Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
6.5/10

annette leos carax

Dance
Laugh
Wine
Dine and talk and sing
But those cannot replace what is the real thing
Sparks - "Amateur Hour"


Ancora una volta Boy Meets Girl, come il titolo programmatico con cui Leos Carax esordì ad appena 24 anni nel 1984. Ma anche sangue cattivo, ossia "Mauvais Sang", il film che ne consacrò il talento due anni dopo. E nella tempesta di passione e violenza che spacca "Annette" in due parti è forse possibile rivedere l'omaggio che Carax pagò a "L'Atalante" ne "Gli amanti del Pont-Neuf" (1991), all'epoca dispendioso e catastrofico progetto che per poco non ne stroncò la carriera.

Il cinema di Carax è innervato da una vena autodistruttiva e suicida che fa esplodere i suoi primi film in corse a perdifiato e fuochi d'artificio. In "Annette" queste tensioni vengono canalizzate in una storia hollywoodiana larger than life incorniciata dalle luci, dalle strade e dai palcoscenici di Los Angeles, la città dei sogni e degli incubi di celluloide. A tal proposito, alcuni dettagli presenti sin dall'incipit richiamano i lavori che David Lynch ha ambientato nella città degli angeli ("Strade perdute", "Mulholland Drive", "INLAND EMPIRE"), a partire dalle sovrimpressioni oniriche e da quei neri che sembrano inghiottire le immagini dello studio di registrazione da cui emerge Leos Carax che chiama a sé la figlia Nastya (a cui è dedicata l'opera). Quando a Russel e Ron Mael (meglio noti come Sparks) si aggrega il cast, si crea un corteo che dallo studio esce in strada cantando la trascinante "So May We Start". Il pianosequenza dell'ouverture, che rima visivamente col segmento di "Holy Motors" in cui Monsieur Oscar conduce un'orchestrina di strada scatenata da "Let my Baby Ride" di Docteur L, si staglia come uno dei picchi di bravura registica di "Annette" e uno dei momenti musicali più riusciti.

Dato il La allo spettacolo, ritroviamo Henry McHenry (Adam Driver), stand-up comedian a metà tra Bill Burr e Bo Burnham, mentre si prepara a salire sul palcoscenico: accappatoio verde, boxer e mocassini, è un "toro scatenato" senza ring e il pubblico è l'avversario da mettere al tappeto. Il suo show è presentato come esilarante, trasgressivo e scorretto ma è impossibile rintracciare tali caratteristiche poiché Carax mette in scena una concettualizzazione di stand-up comedian: Henry parla di sé, conversa con gli astanti ma non vengono emulati i meccanismi della comicità stand-up, l'interesse del regista è interamente rivolto allo stare in scena. Henry rivela di essersi innamorato di una regina, Ann Defrasnoux (Marion Cotillard), celebre cantante d'opera che si sta esibendo contemporaneamente altrove: il personaggio di Ann esprime il concetto della funzione catartica del ruolo di soprano che ogni volta muore sul palcoscenico per salvare il proprio pubblico ("Chi morirà per noi?" si chiedono i fan alla fine del film). Dal loro amore nasce Annette, bambina-burattino e miracolo vivente la cui vita è sin dall'inizio parte integrante della messa in scena vissuta dai genitori, fino a diventare in qualche modo catalizzatore del virtuale agonismo tra i due divi. In questo senso, la tossicità dello showbiz s'intreccia quasi automaticamente alla toxic masculinity incarnata dal personaggio di Henry. A livello di segni, Henry McHenry è definito dal colore verde, colore dell'invidia, della tossicità, colore di Monsieur Merde e carattere dell'ultimo Carax (a cui infine somiglierà); Ann è rappresentata invece dallo specchio e dalla mela (foto 3 della galleria), un condensato simbolico che richiama sia il mito di Narciso, sia Biancaneve, così concentrata sulla sua immagine da non riuscire a guardare né fuori di sé né dentro il compagno. La sottotrama si carica via via di una retorica post-MeToo che è quasi un ulteriore stereotipo che si assomma alla costruzione sacrificale della protagonista femminile e a quella bestiale della controparte maschile.

È abbastanza evidente come Carax rinunci a qualsiasi identificazione coi propri personaggi che sin dall'inizio enunciano la loro essenza finzionale, il loro essere componente di un meccanismo narrativo. Nell'ouverture cantano consapevolmente "We'll sing and die for you, yes, in minor keys/And if you want us to kill too we may agree" e, alla fine della stessa, Adam Driver e Marion Cotillard si avviano a "entrare in scena" venendo salutati dal coro di personaggi secondari da cui sono chiamati "Henry" e "Ann": come se Henry McHenry e Ann Defrasnoux recitassero nei panni di loro stessi in un secondo grado di finzione. Conferma di un'opera la cui immagine filmica è un simulacro, ossia "copia differenziale di una copia differenziale senza originale"[1].
"Annette" è dunque il lavoro più cerebrale di Carax, regista che della visceralità ha fatto perno della propria arte. Come notava Alberto Mazzoni, in "Holy Motors" la maschera di Merde arrivava a staccare le dita a morsi all'assistente che, parlando, continuava a virgolettare figurativamente quel che diceva, mentre in "Annette" ogni elemento è messo tra virgolette che ne sottolineano il valore di simulacro, di elemento di una messinscena. In tal senso va letto anche il personaggio ottimamente interpretato da Simon Helberg che rimane senza nome: presentato come accompagnatore musicale di Ann, viene successivamente promosso a direttore d'orchestra; è anche colui che parla direttamente rivolto alla macchina da presa conscio del suo essere inquadrato, e in un altro pianosequenza (realizzato con la macchina da presa che si muove intorno a lui in modo sempre più vorticoso) chiede scusa agli spettatori perché deve segmentare il proprio monologo per concentrarsi anche sulla conduzione dell'orchestra.

"Annette" è un musical che non appartiene alla tradizione hollywoodiana, benché Carax non mostri l'intento di lavorare sul musical classico o di volerlo decostruire. Propende piuttosto per un'altra via, quella del film cantato à la Jacques Demy. Se ne "Les Parapluies de Cherbourg" i personaggi cantano i propri dialoghi (e non danzano), in "Annette" la forma canzone è frammentata in brevi strofe o in versi che si ripetono più e più volte. Poggiando le linee di dialogo quasi interamente sul lavoro degli Sparks, autori di un glam rock che ha sempre avuto inclinazioni operistiche, "Annette" si inceppa in quest'indecisione tra la forma canzone e il fraseggio cantato: se il motivo catchy di "We Love Each Other So Much" funziona, in altri casi non si riesce a schivare la ridondanza. Le composizioni dei fratelli Mael divengono dunque una zavorra da cui Carax non riesce sempre a districarsi con brillantezza. In particolare, la macchina da presa appare più volte imbrigliata dalle performance dei suoi attori, il palcoscenico costringe alla coazione a ripetere non soltanto i protagonisti (l'aggressività di Henry, la mortalità di Ann) ma anche la macchina da presa che si limita a seguirli nella bidimensionalità dello spazio teatrale. C'è una sequenza che spezza tale consuetudine ed è quando Ann corre via dal palcoscenico ritrovandosi in un bosco (che è quello davanti casa sua), per poi rientrare e terminare la propria esibizione: come altre soluzioni espressive presenti in "Annette" (si pensi alle scene più sensuali), anche quest'idea è risolta come un assolo, non partecipando a un disegno più generale e compiuto.

Esperimento bizzarro e diseguale, "Annette" è un film parimenti stimolante e irritante che può vantare però una manciata di sequenze straordinariamente ispirate. Fra queste c'è sicuramente il finale in cui Henry canta, mentre Annette esegue un controcanto sulla melodia di "Sympathy For The Abyss": se la bambina si emancipa finalmente dall'ombra (e dalle oscurità) genitoriali, il secondo ammette le proprie colpe, ma chiedendo comunque di essere compreso. La citazione a Friedrich Nietzsche (in più di un'occasione Henry parla di un abisso su cui si è sporto) rende difficile non leggere "Annette" come una dimostrazione di quel segmento del "Crepuscolo degli idoli" intitolato "Come il «mondo vero» finì per diventare favola", nel quale il filosofo tedesco scrive: "Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? Quello apparente, forse? Ma no. Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!"[2]. Nietzsche avverte che l'idea di un mondo vero contrapposto a un mondo apparente non ci permette di vedere il mondo come è; Paolo Bertetto parte da qui per la teorizzazione dell'immagine-simulacro e ricorda come anche Gilles Deleuze asserirà che "il fatto moderno è che noi non crediamo più a questo mondo"[3]. Fin qui niente di nuovo e, infatti, per gran parte del suo arco narrativo "Annette" si incaponisce a ribadire cose che già sapevamo, ossia la fine del mondo vero e lo statuto simulacrale dell'immagine filmica. L'immagine-simulacro era peraltro già il centro teorico e nevralgico di "Holy Motors", in cui Carax modellava una realtà di cui esplorava ogni possibile direzione, consapevole di una "bellezza del gesto" che giustificava la performance. In "Annette" quest'idea vitale e viscerale di cinema sembra ristagnare e la breccia che si apre nella "finzione del mondo" arriva nel succitato epilogo quando il film ha stremato le proprie energie. Infine, Henry McHenry ci intima di non guardarlo più (Stop watching me!): laddove Monsieur Oscar si esibiva non temendo che non fosse più rimasto nessuno a guardare, Henry vuole essere liberato dal peso del nostro sguardo. Un cortocircuito, forse. O la speranza di riuscire ad avere esperienza del mondo così com'è.

 

[1] P. Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Bompiani, Milano, 2007, p. 31.
[2] F. Nietzsche, L'Anticristo - Crepuscolo degli idoli - Ecce homo, in Crepuscolo degli idoli, cap. Come il «mondo vero» finì per diventare favola, Newton Compton edizione digitale, Roma, 2011, s.p.
[3] Cit. in P. Bertetto, op. cit., p. 14.


17/10/2021

Cast e credits

cast:
Adam Driver, Marion Cotillard, Simon Helberg, Devyn McDowell


regia:
Leos Carax


distribuzione:
I Wonder Pictures


durata:
140'


produzione:
CG Cinema; Tribus P Films; Detailfilm; Eurospace; Scope Pictures; Wrong Men


sceneggiatura:
Ron Mael, Russell Mael, Leos Carax


fotografia:
Caroline Champetier


scenografie:
Florian Sanson


montaggio:
Nelly Quettier


costumi:
Pascaline Chavanne, Ursula Paredes Choto


musiche:
Sparks


Trama
Los Angeles. Henry McHenry è uno stand-up comedian dall’umorismo feroce, aggressivo, irriverente. Ann Defrasnoux è una cantante d’opera di fama internazionale. Insieme, sotto i riflettori, formano una coppia felice e glamour. La nascita della loro prima figlia, Annette, una bambina misteriosa dal destino eccezionale, sconvolgerà le loro vite…