Ondacinema

recensione di Giancarlo Usai
7.5/10

Dietro, e prima, del bel film di Paul Verhoeven c'è un romanzo clamoroso: "Oh..." del francese Philippe Dijan. Come dice lo stesso cineasta olandese, il film non fa che seguire pedissequamente l'incedere degli eventi narrati nel libro. Eppure, l'occhio e la cinepresa del regista di "Basic Instinct" sanno fare proprie le vicende della Michèle descritta nel libro, trasfigurando qualcosa in modo arguto, un dettaglio, un dialogo, uno sguardo della magnifica Isabelle Huppert. D'altronde, sta in questo la bravura di chi sceglie di adattare un soggetto non originale: saperne rispettare i codici di base con il coraggio di chi non rinuncia alla propria visione del mondo e dell'arte.

La protagonista, una cinquantenne in carriera, viene stuprata in casa sua. Lo sappiamo da subito, nella prima scena che si illumina in pieno giorno dopo i titoli di testa su sfondo nero. La violenza si è già consumata, Michèle si rialza dal pavimento, si ricompone e va a farsi un bagno caldo. Una macchia rossa affiora dalla vasca: l'unico ricordo visivo di quanto accaduto poco prima. Poi la vita riprende normale. È lì allora che Verhoeven mette in scena la sua tragicommedia umana di gran classe. Il modo grottesco in cui ci presenta la carrellata di uomini e donne che sono la vita di Michèle è uno stile a metà tra il thriller da camera e la black comedy. Il figlio scemo, senza alcun talento, che è ossessionato dall'idea di riscattarsi dal grigiore diventando padre, peccato che il bimbo la sua ragazza l'abbia concepito con qualcun altro; la mamma ultrasettantenne, gonfia di botox e fidanzata con un giovane aitante, probabilmente un mezzo gigolò; l'ex-marito, scrittore fallito, cui ancora fa scenate di gelosia, d'altronde è l'unica persona che davvero l'ha saputa capire; la coppia di vicini, lei cattolica praticante devota e bigotta, lui mediocre bancario non particolarmente affascinante; la coppia di grandi amici, la collega inseparabile con cui ha quasi un rapporto di attrazione morbosa, e il marito di lei, con cui invece va a letto combattuta da sensi di colpa verso l'amica che, a sua volta, la fa sentire una madre snaturata per il rapporto strettissimo che sa intrattenere con suo figlio, a differenza sua, che sarebbe invece la vera madre.
E poi il padre, figura misteriosa che si intravede solo dalla tv o da foto d'epoca, un uomo condannato all'ergastolo per aver fatto una strage trent'anni prima, il cui marchio d'infamia e vergogna è ricaduto negli anni seguenti proprio su Michèle e il suo tentativo di vivere un vita normale, al riparo dagli occhi degli indignati di professione. Ecco, questo suo stato di vittima perenne riesplode proprio nell'attualità della vicenda cui assistiamo. La violenza sessuale subita, con la volontà di non lamentarsene, di non coinvolgere la polizia e le persone care, riaccende forse nella protagonista quella condizione di soccombente che l'ha accompagnata negli anni della giovinezza e della maturazione. Sarà forse per questo che Michèle finisce per rincorrere quasi il suo aguzzino, agognando nuove violenze e nuovi stupri? Verhoeven una risposta non la dà. Ma alcune conclusioni le traiamo noi, però.

Prima annotazione: stiamo parlando di un autore vero, con una poetica complessa e articolata, con uno stile raffinato e sfaccettato, che nulla ha a che vedere con l'immagine rozza che ne è stata data a Hollywood all'indomani di pellicole diventate cult per i motivi sbagliati ("Basic Instinct") o semplicemente ridotte a pura spazzatura anche per pesanti responsabilità dei produttori ("Showgirls"). Verhoeven non è un guardone, un maniaco, un pruriginoso regista di serie B. Verhoeven è un cineasta che riflette sul sesso, sul non detto attorno ad esso, e su quanto questo elefante nella stanza condizioni le vite delle persone, al punto da sdoppiarle e farle combattere contro se stesse. Che altro è "Elle" se non una farsa contemporanea sull'ambiguità dell'Io? Tutti hanno un volto vero e recitano un ruolo parallelo in questo thriller spassoso e a tratti persino demenziale. Amore e odio, attrazione e repulsione, ambizione e vittimismo, istinto familiare e inettitudine: ciascun personaggio che ruota attorno alla protagonista lotta per ribadire il suo posto nel mondo, ma al tempo stesso per tenere a bada la parte di sé più inquietante e lugubre.

Su tutti giganteggia chiaramente la non eroina Michèle che, permettendo alla Huppert un'altra prova di bravura impressionante, non tradisce emozioni, istinti violenti o voglia di vendetta esplicita, ma scatena una furia masochista nell'annullarsi fra le braccia di un violentatore di cui conosce l'identità e che, per motivi esattamente opposti a lei, recita anch'egli una parte per liberare la propria personalità soffocata dall'ipocrisia borghese, religiosa, perbenista.

Verhoeven cambia con il passare degli anni, sia nel suo mettere in scena il sesso, sia nel piglio con cui affonda l'obiettivo della sua macchina da presa nel cervello dei suoi personaggi. La sua versione hollywoodiana era chiassosa, burbera e volutamente semplificatrice. Ora è tornato alle origini, a un cinema europeo da interni, a movimenti di macchina parchi e studiati e, soprattutto, a un'attenzione quasi totalizzante verso la psiche. Il corpo non è più ostentato come ai bei tempi dell'oltraggiosa Sharon Stone, ma è svelato con parsimonia, guidato da perversioni che non sono più mostrate attraverso la lente materiale del dettaglio fisico, il filtro ormai è caduto. L'inquietante perversione di Michèle, che trasforma un sopruso sofferto in un rituale liberatorio, è figlia di tutto ciò che abbiamo visto: un accumulo di tensioni, falsità, inquietudini familiari, sociali, lavorative.

"Elle", presentato come un film-scandalo, è invece satira acuta dei nostri giorni, il sadomasochismo si amplifica ai rapporti sociali, lavorativi, parentali. Forse arenandosi nella sua sfrenata pulsione psicanalizzante, Verhoeven, da europeo, mostra comunque una Francia e una Parigi dove tutta la cronaca vissuta negli ultimi tempi fa da sinistra cornice alla commedia nera che non può che tracimare nel dramma: la violenza, la chiusura delle case borghesi, la religione, le vergogne del passato sono tutti elementi pronti a deflagrare anche se tenuti abilmente nascosti da chi è interessato a mostrarsi in una versione pubblica presentabile, mentre nel privato sfoga tutta la propria inspiegabile frustrazione.

Per saperne di più: Intervista a Paul Veroheven - "In fuga da Hollywood con una spregiudicata Huppert"


23/03/2017

Cast e credits

cast:
Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira


regia:
Paul Verhoeven


distribuzione:
Lucky Red


durata:
130'


produzione:
SBS Productions, SBS FILMS, Twenty Twenty Vision Filmproduktion, Entre Chien et Loup, France 2 Ciném


sceneggiatura:
David Birke


fotografia:
Stéphane Fontaine


scenografie:
Laurent Ott


montaggio:
Job ter Burg


musiche:
Anne Dudley


Trama
Michèle è una di quelle donne che niente sembra poter turbare. A capo di una grande società di videogiochi, gestisce gli affari come le sue relazioni sentimentali: con il pugno di ferro. Ma la sua vita cambia improvvisamente quando viene aggredita in casa da un misterioso sconosciuto. Imperturbabile, Michèle cerca di rintracciarlo. Una volta trovato, tra loro si stabilisce uno strano gioco. Un gioco che potrebbe sfuggire loro di mano da un momento all'altro.