Ondacinema

recensione di Carlo Cerofolini
6.5/10
Come si dice in queste occasioni, nell'esordio americano di Felix Van Groningen i motivi di interesse si sprecavano. A parte la verifica sulle capacità di sapere giocare in trasferta da parte del regista belga, chiamato a dimostrate in terra straniera di meritarsi il riconoscimento di membro dell'Academy Award ricevuto a seguito della nomination per il suo "Alabama Monroe", c'era il fatto che "Beautiful Boy" rispolverava dalla soffitta il sotto-genere drug movie, precocemente trascurato dal cinema americano nonostante l'incidenza delle morti per droga di persone sotto i 50 anni ne dimostrasse comunque la tragica attualità. La curiosità risiedeva, quindi, nel constatare se il punto di vista dell'opera fosse tale da fornire al problema una visione slegata dalle conseguenze emotive suscitate dalla dipendenza relativamente a un'analisi capace di dire qualcosa di nuovo. Si trattava, in buona sostanza, di non cadere nel tranello dei cliché e della retorica a cui spesso si va incontro raccontando questo genere di storie. Ultima, ma non meno importante, era l'aspettativa di rivedere in azione uno degli attori più "caldi" del momento, qui alla sua prima prova dopo la sbornia di complimenti e premi ricevuti per la sua interpretazione in "Chiamami con il tuo nome".

La vicenda (autobiografica) di "Beautiful Boy", in effetti, avverte il pericolo di una ridondanza retorica nel raccontare il doloroso rapporto tra un padre (l'ottimo e da nomination, Steve Carell) e un figlio (Timothée Chalamet) segnato dalla tossicodipendenza e dai tentativi del genitore, vero protagonista del film, di aiutare il ragazzo a uscirne. Succede, infatti, che invece di spiattellare allo spettatore una lunga introduzione sui motivi che hanno portato i personaggi di fronte alla terribile evidenza, con ciò che ne consegue in termini di graduale appiattimento della vicenda per le troppe spiegazioni, "Beautiful Boy" parte quando quasi tutto è già successo, e cioè dal tentativo estremo da parte di David di salivare Nick da un destino che appare segnato. Una decisione che implica una delle varianti più riuscite apportate da Van Groeningen, a dire quella di materializzare il disfacimento del nucleo famigliare e, in particolare, del rapporto padre-figlio attraverso un montaggio che mette insieme piani temporali diversi, i quali, senza compromettere la linearità di fondo della narrazione, riescono, nella non sempre semplice connessione, a dare conto del deteriorarsi del legame in questione.

Purtroppo, però, le qualità del film si fermano qui, perché pur rimanendo un lavoro tutto sommato vedibile, soprattutto in ambito mainstream, l'opera del cineasta belga non rinuncia agli stereotipi più vieti del genere, a cominciare da un uso esornativo/enfatico della colonna sonora, chiamata, per il tramite di pezzi assai noti del catalogo di Melvins, Nirvana, John Zorn, persino del Neil Young di "Heart of gold", a sottolineature prevedibili e inopportune dei picchi drammatici della storia. Senza considerare che a corredare la discesa negli inferi concorrono una serie di particolari che il regista assegna senza nessuna sobrietà a Nick il quale, oltre alla piaga della droga, si vede caricato di una serie di inclinazioni che anche quando non sono propriamente pericolose funzionano a mo' di classica goccia che fa traboccare il vaso: cosi il giovane, oltre ai problemi di etilismo si ritrova, per mano della sceneggiatura di Luke Davies e dello stesso Van Groeningen, un indole maniaco depressiva ma fatalmente artistica, dovuta alla propensione da romanziere in erba. Ad appesantire il quadro drammaturgico vi è inoltre il modo in cui il regista le usa, ognuna presente sullo schermo senza alcun approfondimento e nella sola ragione di supportare la riconoscibilità del protagonista nei confronti dello spettatore, messo a dura prova dal punto di vista emotivo da vicissitudini così grandi. Tratto dall'articolo pubblicato dallo stesso David Sheff per il New York Times e integrato dal testo redatto dal figlio Nick, "Tweak: Growing Up", il film di Van Groeningen appare, in definitiva, un tentativo più sentito che riuscito.

22/10/2018

Cast e credits

cast:
Steve Carell, Timothée Chamalet, Maura Tierney


regia:
Felix Van Groeningen


durata:
111'


produzione:
Amazon Studios


sceneggiatura:
Luke Davies


fotografia:
Ruben Impens


scenografie:
Ethan Tobman


montaggio:
Nico Leunen


Trama
Un padre tenta di aiutare il figlio a uscire dalla propria tosscodipendenza.