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recensione di Giancarlo Usai
5.0/10

Conviene, forse, sgombrare il campo dai dubbi residui. La piega che la carriera di Ridley Scott ha preso negli ultimi dieci-quindici anni è ormai una direzione ben precisa e non casuale: lasciati per sempre da parte i cult che ne hanno motivato la fama e la stima imperitura, il regista britannico ha consapevolmente abbracciato la magniloquenza delle grandi produzioni hollywoodiane ad alto tasso di effetti digitali e a bassa densità di contenuti capaci di resistere oltre la visione dell'opera.

Tranne qualche guizzo, per lo più affidato a pellicole considerate stranamente "minori", frutto di momenti di pausa fra tanta opulenza, l'autore di "Blade Runner" si è consegnato anima e cuore alla grande industria sforna-kolossal, accettando attivamente di far parte di quel gran circo produttivo nel quale il regista, solitamente, ha un ruolo di coordinatore dei mezzi, una specie di allenatore di una squadra perfettamente rodata che deve soltanto portare a casa un risultato economico. E così, dopo scorribande nell'antica Roma, nell'epoca delle crociate, nel mito di Robin Hood, nella fantascienza pionieristica che tenta di far rivivere antiche leggende, a Scott tocca la revisione di una storia biblica che ha sempre affascinato moltissimo la Settima arte e il suo universo, quella dell'Esodo degli ebrei dall'Egitto condotti da Mosè, cresciuto al fianco del faraone e diventato servo di Dio al servizio del suo popolo.

Il film ha avuto diverse traversie produttive, una sceneggiatura passata di mano in mano finché è stato ingaggiato il "solito" Steven Zaillian, incaricato di stenderne una versione definitiva e più "accettabile". Poi è arrivata la regia di Scott, con il compito di dare vita a una pellicola che non perdesse completamente un'anima nonostante l'epopea originaria dovesse sposarsi a degli effetti speciali visivi impressionanti, a una stereoscopia necessariamente invadente, a un cast multiforme e improbabile nei panni di antichi egizi. La storia è risaputa e, forse per questo, ne emergono in questa versione soltanto i difetti macroscopici. È un film sbagliato fin dalla concezione di partenza, con questa visione postmoderna dell'antico Egitto che spoglia di qualsiasi epicità la tragedia, esattamente come era successo ormai quindici anni fa con "Il gladiatore", che sviliva le vicissitudini dell'impero romano a scene action di puro intrattenimento.

Ma stavolta, forse appesantito dall'età o dai fallimenti collezionati, Scott neanche si diverte e neanche diverte: il suo Mosè è una figurina esautorata dalla tragedia che lo accompagna, la messa in scena della sua storia è totalmente superficiale, non in grado di coinvolgere emotivamente né tanto meno di restituire anche solo una parte del fascino mitologico della narrazione biblica. Le scene di massa, la computer grafica utilizzata in quantità industriale per illustrare le piaghe o, ad esempio, l'attraversamento del Mar Rosso, finiscono per essere l'ennesima esibizione sterile di potenza tecnologica, ormai priva di qualsiasi bellezza esteriore perché uguale a centinaia di altri episodi visti e rivisti in kolossal simili nel corso dell'ultimo decennio.

Senza perdere troppo tempo a fare le pulci alle inverosimiglianze storiche o alle infedeltà rispetto al soggetto originario, la mediocrità dell'operazione è sintetizzabile anche soltanto nella scelta di come raffigurare il protagonista, un Christian Bale mai così fuori parte e imbarazzante davanti alla macchina da presa. Armato di arco e spada, il Mosè di Scott è un combattente furente e minaccioso, pronto sempre allo scontro armato e alla chiamata del campo di battaglia. Ben lontano è il Charlton Heston che Cecil B. DeMille immaginava capace di una trasformazione non solo fisica ma anche interiore tra il prima e il dopo la "rivelazione". Il Dio del nuovo Mosè è solo un escamotage narrativo per accelerare il ritmo degli eventi, per stringere il cerchio attorno al confronto con Ramses.

Questo "Exodus", infine, certifica ancora una volta la pigrizia crescente di un ex grande cineasta, ormai incapace di plasmare soggetti diversi coerenti con una sua precisa poetica e visione del mezzo cinematografico. Il lavoro del buon Ridley si limita ormai a "certificare" la passività della sua macchina da presa di fronte a una produzione (e a una post-produzione) che ha l'obiettivo di spremere fino all'ultimo centesimo un pubblico assuefatto a un cinema digitale fermo da anni. La visione della Storia di Scott è anonima e ignava: non ci sono sfumature, non ci sono differenze tra epoche, luoghi, personaggi. Tutto è ripreso alla stessa maniera, fra solite panoramiche e campi lunghi che annientano la presenza umana all'interno dell'inquadratura.


17/01/2015

Cast e credits

cast:
Christian Bale, Joel Edgerton, Aaron Paul, John Turturro, Ben Kingsley


regia:
Ridley Scott


titolo originale:
Exodus: Gods and Kings


distribuzione:
20th Century Fox


durata:
150'


produzione:
Chernin Entertainment, Scott Free Productions, Babieka, Volcano Films


sceneggiatura:
Adam Cooper, Steven Zaillian, Bill Collage, Jeffrey Caine


fotografia:
Dariusz Wolski


scenografie:
Arthur Max


montaggio:
Billy Rich


costumi:
Janty Yates


musiche:
Alberto Iglesias


Trama
La fuga degli ebrei dall’Egitto, guidati da Mosè, così come è descritta nel libro biblico dell’Esodo. La storia di un uomo che sfida con coraggio la potenza di un impero. Incurante del pericolo, si ribella al faraone Ramses e guida 400.000 schiavi in fuga dall'Egitto e dalla terrificante successione di piaghe funeste che si abbattono sul paese.
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