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recensione di Matteo De Simei
4.0/10

Enter Noé

Avvicinarsi al cinema di Gaspar Noé significa non aver alcuno scrupolo di imbrattare la propria coscienza, significa trasformare la realtà che ci circonda in un vortice di visioni e suoni sconnessi nel tempo e nello spazio, un vortice che tuttavia non fa altro che elevare all’ennesima potenza il marciume della realtà stessa. Impudicizia, sfrontatezza, trasgressione sono concetti vitali per un regista che, attraverso i canali della droga, del sesso e della violenza, ha annientato in poco più di vent’anni di carriera le regole del perbenismo e quelle dell’etica.

La sequenza che apre “Carne” (1991), uno dei più famosi cortometraggi del regista argentino naturalizzato francese, può essere considerata il suo personale biglietto da visita: immagini di una crudezza efferrata (ma che tuttavia rispecchiano una banale prassi del vissuto quotidiano) che i nostri occhi rinnegano quasi a voler giustificare una morale da seguire a tutti i costi. Noé non sarà sicuramente il primo a scardinare queste regole ma se a ciò vi si aggiunge anche l’indiscutibile talento dietro alla macchina da presa, ecco che le potenzialità del regista divengono davvero importanti. E difatti con “Irreversible” (2002) lo scandalo sconfina dalla terra francese per approdare in tutta Europa. La violenza sessuale (e non) è davvero insostenibile ma pur nel suo eccesso la pellicola è audace e intrigante nel suo iperrealismo sperimentale.

 

Noé The Void

“Sperimentale” è anche la parola più adatta in riferimento all’ultimo progetto di Noé, “Enter The Void”, dramma psichedelico e allucinatorio che conferma praticamente tutto il bagaglio cinematografico già messo in mostra dall’autore: sesso e violenza senza soluzione di continuità oltre a una massiccia dose di spettacolarizzazione visiva. Il manierismo del regista si esplica soprattutto mediante le tre tecniche di ripresa utilizzate: la soggettiva della prima parte, l’uso della cinepresa a mano, suo cavallo di battaglia (quella che ritrae, per intenderci, Oscar di spalle mentre ripercorre le tappe cruciali della sua esistenza) e le plongèe ad altissima quota utilizzate soprattutto nelle fasi finali del film. Il montaggio si plasma duttile ai virtuosismi della macchina da presa e lo fa accompagnando i ritmi delle palpitazioni cardiache o simulando il battito di ciglia in una soggettiva; le sonorità sono stranianti e ipnotiche (l’industrial alienante dei Coil e dei Throbbing Gristle in perfetta antitesi alla bucolica suite bachiana), le luci stroboscopiche e la sontuosa fotografia di Benoit Debie contribuiscono a creare una Tokyo eterea e maledetta.

Insomma, creatività e anticonformismo non mancano di sicuro alla pellicola (vd. l’egocentrismo dei titoli di testa). Eppure la domanda di fondo resta ed è assillante: qual è l’essenza di un film puramente controverso come “Enter The Void”? In altri termini, cosa rappresenta il “vuoto” per Gaspar Noé? Che sia un viaggio di sola andata verso un inferno evolutosi in un trip di effetti visivi digitali e computerizzati? O è forse un limbo tra la vita e la morte in cui il corpo fluttua alla ricerca di un voyeurismo innato? O ancora coincide con una predisposizione nichilista dell’uomo che, assuefatto dalla droga, lo porta a demolire famiglia e valori, oltre alla propria vita? Se “Enter The Void” è un film che va vissuto come un’esperienza sensoriale straordinaria, è al contempo facile denotarne la sua sterile efficacia in ambito di scrittura. Gli archetipi si avviluppano in un’accozzaglia di messaggi mistici sull’aldilà (il libro tibetano dei morti, il tema della reincarnazione), in una sorta di inno alla sensorialità prodotta dall’uso degli stupefacenti, in un complesso edipico che è la causa di latenti incesti fraterni, in un’ostentazione del proibito che sfida pornografia e gore. L’eccesso dell’eccesso rischia di sfiorare addirittura il ridicolo quando il regista cade nel tranello del citazionismo (l’epilogo allude chiaramente all’odissea spaziale di Kubrick, lo spettacolo cromatico sembra essere una visione alternativa, deforme e sventurata a quella evocata nell’albero della vita di Malick). Il tutto racchiuso in una durata (anch’essa all’insegna dell’eccesso) che supera i 150 minuti.

“Enter The Void” rientra sicuramente in quel genere cinematografico denominato psichedelico per cui le regole del metatesto cinematografico si arrendono alle sperimentazioni e alla visionarietà degli autori. Ricordiamo la lotta alla tossicodipendenza di “Chappaqua” o la subliminalità degli “Stati di allucinazione” di Ken Russell. Il film di Gaspar Noé non rinuncia a tutto ciò e anzi rilancia mettendo altra carne sul fuoco, dando vita un spirale tanto delirante e suggestiva quanto sconnessa e provocatoriamente sterile. Non è un caso che proprio nel progetto di una vita, Noé si sia lasciato trasportare dal suo smisurato egocentrismo. Il “vuoto” che la pellicola porta con sé nel titolo sembra essere proprio lo specchio di un regista che, aggrovigliando una matassa infinita di idee, si è ritrovato senza districarne alcuna.


04/12/2011

Cast e credits

cast:
Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno, Ed Spear


regia:
Gaspar Noè


titolo originale:
Enter the Void


distribuzione:
IFC Films, BIM


durata:
154'


produzione:
Fidélité Films, Wild Bunch, Buf Compagne, Les Cinemas de la Zone, Essential Filmproduktion


sceneggiatura:
Gaspar Noé


fotografia:
Benoît Debie


scenografie:
Kikuo Ohta, Jean Carrière


montaggio:
Gaspar Noé, Marc Boucrot, Jerome Pesnel


costumi:
Tony Crosbie, Nicoletta Massone


musiche:
Thomas Bangalter


Trama
Oscar e sua sorella Linda abitano da poco a Tokyo. Per sopravvivere, lui è diventato un piccolo spacciatore di droga e lei fa la spogliarellista in un night club. Una sera, durante una retata di polizia, Oscar viene ferito da una pallottola. Mentre agonizza, il suo spirito, fedele alla promessa fatta alla sorella di non abbandonarla mai, si rifiuta di lasciare il mondo dei vivi, ed inizia a vagare attraverso la città
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