenti anche nella cinematografia europea, grazie a registi che ne hanno fatto la ragione fondante delle loro opere, come Ken Loach (Sorry, We Missed You o anche Io, Daniel Blake). I protagonisti delle pellicole del regista britannico sono però caratterizzati da un’aura di eroismo data dal fatto che essi hanno una consapevolezza della propria condizione che nonostante la sconfitta sul piano socioeconomico non intacca la loro statura morale, il loro stoicismo. Risulta invece più difficile giudicare Jina un’eroina dei nostri tempi giacchè le manca la dote del solidarismo, che fa capolino solo nella seconda parte del film, e poi perché la decisione di lasciare il posto di lavoro “per una pausa di riflessione” è più una vittoria sui propri limiti caratteriali che non sulle storture sociali. Storture che dalla regista non vengono sottaciute, come quando una inquadratura ci mostra su un giornale on line la statistica che denuncia un sempre maggior numero di persone incapaci di integrarsi adeguatamente nella società; o quando il vicino di appartamento della protagonista, abbandonato durante l’infanzia, poi bullizzato a scuola, muore in solitudine senza che nessuno si accorga di lui.

Jina è dunque un personaggio complesso ed emblematico della società contemporanea, anche perché nonostante il suo arco di trasformazione, raggiunto nel finale e sancito dal riavvicinamento alla figura paterna, gli interrogativi suggeriti al pubblico rimangono quanto mai in piedi: qual è il peso della società e quale la responsabilità del singolo nel caso di vite sbagliate? È evidente che lo scopo della regista di Aloners è proprio quello di sollevare perplessità più che appianarle. Anche il cinema francese recente, sensibile alle tematiche legate al rapporto tra mondo del lavoro e qualità della vita, offre esempi di finali analoghi, ad esempio in "Generazione low cost", con i giovani che recuperano il rapporto affettivo con i genitori senza tuttavia colmare lo iato socio-economico.

Per quanto riguarda lo stile, Hong Seong-eun mostra di possedere una grammatica di regia elementare ma decisamente efficace: nella prima parte del film le inquadrature implacabilmente fisse e strette sul volto della protagonista ci comunicano con uno sguardo oggettivo il suo imperturbabile universo, mentre a partire dalla cerimonia funebre del vicino la macchina da presa inizia a muoversi; è il segno del tumultuare interiore e della ricerca di nuovi punti di riferimento. Completa il quadro la colonna sonora che consiste nella cosiddetta drone music, la quale compare solo nelle sequenze più meditative e cariche di pathos, mentre il resto della pellicola ne è totalmente privo allo scopo di trasmettere, per sottrazione acustico-percettiva, il senso dell'esistenza ovattata del personaggio. Anche la fotografia presenta un momento di svolta, esattamente quando Jina decide di tirare le tende che oscuravano la propria stanza; il fascio di luce che si propaga dall'esterno non solo illumina quel microcosmo inizialmente claustrofobico, ma dipinge sul volto della protagonista una nota di stupore, quasi la scoperta che un nuovo inizio è possibile.            


19/07/2022

Cast e credits

cast:
Jeong Da-eun, Seo Hyun-woo, Jeong-hak Park, Gong Seung-Yeon


regia:
Hong Seong-eun


titolo originale:
Honja saneun saramdeul


distribuzione:
Fandango


durata:
91'


produzione:
KAFA Productions, Korean Film Council


sceneggiatura:
Hong Seong-eun


fotografia:
Youngki Choi


montaggio:
Hong Seong-eun


musiche:
Lim Min-ju


Trama
Una sera Jina, una giovane impiegata in un call center, viene a sapere che un suo vicino è morto in completa solitudine da diversi giorni e che il suo corpo è stato ritrovato nell'appartamento che si trova proprio accanto alla sua porta. Un'addetta alle pulizie le rimprovera la sua insensibilità per il fatto di non curarsi dei rapporti sociali con le persone che ha intorno. Da quel momento la giovane inizia a rivedere il proprio modo di fare profondamente schivo e riservato.